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I tratti di personalità sono in grado di modulare le nostre scelte alimentari?

Un'interessante riflessione su cosa influenza le nostre scelte alimentari, analizzando diversi studi che considerano aspetti esterni ed interni alla persona

Di Alessandra De Toffoli

Pubblicato il 11 Ott. 2019

Gli esseri umani nascono con una predilezione per i cibi dolci e con un’avversione per i cibi amari. Ma qual è il ruolo dei tratti della personalità nelle scelte alimentari?

 

È noto che il gradimento per il dolce è innato negli esseri umani e spazia in tutte le epoche e culture del mondo, rendendo il sapore dolce una parte fondamentale della nostra dieta. Il piacere del dolce è intenso durante l’infanzia, probabilmente a causa dell’esigenza nutrizionale di consumare cibi energetici (Mennella, 2014), e diminuisce nell’arco della vita (De Graaf & Zandstra, 1999).

Allo stesso modo, l’avversione per l’amaro è innata e ha origini lontane legate alla sopravvivenza e al fatto che la maggior parte dei veleni e delle sostanze nocive di origine vegetale hanno questo sapore. Questa attitudine ancestrale, ancora oggi, tende a farci associare gli alimenti amari a cibi potenzialmente pericolosi e quindi da evitare.

Le preferenze alimentari, invece, non sono elementi statici e universali: è stato osservato, infatti, che un individuo modifica almeno in parte le proprie preferenze alimentari nel corso della vita. È intuibile come i fattori determinanti in questo caso siano il condizionamento ambientale, come la cultura di appartenenza, le abitudini alimentari familiari e le esperienze sensoriali nel corso della vita, e le esperienze correlate agli altri sensi che stimolano l’individuo al consumo, basti pensare all’importanza del packaging nel processo di acquisto di un prodotto.

Non solo, anche i tratti di personalità influiscono su ciò che decidiamo di mettere in bocca, modulando le scelte e gli stili alimentari in tutte le fasi della nostra vita (Mõttus et al., 2013).

Numerosi studi hanno indagato la relazione tra i tratti di personalità del Big Five e le scelte alimentari. Nella ricerca condotta da Keller e Siegrist (2015) dell’Università di Zurigo è emerso che un’alta apertura mentale e una forte coscienziosità sono associate ad uno stile alimentare più sano, caratterizzato da un maggiore consumo di frutta e di verdura e da un minore consumo di carne e di bevande dolci. La coscienziosità è risultata associata anche ad una riduzione dell’alimentazione emotiva (mangiare come strategia di coping per fronteggiare emozioni negative e/o stress) e dell’alimentazione in risposta a stimoli esterni (mangiare in risposta a stimoli ambientali invece che in risposta a stimoli interni come la fame). L’amabilità è risultata correlata ad un ridotto consumo di carne, mentre il nevroticismo ad una maggiore alimentazione emotiva ed esterna con conseguente consumo di cibi dolci, saporiti e calorici. L’estroversione è risultata promuovere il consumo di cibi ricchi e saporiti, di carne e di bevande dolci sottolineando il ruolo cruciale svolto dalla tendenza a mangiare in risposta a stimoli esterni, ambientali o sociali legati agli alimenti (come la vista o l’odore del cibo) indipendentemente dalla sensazione di fame o di sazietà.

Un tratto particolarmente interessante nell’ambito delle Scienze Sensoriali è la neofobia alimentare (Pliner & Hobden, 1992), ossia la diffidenza ad assaggiare cibi mai provati prima e diversi dal solito. Questa caratteristica è in parte geneticamente determinata e in parte influenzata dalle abitudini alimentari dei genitori. Alcuni studiosi hanno sottolineato il valore adattivo di questo tratto, considerandolo un bagaglio fondamentale di precauzioni dei nostri antenati volto a garantirne la sopravvivenza, evitando il consumo di alimenti nuovi e quindi potenzialmente nocivi.

