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Dal meccanismo di attacco-fuga alla preoccupazione

Quali sono gli effetti dell’ansia di tratto e del processo decisionale sulla corteccia prefrontale umana? Perché proviamo paura e ansia?

Di Enrica Gaetano

Pubblicato il 05 Giu. 2019

Due studi recenti hanno cercato di mappare gli effetti dell’ ansia di tratto e dei diversi livelli di sofisticazione ed efficacia del processo decisionale sulla corteccia prefrontale umana per spiegare perché proviamo paura e ansia.

 

Gli studi sono rispettivamente di Fung e colleghi del California Institute of Technology di Pasadena e Korn & Bach del dipartimento di Psichiatria, Psicoterapia e Psicosomatica dell’Università di Zurigo, apparsi recentemente su Nature Human Behaviour. Integrano e aggiungono ai già preesistenti modelli animali di comprensione dei circuiti sottostanti la paura e l’ansia nuova linfa, mappando gli effetti dell’ ansia di tratto e dei diversi livelli di sofisticazione ed efficacia del processo decisionale sulla corteccia prefrontale umana generando un modello più complesso di spiegazione del come e perché abbiamo paura e proviamo ansia.

Ansia e paura: sono sovrapponibili?

La paura e l’ ansia sono la stessa cosa? Provengono dagli stessi circuiti come finora ipotizzato ed evidenziato dai modelli animali (McNaughton, 2019)? Quali sono le variabili che influenzano i processi di decision making per la selezione del comportamento più adatto alle circostanze ambientali minacciose?

Nel presente articolo verranno presi in considerazione due recenti studi che hanno svelato i meccanismi neurali gerarchici di controllo e gestione della minaccia, dando una nuova prospettiva alla comprensione della paura e dell’ ansia, tramite la manipolazione virtuale e a vari livelli della minaccia.

Solitamente, nell’ambito della psicologia comune, la paura e l’ ansia sono ritenute stati emotivi tra di loro sovrapponibili, dipendenti l’una dall’altra, determinati dagli stessi stimoli avversivi e aventi la stessa valenza e così i due termini vengono utilizzati spesso come sinonimi intercambiabili per descrivere e comunicare le medesime manifestazioni fisiologiche, cognitive e comportamentali.

Questa relazione tra paura e ansia non ben definita a livello teorico è ulteriormente complicata dal fatto che diversi modelli animali hanno evidenziato come esse e le loro risposte difensive siano associate all’attivazione di specifici network e sistemi neurali in parte sovrapposti (McNaughton, 2019).

Ansia e paura: lo studio per capire come nascono

Tuttavia nel panorama delle neuroscienze affettive, nuovi dati (Mobbs, Petrovic et al., 2007; Qi, Petrovic et al., 2018) stanno progressivamente problematizzando tale relazione evidenziando come la paura e l’ ansia siano stati emotivi simili ma non del tutto sovrapponibili o equivalenti e che lo spostamento dall’una all’altra dipenda dall’attivazione “sottile” di alcune aree cerebrali che rispondono a diverse caratteristiche ecologiche della minaccia presente nell’ambiente.

Il primo studio che approfondisce tale dato empirico è di Fung e colleghi (2019), i quali hanno realizzato un disegno sperimentale in grado di valutare selettivamente i contributi della paura cosiddetta “reattiva”, più semplice e istintiva, e di quella “cognitiva”, più gerarchicamente strutturata appartenente alla sfera dell’ ansia, nella presa di decisione per l’implementazione di comportamenti difensivi.

Nello specifico, il compito comportamentale, sottoposto a 28 studenti universitari, prevedeva un task al computer nel quale ciascuno avrebbe dovuto massimizzare il guadagno di una certa somma di denaro mentre al contempo si sarebbe trovato a fronteggiare l’incombenza e l’attacco di un predatore virtuale.

Lo scopo del compito pertanto è stato simultaneamente quello di guadagnare denaro evitando di essere catturati: nel caso in cui la persona fosse riuscita a sfuggire con successo all’attacco, avrebbe guadagnato l’intero ammontare della cifra di denaro, in caso contrario avrebbe ricevuto un leggero shock elettrico e avrebbero perso la somma di denaro.

