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Formike e Kamikaze

Perchè in ambienti di enorme competizione e conflitto per la sopraffazione reciproca fra gruppi diversi, i kamikaze sono pronti a “farsi saltare”?

Di Mariateresa Fiocca

Pubblicato il 22 Ott. 2019

Cosa spinge un giovane ad aderire alla causa jihādista, abbandonando famiglia e affetti, affollando le fila di organizzazioni religiose estremiste, preparandosi a compiere sacrifici come quello di “farsi esplodere”? Cosa suggeriscono l’economia, la psicologia e gli approcci evoluzionistici sul fenomeno dei kamikaze?

 

A metà settembre, l’Amministrazione del Presidente americano, Donald Trump, ha annunciato la volontà di svelare l’identità di un funzionario saudita, legato al governo di Riad, che assolse un ruolo organizzativo durante gli attentati dell’11 settembre 2001 contro il World Trade Center. A dare la notizia è stato il The Wall Street Journal (Gurman, Viswanatha, 2019), spiegando che il Dipartimento della Giustizia USA ha stabilito di riferire il nome dell’individuo, pur rischiando una rottura diplomatica con l’Arabia Saudita, paese loro alleato. L’FBI ha annunciato che l’identità della persona, che compare in un documento di indagine del 2012, sarà comunicata ai legali delle vittime dell’attentato alle Torri Gemelle che ne avevano fatto richiesta. In base alle prime ricostruzioni, sembra si tratti di un funzionario del sud della California, che aveva fornito ai kamikaze istruzioni pratiche su come modificare la rotta di un aereo passeggeri. Il governo saudita ha ripetutamente negato alcun suo coinvolgimento, sebbene 15 dei 19 terroristi che effettuarono l’attentato fossero sauditi, come Osama bin Laden.

Da questa notizia di attualità sorgono gli spunti di riflessione del presente contributo, che ha natura interdisciplinare. Cosa spinge un giovane ad aderire alla causa jihādista abbandonando famiglia e affetti, affollando le fila di organizzazioni religiose estremiste, preparandosi a compiere sacrifici come quello di “farsi esplodere”? Cosa suggeriscono l’economia, la psicologia e gli approcci evoluzionistici sul fenomeno dei kamikaze?

Negli ultimi anni si sono avvicendate molte teorie sulla genesi del terrorismo suicida. Ci limitiamo a sintetizzarne alcuni aspetti.

Sotto il profilo dell’economia dell’informazione e in un contesto di informazione asimmetrica, il terrorismo suicida può essere utilizzato contro il nemico come un meccanismo di segnalazione di dedizione e di fede sentita. Essendo un segnale costoso (si mette in gioco la propria vita), si tratta di una minaccia credibile e non di un mero “cheap talk”. Il kamikaze è invincibile, perché prima ancora di morire è già morto, è un morto vivente. La “decisione anticipatrice della morte” lo proietta nell’eternità di chi, morto come individuo, vive come icona sacrificale del gruppo. Si tratta di un “esplosione sacra”. Infatti, i kamikaze sono ispirati a “valori sacri” in alcun modo negoziabili. Proprio la portata messianica rende il terrorismo religioso molto più pericoloso della militanza militare. Sul terreno attecchisce la “cultura della morte”: quando per una forma di neoascetismo sacrificale si è disposti a morire, non c’è spazio per negoziazioni né per minacce efficaci da parte dell’avversario. Tale passaggio porta ad affrontare taluni aspetti psicologi del fenomeno.

Sotto tale profilo, il meccanismo psicologico jihādista è il medesimo che ha funzionato con i kamikaze giapponesi: costituire comunità chiuse con una marcata connotazione mistico-militare, dove tutti i partecipanti si sentano affratellati nella realizzazione di un progetto segreto e considerato di vitale importanza. Il meccanismo psicologico jihādista ha pure natura e motivazioni apocalittiche, secondo cui il mondo esistente sarebbe sull’orlo di una profonda trasformazione che richiede l’uso sistematico della violenza. Dunque, una violenza purificante come strumento di rinascita. Tale visione esprime anche tratti comuni al movimento giapponese Aum Shinriko, i cui affiliati – tra cui ingegneri e scienziati specializzati in farmacologia genetica – avevano rilasciato nella metro di Tokyo (20 marzo 1995) il letale gas nervino Sarin.

