Se Jung è considerato il caposcuola della psicologia analitica, Neumann fu certamente uno dei suoi più importanti allievi e seguaci. Il rapporto tra i due iniziò nel 1933, quando Jung era già affermato (aveva 58 anni), Neumann (che ne aveva 28) si proponeva di diventare analista e Hitler in Germania aveva appena conquistato il potere…
Nella prima parte di questa recensione si è cercato soprattutto di raccontare le singolari vicende della traduzione italiana dell’epistolario tra Carl Gustav Jung e Erich Neumann, vicende che meritavano un resoconto dettagliato. Vale però la pena di tornare su questo volume, per cercare di approfondirne maggiormente il contenuto.
Se Jung è considerato il caposcuola della psicologia analitica, Neumann fu certamente uno dei suoi più importanti allievi e seguaci. Il rapporto tra i due iniziò nel 1933, quando Jung era già affermato (aveva 58 anni), Neumann (che ne aveva 28) si proponeva di diventare analista e Hitler in Germania aveva appena conquistato il potere. Neumann, ebreo berlinese e convinto sionista, decise ben presto di espatriare e trasferirsi in Palestina. Tuttavia, avendo conosciuto Jung in occasione di un suo seminario estivo a Berlino, si fermò a Zurigo per potersi sottoporre con lui ad analisi personale a scopo di formazione. Le primissime lettere testimoniano in effetti del primo appuntamento offerto al giovane candidato e del primo paziente che Jung gli inviò, già all’inizio del 1934, a testimonianza di una notevole stima nei suoi confronti. Dal canto suo, Neumann manifestò sempre una grande reverenza verso Jung ma non se ne sentì mai intimidito: in una lettera scritta prima del trasferimento a Tel Aviv (a metà 1934) l’allievo scrisse al maestro una lunga lettera (4N), nella quale chiedeva spiegazioni per la sua decisione di accettare la presidenza dell’Associazione medica internazionale di psicoterapia, che era ormai fortemente allineata sulle posizioni della sezione tedesca, già del tutto nazificata. In effetti l’Istituto psicoanalitico di Berlino era stato cancellato, si può dire, con un tratto di penna, dato che la psicoanalisi, fondata dall’ebreo Freud e praticata soprattutto da ebrei, era considerata dai nazisti entartete Wissenschaft, scienza degenerata. Al suo posto era sorto l’Istituto Goering, dal nome del noto psicoterapeuta, cugino dell’ancora più noto comandante della Luftwaffe. In questa situazione Jung, per di più, scrisse un articolo estremamente inopportuno per la situazione storica, nel quale parlava delle differenze tra ‘inconscio ariano’ e ‘inconscio ebraico’, ritenendo Freud e Adler inconsapevoli della propria Ombra (come tecnicamente la psicologia analitica definisce il lato oscuro della propria personalità), in questo si sarebbero dimostrati esponenti tipici del popolo ebraico (Jung, 1934a). L’articolo venne assai criticato soprattutto dallo psichiatra svizzero Gustav Bally (1934), al quale Jung rispose che non era certo sua intenzione assumere una posizione antisemita e che idee simili le aveva esposte in tempi non sospetti (Jung, 1934b). Evidentemente Bally fu convinto dalla risposta di Jung, o almeno dal suo successivo comportamento, dato che dopo la Seconda guerra mondiale ebbe occasione di parlare dello psichiatra svizzero in modo molto favorevole (Ellenberger, 1970). Jung, in effetti, aiutò diversi colleghi ebrei a espatriare e, come si è saputo anni dopo la sua morte, collaborò con il servizio segreto britannico.