Le diverse condizioni sperimentali erano caratterizzate da differenti tipologie di predatori, la cui incombenza veniva segnalata tramite un cue specifico con diversi gradi di intensità di attacco (lieve-moderato-forte) e di timing in cui il soggetto avrebbe ricevuto l’attacco del predatore: ad esempio il predatore ad attacco rapido ed anticipato, passava rapidamente dall’approccio di avvicinamento lento a quello veloce verso la persona e quindi richiedeva a quest’ultima di prendere rapidamente una decisione per fuggire.

Per completare il compito con successo, ciascun partecipante avrebbe dovuto ad ogni trial imparare le varie distribuzioni di distanza di attacco per ciascuna tipologia di predatore e rispondere il più prontamente possibile aumentando e raggiungendo la giusta distanza tra lui e il predatore (Fung et al., 2019).

I soggetti hanno completato il task mentre erano nello scanner della risonanza magnetica funzionale utilizzata per valutare in modo distinto e dissociato i diversi contribuiti della paura reattiva e della paura cognitiva sui comportamenti di fuga e la diversa attività cerebrale in funzione dei diversi livelli interindividuali di ansia di tratto.

Ansia e paura: il peso dell’ansia di tratto nelle nostre reazioni

I dati ottenuti, mettendo in relazione le diverse tipologie di predatore con diversa distanza di attacco (lento-medio-veloce) con i punteggi dei soggetti ottenuti al test STAY-T e la percentuale di fughe avvenute con successo, hanno suggerito che l’ ansia di tratto correlava positivamente con i successi nelle fughe, in particolare nella condizione di in cui l’incombenza del predatore era lenta, facendo quindi ipotizzare che le persone con un’alta ansia di tratto riuscivano a scappare con maggior successo; tuttavia questo loro successo nella fuga correlava negativamente con la quantità di denaro guadagnata.

In aggiunta, i ricercatori hanno osservato delle significative risposte di attivazione cerebrale nelle regioni dell’amigdala, dell’ippocampo, della regione ventrale mediale prefrontale e parte della corteccia cingolata; l’attivazione di questo macrocircuito infatti è risultata andare di pari passo con i punteggi alti o bassi del test STAY-T.

Di conseguenza è apparso evidente come l’ansia di tratto sia stata in grado selettivamente di influenzare le decisioni facilitando la messa in atto di un comportamento di fuga, ma solo nella condizione in cui viene chiesto alla persona di scegliere più “cognitivamente” a come rispondere alla minaccia reale presente nell’ambiente anziché alla sua incombenza immediata, tramite la distinzione tra quantità di tempo a disposizione (per la decisione di scappare) e la selezione di altre strategie cognitive.

Un’urgenza nella risposta dovuta ad un predatore veloce ingaggia invece i circuiti di sopravvivenza difensiva sottocorticali come la materia grigia periacquiduttale.

Ansia e paura secondo Blachard

Tutto ciò supporta ulteriormente la teoria basata sulla distanza difensiva di Blanchard (1990), secondo la quale le reazioni (di solito di paura) ad un pericolo immediato sono frutto di un circuito neurale più basso a livello gerarchico, mentre quei pericoli anticipati, più distanti sia fisicamente che psicologicamente (più legati all’ ansia) deriverebbero da aree ad alto livello gerarchico come la corteccia prefrontale.

La scelta del comportamento da adottare e il coinvolgimento delle aree si distingue tra di loro, in modo anche dissociabile, nel caso in cui la minaccia sia distale oppure prossimale e sono ulteriormente influenzate dal livello di ansia di tratto (Fung t al., 2019).

Sulla stessa linea delle evidenze ottenute da Fung e colleghi (2019), lo studio di Korn & Bach (2019) ha ulteriormente messo in evidenza questa specializzazione e differenza nel coinvolgimento e nell’attivazione dei network neurali sottostanti la paura e l’ ansia soprattutto nelle condizioni in cui la persona si trovava a dover stabilire quale linee di condotta (soluzione) ottimale selezionare e poi seguire tra tutte le possibili opzioni a disposizioni.

