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Genitori non si nasce…si diventa!

Cosa significa essere genitori? Qual è il compito da assolvere? E' grazie alla cogenitorialità che si supporta il figlio in un sano sviluppo personale

Di Francesca Rendine

Pubblicato il 15 Nov. 2019

La cogenitorialità, ovvero l’unione delle pratiche che la coppia di genitori mette in atto per supportare il proprio figlio in un sano sviluppo personale, può essere osservata in concreto attraverso indici specifici, quali: la solidarietà, l’antagonismo, la divisione del lavoro e l’impegno reciproco.

 

…le famiglie che si adattano al meglio alle numerose sfide della vita sono in genere quelle in cui esiste una collaborazione supportiva fra gli adulti… (Minuchin, 1974)

Cosa significa essere un genitore? Qual è il compito da assolvere rispetto alla crescita del proprio figlio? In che modo la coppia coniugale cambia per diventare genitoriale?

La coppia coniugale si trasforma con l’arrivo di un figlio, diventa anche una coppia genitoriale: un sistema che vede due individui cooperare per la crescita di un terzo, ma che a sua volta evolve in una triade. Coniugi e bambino diventano così un “piccolo gruppo” di tipo multipersonale, tale non solo per la presenza di più individui, ma per le due linee di sviluppo interne che vengono a costituirsi in termini di processi di regolazione e di interiorizzazione delle relazioni.

Il processo di regolazione delle relazioni ci offre una misura di come un dato comportamento può avere un effetto regolativo o disregolativo sull’altro, assieme al processo di interiorizzazione delle relazioni che è in grado di contenere tutti quei significati personali, emotivi e profondi, con cui noi “leggiamo” quello specifico legame che ci lega all’altro.

Guardiamo in concreto questi processi: l’espressione di rabbia di un figlio viene accolta dai genitori, trovando ascolto. Al figlio viene insegnato a “normalizzare” un’emozione come la rabbia attraverso le parole, cercando dunque una connessione fra il proprio sentire e la causa di ciò. I genitori permettono in questo ascolto una regolazione dello stato emotivo del figlio, avviando un processo di razionalizzazione che permette al figlio di comprendere la sua rabbia senza agirla in maniera negativa o distruttiva (regolazione). Al contempo il figlio interiorizza una modalità di relazione aperta ed empatica, capace di offrire contenimento anche a stati emotivi negativi (interiorizzazione).

E’ dinanzi ad eventi di collera, richieste di autonomia, definizione di regole, richieste esplorative che un genitore “diventa” tale: sperimenta, fa tentativi, sbaglia e ripara, definendo così la propria funzione genitoriale. Questa funzione comprende tutte quelle pratiche che il genitore mette in atto per allevare i propri figli che sono accompagnate da: idee, credenze e aspettative che il genitore possiede, nonché da fattori emotivi, dunque emozionali.

L’unione della funzione genitoriale di entrambi i genitori ha permesso, a ricercatori e studiosi, di poter studiare il gruppo familiare non più attraverso il modello diadico (madre-bambino; padre-bambino; genitoreX-genitoreY), ma considerando il triangolo, come quella configurazione relazionale che costituisce la base del sistema emotivo della famiglia, sia essa nucleare o estesa. L’utilizzo di questa nuova configurazione, per l’analisi e la valutazione delle dinamiche familiari, permette di poter supportare nei percorsi alla genitorialità l’intero sistema in un’ottica che definisce come prezioso strumento la complessità della triade stessa evitando il rischio di “una parcellizzazione del sistema e una perdita del senso totale della relazione.”.

Tale cambiamento ci permette oggi di parlare di “cogenitorialità” , ovvero l’unione delle pratiche che la coppia genitoriale mette in atto per supportare il proprio figlio in un sano sviluppo personale. La cogenitorialità, può essere osservata in concreto attraverso indici specifici, quali: la solidarietà, l’antagonismo, la divisione del lavoro e l’impegno reciproco.

La solidarietà si configura come una forma di cooperazione intergenitoriale per cui vi è da parte del genitore un’agire che è esercitato e convalidato reciprocamente dall’altro, contribuendo ad un clima di integrità familiare.

L’antagonismo sulla quale invece si configurano i conflitti familiari, secondo cui appaiono maggiormente deleteri per la salute e l’adattamento del bambino, quelli riguardanti la gestione del figlio stesso, rispetto a quelli propriamente coniugali. L’antagonismo si configura come un’azione contraria all’indice della solidarietà, in cui il genitore convalida e sostiene l’agire dell’altro genitore. Nell’antagonismo vengono rilevate: reciproche svalutazioni, competitività ed una distanza fra le idee genitoriali. Quest’ultima ci indica la presenza di differenti credenze e dunque differenti pratiche che tendono a generare una disarmonia.

La divisione del lavoro, appare un compito determinante a cui entrambi i genitori devono assolvere sopratutto nella fase di transizione alla genitorialità, in particolare per tutti quei compiti “pratici” svolti per la sussistenza fisica del nascituro.

In ultimo, non per importanza, è considerato l’impegno reciproco inteso come “ago della bilancia” nelle dinamiche di invischiamento, impegno e disimpegno emozionale. Nel caso di invischiamento il genitore tende ad essere intrusivo rispetto al bambino cercando in lui sostegno emotivo, ancor prima che nel coniuge oppure affidando al figlio un potere decisionale inadeguato. All’estremo opposto si colloca il disimpegno emozionale in cui il disaccordo cogenitoriale genera una frattura comunicativa fra i coniugi, un ritiro rispetto ad un’esigenza di bisogno condiviso ed in ultimo una mancata risposta al problema sollevato.

I genitori, come architetti e capi della famiglia, creano relazioni in maniera congiunta. (J.P. McHale, 2010)

Nella relazione triadica il genitore crea dunque una relazione, rispondendo a bisogni, comportamenti e richieste che diventano via via sempre più strutturate. E’ in questa complessa costruzione che il genitore sperimenta:

  • la capacità di esercitare una funzione efficace ovvero di sperimentare, nel tempo, un’autoefficacia educativa, dapprima rilevabile nella capacità di risolvere il problema, in un secondo tempo nel prevenirlo;
  • la competenza genitoriale, ovvero quell’insieme di scelte ed atti che presuppongono alla base un’abilità trasversale che è quella di assolvere alla cura dei figli;
  • la soddisfazione, ovvero quella dimensione soggettiva dell’esperienza genitoriale;
  • l’attribuzione, ovvero la capacità e la tendenza del genitore a rintracciare “cause” ed “eventi” con un locus interno o esterno, rispetto a sé ed al bambino.

L’intero e le parti sono complementari ed indispensabili l’un l’altra. (Spiegel, 1971)

Benché esista dunque un’individualità ed un rapporto diadico che genera un grado necessario di separazione, una sana cogenitorilità opererà sempre per la costituzione di un triangolo eterogeneo ma al contempo integrato.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Benedetto, L. (2017). Il parent training. Nona edizione. Carocci editore, Bussole.
  • APF (accademia di terapia familiare) N°100 – Novembre (2012). Terapia familiare. Rivista interdisciplinare di ricerca e intervento relazionale, Franco Angeli.
  • McHale P. (2010). La sfida alla cogenitorilità. Raffaello Cortina Editore.
  • M. Malagoli Togliatti, S. Mazzoni (2006). Osservare, valutare e sostenere la relazione genitori-figli. Il Lausanne Trilogue Play Clinico. Raffaello Cortina Editore.
 
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