Inoltre, il valore del proprio martirio diventa inestimabile per coloro che hanno bisogno di certezze: lo jihādismo si legittima attraverso la religione, ma le cause profonde della sua forza sono psicologiche. Fa leva sulla scarsa autostima del soggetto, dando al potenziale kamikaze una sua forte e nobile identità – con un’aura di eroismo – e un proprio grande progetto da perseguire; si fonda sulla frustrazione di persone colte e istruite che non trovano sbocchi professionali; così pure, fa breccia sulla disperazione di chi abita in territori degradati; offre opportunità fondate sul sogno di rivalsa; crea un proprio welfare volto alla soddisfazione del qui e adesso: costruisce infrastrutture (porta l’elettricità nei villaggi e costruisce strade); apre mense; vaccina bambini; paga le famiglie dei kamikaze; sfrutta i social network a fini propagandistici, postando in rete immagini virali che suscitano eccitazione e indignazione; ricorre alla musica per creare identità e rafforzamento nell’immaginario collettivo; affina la manipolazione psicologica per reclutare foreign fighters da tutto il mondo; tocca le corde di sentimenti d’ingiustizia, umiliazione e riscatto; sollecita il bisogno di appartenenza; traduce il profano nel sacro.

Molta letteratura scientifica è concorde nel ritenere che i terroristi non siano pazzi. Anzi, l’arruolamento predilige gente affidabile, scartando chi dà segni di squilibrio. Il processo di selezione dura a lungo: una bomba obbediente e carica d’odio non si improvvisa. E non si sceglie a caso. La carriera di una bomba umana si dipana così dalle prime classi all’ombra di una guida spirituale, attenta a cogliere gli elementi più promettenti. Solo alcuni, infine, vengono selezionati come aspiranti martiri. Fino al grande giorno della chiamata. Il kamikaze esaspera pensieri che non sono esclusivi di un malato, ad esempio la capacità di visualizzare il Paradiso. Annulla la sua vita: è certo che quello sia il sistema più nobile per raggiungere l’aldilà; fede e nazione sono l’unica strada di salvezza e si immola in loro nome perché li considera valori più alti della vita stessa. Per prepararsi al proprio martirio, il futuro kamikaze si concentra sugli aspetti operativi in modo da evitare quelli emotivi; inibisce i sentimenti negativi con la dissimulazione.

Sotto il profilo evoluzionistico, la vocazione a sacrificarsi facendosi esplodere è trasversale, in quanto non è prerogativa dell’uomo, ma anche di alcune specie animali. Un fatto stilizzato, questo, riscontrato fra varie specie di formiche combattenti in diverse parti del mondo (Moffett, 2010). Animali “altruisti”, pronti a sacrificarsi per la propria “tribù”.

Un gruppo di ricercatori, guidati da Alice Laciny, del Museo di Storia Naturale di Vienna, insieme a esperti del Borneo, hanno effettuato uno studio sistematico (Lacinery, A. et al., 2018) in occasione del ritrovamento di nuova specie di formica sviluppatasi nelle foreste dell’Isola del Borneo – ricca di biodiversità – con vocazione di kamikaze, che i ricercatori hanno appunto chiamato “Colobopsis explodens”. Infatti, esse possono suicidarsi, in caso di attacco nemico, contraendo i muscoli addominali.

Aumentando la pressione della parete dell’addome, essa si squarcia, lacerando i tessuti e causando la morte dell’animale. Con l’esplosione, le formiche liberano una sostanza giallastra – appiccicosa, urticante e carica di tossine – attraverso alcune ghiandole prossime alla mandibola. Quest’ultima infatti ha dimensioni maggiori di quella delle altre specie a loro simili: in questo modo l’animale contiene più sostanza tossica da usare in fase di esplosione, causando la morte immediata dell’avversario.