Ciò soprattutto in una condizione più ecologica in cui i processi di decision making sono resi ulteriormente difficoltosi dalla presenza nell’ambiente di una minaccia.

Tra gli esempi più rilevanti in questo ambito vi è la presa di decisione in un contesto più complesso in cui si presenta la possibilità di mettere in atto due comportamenti ugualmente rinforzati ma entrambi rischiosi e in conflitto tra di loro, come l’approcciarsi ad una fonte di cibo evitando al contempo un predatore minaccioso presente nei dintorni (Qui et al., 2019).

Ansia e paura: come incidono sul decision making

Gli autori dello studio si sono focalizzati sull’analisi delle strategie cognitive che permetterebbero alla persona di prendere una decisione risolvendo la problematicità e la conflittualità tra approccio vs evitamento e le relative rappresentazioni a livello neurale (Korn & Bach, 2019).

Anche in questo caso è stato utilizzato un compito virtuale di decision making, nel quale ai soggetti veniva presentata la possibilità di raggiungere un foraggiamento in una foresta in cui era altresì possibile morire a causa dell’attacco di un predatore o per inedia.

Lo scopo del videogioco era quello di resistere e sopravvivere nella foresta per quanti più giorni possibile cercando di mantenere tutte le “vite” a disposizione; per ogni giorno passato nella foresta, i soggetti avrebbero dovuto selezionare tra due diverse opzioni, quali “aspettare” perdendo gradualmente un punto di energia oppure l’opzione “nutrirsi”.

In aggiunta a ciò, in un ordine randomizzato, ciascun partecipante imparava ad aspettarsi, con diversi gradi di probabilità per ogni trial, l’attacco di un predatore.

È bene precisare che il compito sperimentale di decision making è stato strutturato a partire dal modello matematico di Markov che ha consentito di individuare e calcolare a priori la linea decisionale ottimale per selezionare l’azione che avrebbe permesso di massimizzare il guadagno e minimizzare la perdita delle “vite” a causa del predatore o dell’inedia, in modo da avere un criterio decisionale ottimale a monte per la successiva spiegazione delle scelte dei partecipanti.

A partire da questo criterio optimum sono state di conseguenza derivate delle euristiche, ciò delle strategie alternative al criterio di riferimento, “più imprecise” che avrebbero potuto impiegare i soggetti.

Lo scopo dei ricercatori è stato infatti quello di individuare tra le molteplici alternative, il predittore primario selezionato dai soggetti per la scelta dell’euristica che maggiormente avrebbe consentito di spiegare il processo di decision making: la probabilità della presenza di un predatore è risultata essere il criterio chiave per la scelta della strategia decisionale migliore congruente con lo scopo.

Le risposte dei soggetti, basate dunque sulla probabilità del predatore, sono altresì risultate associate ad un’alta attivazione delle aree dorso laterali prefrontali, corroborando così la descrizione del sistema neurale di controllo delle manifestazioni di paura e ansia di tipo gerarchico disegnato dallo studio di Fung e colleghi (2019).

Ansia e paura: derivano da diversi livelli gerarchici di decision making

In conclusione, da ambedue gli studi è emerso come le diverse tipologie di risposte sia di paura che ansia derivino da distinti livelli gerarchici presenti all’interno del processo di decision making.

Tale gerarchia ben precisa permetterebbe di modulare le reazioni e le risposte comportamentali sulla base dell’imminenza della minaccia o del diverso grado di incertezza relativa ad essa.

Ne deriva quindi che il processamento per la selezione della strategia ottimale di risposta ad una minaccia è influenzata da molteplici variabili e ci consente di volta in volta sulla base di esse di passare in rassegna un ampio ventaglio di opzioni, dalla reazione più immediata e semplice di paura, a quella più cognitiva, strategica e complessa della preoccupazioni in una condizione più incerta e meno prevedibile.

Il tutto grazie alla presenza di un’architettura neurale coerente e strategica che permette di shiftare da strutture sottocorticali più antiche per le reazioni di sopravvivenza, a sistemi corticali più alti per la selezione di euristiche finalizzate alla previsione della minaccia fino a strategie decisionali finalizzate all’ottimizzazione della risposta allo stimolo esterno minaccioso.

 

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