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Anche in USA hanno paura dei “patentini”?

Anche negli USA e non solo in Italia, i certificati dei corsi post-specializzazione in psicoterapia, i cosiddetti patentini, starebbero creando dei problemi

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 13 Set. 2019

Il diavolo si cela nei dettagli e in un dettaglio diabolico mi sono imbattuto durante l’ultimo congresso mondiale di terapia cognitivo comportamentale, quello di Berlino del mese di luglio.

 

Ero lì nel salone degli stand pubblicitari e guardavo il materiale espositivo dell’Istituto Beck. Probabilmente in quel momento Judith Beck era nei paraggi seduta e sorridente che spiegava le meraviglie dei corsi dell’Istituto di suo padre e suo (confermo: sono ottimi corsi, ancor meglio quelli online) ma io ero più attirato da quel che leggevo sul volantino. Leggevo un avvertimento molto cautelativo firmato dai due Beck, padre e figlia, in cui si specificava che gli attestati di partecipazione rilasciati dall’Istituto Beck di Filadelfia non avevano valore come certificati di qualificazione come terapeuti cognitivi comportamentali negli USA.

Per quanto non si parlasse di “valore legale”, una qualifica che dicono non viga laggiù (che poi mi chiedo: sarà vero?) il succo dell’avvertimento era proprio quello.

Ben presto collegai l’avvertimento a quanto mi avevano detto alcuni colleghi su recenti polemiche esplose negli USA a proposito della sopravvalutazione degli attestati dei corsi dell’Istituto Beck, che in qualche modo starebbero assumendo il valore di certificati di qualificazione (i cosiddetti “patentini”) nell’unica vera psicoterapia cognitivo comportamentale negli USA. Con ovvie conseguenze per tutti i terapeuti cognitivi che non si sono formati al Beck Institute e che rischiano di trovarsi per le mani una qualifica di terapeuti non-proprio-cognitivi o semi-cognitivi o, peggio, falso-cognitivi.

Riflettendo notavo che si trattava di una smentita del detto “certe cose accadono solo in Italia” a favore dell’altro “tutto il mondo è paese”. In questo caso si passava dalla convinzione che solo da noi i certificati dei corsi post-specializzazione in psicoterapia, i “patentini”, starebbero creando problemi alla presa d’atto che si tratta di un problema diffuso. Di chi è la colpa? Del larvato messaggio di questi corsi che suggeriscono che solo loro hanno l’origine controllata? Difficile sostenerlo conoscendo la condotta dell’Istituto Beck. Nei corsi che avevo frequentato a Filadelfia e online avevo osservato di persona la correttezza dei Beck, padre e figlia, il loro non ricorrere a messaggi espliciti e nemmeno subliminali del tipo: la psicoterapia cognitivo comportamentale la si impara solo da noi.

A quanto pare, però, questa correttezza non basta. Questi corsi post-scuola, in Italia come negli USA, stanno assumendo un prestigio crescente che non dipende solo dal sistema educativo di un paese, valore legale derivato dai codici napoleonici in Italia o dalla common law anglo-sassone in USA (ma sarà vera questa distinzione? Io ho dubbi crescenti su queste supposte differenze culturali e legislative) e nemmeno dalle scorrettezze di chi diffonde la voce o suggerisce surrettiziamente che solo questi “patentini” offrano il permesso più o meno legale di operare una certa terapia. I Beck queste scorrettezze non le fanno eppure la voce si diffonde e si diffonde in un paese come gli USA nei quali, si dice, nessun titolo educativo ha alcun valore legale (forse).

Forse è il caso di chiedersi perché. Perché questi patentini assumono un valore intrinseco che va al di là della conferma di aver svolto una certa formazione e acquistano quasi la qualità di una abilitazione? La risposta credo è la crescente caratterizzazione della psicoterapia come disciplina da imparare in una condizione di formazione continua, un esercizio ininterrotto di raffinamento delle abilità cliniche e di aderenza a procedure sempre più precise e mirate.

A questo crescente bisogno le scuole stanno iniziando a rispondere. Ormai sempre più ci si chiede in che senso quello che s’impara è davvero psicoterapia cognitivo comportamentale o psicoanalisi. È passato il tempo in cui ci si poteva illudere di poter inserire un paio di tecniche aggiuntive nel proprio quadro clinico e teorico di riferimento leggendo un libro o facendosi descrivere a voce una tecnica da un collega. Non basta più nemmeno dedicare un fine settimana a un corso dedicato a una tecnica. Si tratta ormai di scegliere dei percorsi prolungati. I corsi che rilasciano i “patentini” rispondono a questo bisogno.

Allora che si fa? Meglio attrezzarsi per evitare il rischio che si diffonda la voce che l’unica vera psicoterapia cognitivo-comportamentale è quella che si insegna ai corsi dell’istituto Beck di Filadelfia. Ora che poi sono online si possono frequentare dalla propria scrivania.

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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