In effetti, non si tratta di un ritrovamento del tutto nuovo poiché già nel 1916, fino al 1935, si erano individuate specie di formiche-kamikaze – allora appellate “giallo goo” per il colore della sostanza emanata una volta esplose – poi però sembrate scomparse. Tuttavia, dai recenti studi della Lacinery e dal suo team sono emersi aspetti particolarmente interessanti, quali l’“efficienza” della “Colobopsis explodens”: riesce a farsi esplodere velocemente e con molta facilità. La gerarchia del formicaio della “Colobopsis explodens” costituisce un ecosistema molto strutturato: le formiche operaie – sterili – escono presto la mattina per procurare il cibo per la comunità. Fra loro, una ristretta squadra rimane invece all’ingresso del formicaio in qualità di sentinelle. La peculiarità comportamentale di queste ultime è quella di sfiorare, toccando con le zampe, ciascuna formica che entra ed esce per riconoscere se appartiene alla stessa comunità. Nei loro esperimenti, volti a verificare la reale efficacia della “Colobopsis explodens”, i ricercatori hanno introdotto all’ingresso del formicaio una loro acerrima nemica, la formica tessitrice. Ebbene, è bastato appena lo sfioramento da parte delle formiche operaie addette alla sorveglianza per osservare come le stesse detonassero uccidendo all’istante lo straniero.

La colonia, dunque, appare un unico superorganismo: in caso di pericolo è disposta a sacrificare una parte di sé per salvare una parte più grande. Sebbene molto rari, esistono in natura altri animali “altruisti” organizzati in grandi colonie e strutture sociali complesse, pronti a sacrificarsi per la propria “tribù” (le api sono un altro importante esempio). Attività di cooperazione e di solidarietà, comportamenti altruistici fino al punto che un animale mette a repentaglio la propria vita a favore di altri esseri della sua specie, hanno portato alcuni a ritenere che, almeno in certi casi, l’evoluzione operi per il bene della specie, e non delle singole unità che la compongono.

L’esempio di una struttura gerarchica a colonia, dove alcune formiche si sacrificano per salvare la loro comunità, si attaglia a una delle motivazioni usate per spiegare perché alcuni soggetti scelgono di diventare kamikaze (Fiocca, Montedoro, 2006). Una delle spiegazioni fornite nel volume Fiocca-Montedoro è di tipo evoluzionistico à la Dawkins, noto biologo evoluzionista.

Secondo il darwinismo “ortodosso”, il perno su cui agisce la selezione naturale è il singolo essere vivente; questi presenta alcuni caratteri o ereditati dai propri ascendenti o che appaiono per la prima volta proprio in lui, per via di una mutazione casuale. L’evoluzione di una specie avviene quando un soggetto, che ha sperimentato tale mutazione casuale, ne trae da essa un vantaggio competitivo rispetto ai suoi simili nella lotta per la sopravvivenza. Infatti, tale vantaggio garantisce all’essere in questione un maggior successo riproduttivo e, pertanto, aumenta le probabilità che il nuovo carattere si trasmetta e si ripresenti nelle generazioni successive, fino a modificare l’intera specie.

Dawkins (1989) sposta la prospettiva dal soggetto nella sua interezza al gene, l’unità biologica elementare, che rende possibile la trasmissione dei caratteri ereditari. La competizione riproduttiva – primo imperativo in natura – sicché è svolta non a livello di singolo individuo /animale, bensì dai suoi geni. Questi ultimi difatti vivono all’interno di in contesto in continua evoluzione – la natura produce sempre nuovi geni – e di forte competizione – tipologie diverse di geni si combattono l’un l’altro per assicurarsi le risorse per la sopravvivenza.

