Gli esseri umani nascono con una predilezione per i cibi dolci e con un’avversione per i cibi amari. Ma qual è il ruolo dei tratti della personalità nelle scelte alimentari?
È noto che il gradimento per il dolce è innato negli esseri umani e spazia in tutte le epoche e culture del mondo, rendendo il sapore dolce una parte fondamentale della nostra dieta. Il piacere del dolce è intenso durante l’infanzia, probabilmente a causa dell’esigenza nutrizionale di consumare cibi energetici (Mennella, 2014), e diminuisce nell’arco della vita (De Graaf & Zandstra, 1999).
Allo stesso modo, l’avversione per l’amaro è innata e ha origini lontane legate alla sopravvivenza e al fatto che la maggior parte dei veleni e delle sostanze nocive di origine vegetale hanno questo sapore. Questa attitudine ancestrale, ancora oggi, tende a farci associare gli alimenti amari a cibi potenzialmente pericolosi e quindi da evitare.
Le preferenze alimentari, invece, non sono elementi statici e universali: è stato osservato, infatti, che un individuo modifica almeno in parte le proprie preferenze alimentari nel corso della vita. È intuibile come i fattori determinanti in questo caso siano il condizionamento ambientale, come la cultura di appartenenza, le abitudini alimentari familiari e le esperienze sensoriali nel corso della vita, e le esperienze correlate agli altri sensi che stimolano l’individuo al consumo, basti pensare all’importanza del packaging nel processo di acquisto di un prodotto.
Non solo, anche i tratti di personalità influiscono su ciò che decidiamo di mettere in bocca, modulando le scelte e gli stili alimentari in tutte le fasi della nostra vita (Mõttus et al., 2013).
Numerosi studi hanno indagato la relazione tra i tratti di personalità del Big Five e le scelte alimentari. Nella ricerca condotta da Keller e Siegrist (2015) dell’Università di Zurigo è emerso che un’alta apertura mentale e una forte coscienziosità sono associate ad uno stile alimentare più sano, caratterizzato da un maggiore consumo di frutta e di verdura e da un minore consumo di carne e di bevande dolci. La coscienziosità è risultata associata anche ad una riduzione dell’alimentazione emotiva (mangiare come strategia di coping per fronteggiare emozioni negative e/o stress) e dell’alimentazione in risposta a stimoli esterni (mangiare in risposta a stimoli ambientali invece che in risposta a stimoli interni come la fame). L’amabilità è risultata correlata ad un ridotto consumo di carne, mentre il nevroticismo ad una maggiore alimentazione emotiva ed esterna con conseguente consumo di cibi dolci, saporiti e calorici. L’estroversione è risultata promuovere il consumo di cibi ricchi e saporiti, di carne e di bevande dolci sottolineando il ruolo cruciale svolto dalla tendenza a mangiare in risposta a stimoli esterni, ambientali o sociali legati agli alimenti (come la vista o l’odore del cibo) indipendentemente dalla sensazione di fame o di sazietà.
Un tratto particolarmente interessante nell’ambito delle Scienze Sensoriali è la neofobia alimentare (Pliner & Hobden, 1992), ossia la diffidenza ad assaggiare cibi mai provati prima e diversi dal solito. Questa caratteristica è in parte geneticamente determinata e in parte influenzata dalle abitudini alimentari dei genitori. Alcuni studiosi hanno sottolineato il valore adattivo di questo tratto, considerandolo un bagaglio fondamentale di precauzioni dei nostri antenati volto a garantirne la sopravvivenza, evitando il consumo di alimenti nuovi e quindi potenzialmente nocivi.
