È stato riscontrato come la consapevolezza dell’avvicinarsi del termine di un compito faccia sì che gli sforzi messi in atto per concluderlo vengano aumentati (Bonezzi et al., 2011).
Tale fenomeno, che prende il nome di goal gradient (Hull, 1932), viene attribuito all’aumentare della motivazione in prossimità della fine di un compito: ogni “unità di fatica” impiegata dall’individuo contribuirebbe visibilmente ad accorciare il gap verso l’obiettivo, venendo percepito come più efficiente (Cryder et al., 2013). Nel contesto della Prospect Theory (Kahneman & Tversky, 1979), Heath e colleghi (1999) sottolineano come, in prossimità del raggiungimento di un obiettivo, i soggetti risultino essere più sensibili ai progressi in quanto eliminerebbero il valore negativo risultante dal non aver ancora portato a termine il compito. O ancora, l’approcciarsi della fine di un task potrebbe ridurre l’opportunity cost, ovvero il costo della scelta di dedicarsi a quella specifica attività rispetto ad una alternativa, potenzialmente più piacevole (Emanuel et al., 2020), proprio perché detta alternativa risulterebbe più vicina nel tempo, aumentando la motivazione verso l’ultimo sforzo richiesto per portare a termine il compito.
Se quindi innumerevoli variabili, una fra tutte la distanza dalla fine del task, influenzano la disposizione dell’individuo nell’affrontarlo, è lecito immaginare che anche la performance rifletta tali variazioni: generalmente i compiti cognitivi sono contraddistinti da una curva di apprendimento, caratterizzata dall’apice di tale curva, detta asintoto, che rappresenterà nominalmente l’abilità massima dell’individuo in quel compito e la velocità con cui tale asintoto viene raggiunto, che riflette la velocità di apprendimento nel compito stesso.
Alla luce di queste premesse, Katzir e colleghi (2020) hanno condotto una ricerca per determinare come gli effetti dell’introduzione di un punto di riferimento saliente (fine del compito) e la conseguente allocazione di maggiori risorse nel completamento del compito stesso, impattassero sulla performance degli individui in compiti cognitivi complessi: un asintoto maggiore nella condizione in cui venisse rimarcata la porzione di compito rimanente, rispetto alla condizione in cui questo riferimento non veniva introdotto, avrebbe messo in dubbio la nozione che tale risultato rifletta la massima abilità dell’individuo in quel compito, suggerendo invece l’impatto della motivazione sulla performance stessa. Allo stesso modo anche una maggior ripidità nella curva di apprendimento, ovvero un minor tempo impiegato per raggiungere l’asintoto, rifletterebbe il peso della motivazione sulla velocità di apprendimento. Inoltre, gli autori hanno indagato la percezione soggettiva di fatica del soggetto in presenza di un riferimento circa la porzione rimanente di compito: se la fatica percepita dipendesse esclusivamente dai reali sforzi del soggetto, ci si aspetterebbe che l’introduzione del punto di riferimento saliente non alteri tale percezione; al contrario, una diminuzione della fatica percepita in prossimità della fine del compito potrebbe riflettere la diminuzione dell’opportunity cost (Kruzban et al., 2013), supponendo che l’avvicinarsi di un’alternativa più piacevole possa rendere meno gravoso lo sforzo di portare a termine il compito.
Gli autori hanno sottoposto i partecipanti a due esperimenti che differivano solo nel numero di “blocchi” da completare: il primo, composto da 10 blocchi, era suddiviso in 240 trial, mentre il secondo era composto da 12 blocchi. I compiti proposti consistevano in due differenti versioni dello Stroop task e due versioni di un compito di orientamento spaziale. Metà dei partecipanti sono poi stati assegnati alla condizione Feedback, nella quale essi venivano informati ogni 30 trial sul loro progresso nella risoluzione del singolo blocco, oppure il progresso relativo all’intero compito; la seconda metà dei soggetti non riceveva invece alcun tipo di feedback sulla durata del task e sul loro livello di completamento dello stesso. Alla fine di ogni blocco, ai partecipanti era richiesto di ricopiare una combinazione alfanumerica su di un foglio, consentendo loro di distogliere l’attenzione dal computer e garantendo una pausa prima della ripresa del compito, che avveniva solo quando il soggetto stesso avesse premuto un comando sulla tastiera: la lunghezza della pausa è stata registrata come misura della motivazione, prevedendo che pause più brevi riflettessero una maggiore motivazione nel riprendere il compito e giungere alla risoluzione.
L’analisi statistica dei dati ottenuti ha confermato come i soggetti che ricevevano un feedback circa la porzione rimanente di compito (ma non del singolo blocco) avevano performance migliori e ricorrevano a pause più brevi, riportando inoltre una minor fatica percepita rispetto al gruppo di controllo specialmente verso la fase finale dell’esperimento. Ciò supporterebbe l’ipotesi dell’impatto della motivazione verso una rapida risoluzione del compito. Da ultimo, un dispiego di sforzi maggiori verso la fine di un compito a fronte (e nonostante) una maggior fatica riferita, risulta compatibile con l’ipotesi di un minor opportunity cost, ma non con spiegazioni alternative che fanno riferimento all’esaurimento delle energie cognitive, come ad esempio l’Ego Depletion Theory (Baumeister et al., 2007).
Resta da verificarsi la replicabilità dei risultati ottenuti in contesti scolastici o con compiti più stimolanti che risentano meno del calo della motivazione, tuttavia essi suggeriscono in via preliminare come l’inserimento di un feedback semplice ed economico, circa il progresso nello svolgimento di un compito, possa da ultimo risultare in performance migliori, minore percezione di fatica e allo sviluppo di differenti strategie di allocazione delle risorse individuali nella risoluzione di un compito.