E’ il “gene egoista” a lottare per la sopravvivenza, garantendosi il maggior numero di replicazioni possibile, e quindi la sua sopravvivenza di lungo periodo. L’altruismo di un animale che sacrifica la propria vita suggerisce che l’evoluzione operi per il bene della specie (il formicaio interpretato come superorganismo), e non dei singoli esseri che la costituiscono. Il comportamento suicida si verifica in quanto il gene vocato a tale comportamento ha maggiore probabilità di propagarsi nelle generazioni rispetto a un eventuale gene che eviti l’atto suicida. In tal modo, per la formica sentinella-kamikaze, appartenendo all’interno della specie alle formiche operaie – per loro natura sterili – farsi esplodere per annientare il nemico è l’unico modo per trasmettere i propri geni, preservando la vita della prole della formica regina, prole che nei propri cromosomi ha per la più gran parte i geni della formica-kamikaze.

L’altruismo non è che una forma egoistica di far sopravvivere i propri geni nel tempo (da qui la terminologia di “gene egoista”): aiutando un soggetto della propria specie si aiuta in realtà se stessi. E’ il gene-kamikaze che in realtà vuole sopravvivere nel tempo diffondendosi in altri corpi appartenenti alle generazioni future. Non vuole altro che perpetuare se stesso nel lungo periodo. Il kamikaze, attraverso la solidarietà verso il “branco”, interpretabile in chiave evolutiva facendo riferimento al “gene egoista”, adotta una strategia cooperativa tramite il proprio sacrificio se questo serve a salvare altri organismi portatori dello stesso gene, cioè di “se stesso”. Al gene non importa quale portatore specifico sopravvivrà, ossia il veicolo; ciò per lui rileva è che sopravvivano le sue copie – il prototipo.

Il “ponte” che collega l’economia, la biologia, la psicologia (tra i primi contributi Hirshleifer, 1977, 1978, 1982, 1985; Tullock, 1977) conduce quindi a enfatizzare le basi genetiche delle interazioni socio-economiche e la vera forza dell’altruismo strategico fra soggetti perfettamente egoisti (Fiocca, 1988). Può anche spiegare perché – in ambienti di enorme competizione e conflitto per la sopraffazione reciproca fra gruppi tribali diversi – alcuni individui sono pronti a “farsi saltare” per la sopravvivenza della propria gente. E solo un gruppo straordinariamente potente può modellare la psicologia delle preferenze di un individuo al punto di farlo rinunciare alla propria vita per il gruppo stesso. Specularmente, un membro di un gruppo che rinuncia alla propria vita per un obiettivo stabilito dal gruppo, è la verifica della compattezza e potenza del gruppo stesso. Ogni kamikaze rende visibile al suo gruppo la propria totalità sociale perfetta.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Dawkins, R. (1989). The Selfish Gene, Oxford University Press, Oxford, 1989.
  • Fiocca, M. (1988). From the Homo Oeconomicus to the Philantropic Man, Economia delle Scelte Pubbliche.
  • Fiocca, M., Montedoro, G. (2006). Diritto alla sicurezza ed economia del terrore, Luiss University Press, Roma.
  • Gurman, S.,Viswanatha A., (2019). Trump Administration Turns over Official’s Name Amid Dispute Over Saudi Role in 9/11 Attacks, WSJ, 12 September 2019.
  • Hirshleifer, J. (1977). Economics from a Biological Viewpoint, Journal of Law and Economics.
  • Hirshleifer, J. (1978). Competition, Cooperation, and Conflict in Economics and Biology, American Economic Review.
  • Hirshleifer, J (1982). Evolutionary Models in Economics and Law: Cooperation versus Conflict Strategies, Research in Law and Economics.
  • Hirshleifer, J (1985). The Expanding Domain of Economics, American Economic Review.
  • Lacinery, A. et al. (2018). Colobopsis explodens, ZooKeys, 751: 1-40.
  • Moffett, M. (2010). Adventures among Ants: A Global Safary with a Cast of Trillions, University of California Press, Berkeley, Los Angeles, London.
  • Tullock, G. (1977). Economics and Sociobiology: A Comment, Journal of Economic Literature.
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