Nella realtà attuale la neofobia assume invece connotati controproducenti in quanto risulta essere associata ad una dieta poco equilibrata e bilanciata, ad una bassa preferenza e ad un minor consumo di vegetali sia nei bambini (Kral, 2018) che negli adulti (Knaapila et al., 2011; Törnwall et al., 2014). Due recenti studi italiani hanno dimostrato che le persone neofobiche (con punteggi alti di neofobia) tendono a percepire come maggiormente intense le sensazioni critiche, come l’amaro, l’astringente e il piccante, e a gradire di meno i prodotti con queste caratteristiche rispetto ai neofilici (con punteggi bassi di neofobia; Laureati et al., 2018; Spinelli et al., 2018).
Inoltre, Raudenbush e Capiola (2012) hanno valutato le reazioni fisiologiche dei due gruppi in risposta a immagini alimentari e non. I risultati evidenziano che non ci sono differenze significative tra i due gruppi in relazione agli stimoli non alimentari. Al contrario, in presenza di stimoli alimentari, i neofobici presentano una maggiore attivazione del Sistema Nervoso Autonomo, valutata attraverso la conduttanza cutanea della pelle e la respirazione, indicando un coinvolgimento emotivo soprattutto a livello simpatico.
Anche la sensibilità alla punizione e la sensibilità alla ricompensa sembrano giocare un ruolo chiave nelle preferenze alimentari. Nella teoria della sensibilità al rinforzo (RST), Gray e McNaughton (2008) proposero l’esistenza di due sistemi cerebrali che regolano, rispettivamente, la prevenzione di stimoli avversi (il sistema comportamentale di inibizione) e l’approccio a stimoli appetitivi (il sistema comportamentale di attivazione). La sensibilità alla punizione è risultata essere negativamente associata al gradimento di cibi piccanti, mentre la sensibilità alla ricompensa è risultata essere positivamente associata al consumo di peperoncino, al gradimento e alla scelta di cibi piccanti (Byrnes & Hayes, 2013; Spinelli et al., 2018). Studi recenti hanno anche evidenziato un’associazione tra la sensibilità alla ricompensa e alcuni comportamenti alimentari non salutari, come la preferenza e il consumo di cibi dolci e grassi, il maggiore consumo di alcol e la frequenza del fumo (Davis et al., 2007; Morris, Treloar, Tsai, McCarty, & McCarthy, 2016; Tapper, Baker, Jiga-Boy, Haddock, & Maio, 2015).
L’alessitimia, un disturbo dell’elaborazione degli affetti che interferisce con i processi di auto-regolazione e riorganizzazione delle emozioni, è risultata associata ad alcuni comportamenti compulsivi quali l’abbuffarsi di cibo e l’abuso di sostanze (Parker, Bagby, Taylor, Endler, & Schmitz, 1993). Nello studio italiano di Robino e colleghi (2016) condotto su 649 soggetti è emerso che le persone con alta alessitimia hanno una maggiore preferenza per gli alcolici, i dolci, i cibi grassi e la carne, tutti prodotti connotati da alta palatabilità e piacevolezza. I soggetti con bassa alessitimia risultano preferire maggiormente le verdure e i formaggi saporiti, tutti stimoli fortemente connotati da un punto di vista sensoriale (come il peperocino, la cipolla e l’aglio).
Infine, diversi studi hanno indagato il ruolo della consapevolezza corporea (Miller, Murphy, & Buss, 1981), riportando che gli individui con alta consapevolezza sono maggiormente in grado di rilevare e identificare le differenze nelle proprietà sensoriali degli alimenti rispetto agli individui con bassa consapevolezza a causa della loro maggiore sensibilità agli stimoli sensoriali (Jaeger, Andani, Wakeling, & MacFie, 1998). Questo tratto è stato anche collegato con la sensibilità alle sensazioni causate da cibi piccanti: gli individui altamente consapevoli delle variazioni dei propri stati interni tenderebbero a giudicare la sensazione di bruciore (derivante dalla presenza di capsaicina) come più intensa rispetto agli individui con bassa consapevolezza (Ferguson & Ahles, 1998), ma non tutti gli studi supportano questi risultati (Byrnes & Hayes, 2013).