Come si legge nell’ampio e indispensabile saggio introduttivo al carteggio Jung-Neumann, firmato da Martin Liebscher, la posizione di Jung suscitò lo sconcerto dei suoi diversi allievi di origine ebraica. James Kirsch, uno dei più noti, scrisse un intervento in cui, se da una parte difendeva Jung dall’accusa di antisemitismo da parte di Bally, dall’altra definiva assai unilaterali le sue posizioni (Liebscher, 2015, p. 31). La discussione tra Jung e Kirsch proseguì in una serie di lettere (pubblicate in: Jung, J. Kirsch, 2011). Jung però la chiuse eleggendo di fatto proprio Erich Neumann come proprio interlocutore rispetto alla questione ebraica, illudendo però ambedue gli interlocutori sul proprio interesse ad approfondire la cultura ebraica al fine di scrivere un saggio psicologico sull’argomento. Una tale impresa fu alla fine compiuta dallo stesso Neumann, il quale tenne un seminario dal titolo Seelenproblemen des modernen Juden (Problemi dell’anima degli ebrei moderni), che purtroppo è andato perduto. Neumann in effetti difese in pubblico Jung anche da Kirsch, ma nell’epistolario sembra in parte deluso dal proprio maestro. Questi, di fronte ai suggerimenti culturali in merito all’ebraismo contenuti nelle lettere di Neumann non sembra dare molto seguito, chiedendo piuttosto che questi gli parli del suo rapporto con la Palestina in quanto terra.
Se però Jung si dimostrò restio a discutere la cultura ebraica in generale, più volte ritornò su questioni teologiche nelle lettere a Neumann. Alcuni contenuti dell’epistolario risultano di particolare interesse per chi studi questo aspetto del pensiero junghiano. In questa sede si può ricordare almeno un chiarimento sugli spunti a proposito della psicologia di Dio, presenti soprattutto in Risposta a Giobbe (Jung, 1952a). Ufficialmente, Jung non considerava queste idee come una descrizione del divino, ma solo di come l’uomo si era trovato a descrivere il divino nella Bibbia (Jung, 1952b). Nelle lettere a Neumann, invece, questa cautela viene meno, e Jung può chiaramente affermare che Dio cerca l’uomo per diventare una cosa sola con esso (lettera 89J, p. 335) e che la ragione per cui lo cerca è che senza l’uomo Dio è inconscio (lettera 119J, pp. 390-393; per maggiori approfondimenti sulla teologia di Jung, mi permetto di rinviare a Innamorati, 2013).
Nel corso del tempo Neumann divenne, da semplice allievo, un riferimento importante per Jung, che a proposito della Storia delle origini della coscienza (Neumann, 1949a) si spinse a scrivere in una lettera:
In questo libro Lei sviluppa molti temi meglio di me e porta avanti parecchi aspetti su cui invece mi ero bloccato alle prime difficoltà (lettera 42J, p. 251).
In seguito, nella prefazione che Jung stesso scrisse al libro di Neumann, lo svizzero confermò la stessa opinione:
La sua opera mi giunge particolarmente gradita; essa infatti comincia proprio là dove anch’io, se mi fosse concessa un’altra vita, avrei iniziato a radunare i disiecta membra dei miei scritti, a selezionare e a organizzare in un insieme organico tutti quegli ‘spunti senza seguito’ (Jung, 1949, p. 225).
In effetti pare che nei convegni annuali di Eranos, che raccoglievano i principali esponenti della psicologia analitica (Neumann vi partecipò a partire dal 1948), le frequenti conversazioni informali tra Jung e Neumann tacitavano tutti gli astanti. Simili attenzioni da parte di Jung attirarono invidie sotterranee e anche l’esplicita ostilità da parte di membri influenti del gruppo degli allievi zurighesi, tra tutti Carl Alfred Meier e Jolande Jacobi: il prezioso saggio di Liebscher ricostruisce, facendo largo uso di documenti inediti, anche la storia dei rapporti tra Neumann e gli altri junghiani, spiegando così almeno parte dei motivi per cui, malgrado la considerazione in cui fu tenuto da Jung, la sua opera sia rimasta relativamente sottovalutata in seno al movimento junghiano, al punto che ambedue gli studi più ampi su tale movimento (Samuels, 1985; T. Kirsch, 2000) gli dedicano uno spazio sorprendentemente limitato.
In ogni caso proprio chi sia interessato ad approfondire lo studio di Erich Neumann troverà le maggiori motivazioni nella lettura di questo epistolario, dato che le lettere di Neumann sono più numerose, più ampie e gettano una luce molto significativa su quali fossero i suoi spunti di maggiore originalità rispetto a Jung. Inversamente, un documento significativo e inedito sulle specifiche riserve che Jung poteva nutrire a proposito delle idee di Neumann compare in appendice a questo epistolario. Si tratta di uno scritto che contiene le correzioni e le modifiche proposte da Jung per la pubblicazione in inglese di un altro importante libro neumanniano: Psicologia del profondo e nuova etica (Neumann, 1949b).