Nella realtà attuale la neofobia assume invece connotati controproducenti in quanto risulta essere associata ad una dieta poco equilibrata e bilanciata, ad una bassa preferenza e ad un minor consumo di vegetali sia nei bambini (Kral, 2018) che negli adulti (Knaapila et al., 2011; Törnwall et al., 2014). Due recenti studi italiani hanno dimostrato che le persone neofobiche (con punteggi alti di neofobia) tendono a percepire come maggiormente intense le sensazioni critiche, come l’amaro, l’astringente e il piccante, e a gradire di meno i prodotti con queste caratteristiche rispetto ai neofilici (con punteggi bassi di neofobia; Laureati et al., 2018; Spinelli et al., 2018).

 Inoltre, Raudenbush e Capiola (2012) hanno valutato le reazioni fisiologiche dei due gruppi in risposta a immagini alimentari e non. I risultati evidenziano che non ci sono differenze significative tra i due gruppi in relazione agli stimoli non alimentari. Al contrario, in presenza di stimoli alimentari, i neofobici presentano una maggiore attivazione del Sistema Nervoso Autonomo, valutata attraverso la conduttanza cutanea della pelle e la respirazione, indicando un coinvolgimento emotivo soprattutto a livello simpatico.

Anche la sensibilità alla punizione e la sensibilità alla ricompensa sembrano giocare un ruolo chiave nelle preferenze alimentari. Nella teoria della sensibilità al rinforzo (RST), Gray e McNaughton (2008) proposero l’esistenza di due sistemi cerebrali che regolano, rispettivamente, la prevenzione di stimoli avversi (il sistema comportamentale di inibizione) e l’approccio a stimoli appetitivi (il sistema comportamentale di attivazione). La sensibilità alla punizione è risultata essere negativamente associata al gradimento di cibi piccanti, mentre la sensibilità alla ricompensa è risultata essere positivamente associata al consumo di peperoncino, al gradimento e alla scelta di cibi piccanti (Byrnes & Hayes, 2013; Spinelli et al., 2018). Studi recenti hanno anche evidenziato un’associazione tra la sensibilità alla ricompensa e alcuni comportamenti alimentari non salutari, come la preferenza e il consumo di cibi dolci e grassi, il maggiore consumo di alcol e la frequenza del fumo (Davis et al., 2007; Morris, Treloar, Tsai, McCarty, & McCarthy, 2016; Tapper, Baker, Jiga-Boy, Haddock, & Maio, 2015).

L’alessitimia, un disturbo dell’elaborazione degli affetti che interferisce con i processi di auto-regolazione e riorganizzazione delle emozioni, è risultata associata ad alcuni comportamenti compulsivi quali l’abbuffarsi di cibo e l’abuso di sostanze (Parker, Bagby, Taylor, Endler, & Schmitz, 1993). Nello studio italiano di Robino e colleghi (2016) condotto su 649 soggetti è emerso che le persone con alta alessitimia hanno una maggiore preferenza per gli alcolici, i dolci, i cibi grassi e la carne, tutti prodotti connotati da alta palatabilità e piacevolezza. I soggetti con bassa alessitimia risultano preferire maggiormente le verdure e i formaggi saporiti, tutti stimoli fortemente connotati da un punto di vista sensoriale (come il peperocino, la cipolla e l’aglio).

Infine, diversi studi hanno indagato il ruolo della consapevolezza corporea (Miller, Murphy, & Buss, 1981), riportando che gli individui con alta consapevolezza sono maggiormente in grado di rilevare e identificare le differenze nelle proprietà sensoriali degli alimenti rispetto agli individui con bassa consapevolezza a causa della loro maggiore sensibilità agli stimoli sensoriali (Jaeger, Andani, Wakeling, & MacFie, 1998). Questo tratto è stato anche collegato con la sensibilità alle sensazioni causate da cibi piccanti: gli individui altamente consapevoli delle variazioni dei propri stati interni tenderebbero a giudicare la sensazione di bruciore (derivante dalla presenza di capsaicina) come più intensa rispetto agli individui con bassa consapevolezza (Ferguson & Ahles, 1998), ma non tutti gli studi supportano questi risultati (Byrnes & Hayes, 2013).

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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  • Ferguson, R. J., & Ahles, T. A. (1998). Private body consciousness, anxiety and pain symptom reports of chronic pain patients. Behaviour Research and Therapy. https://doi.org/10.1016/S0005-7967(98)00048-5
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