Il Primo Maggio si celebra, come ogni anno, i lavoratori, ricordando le battaglie operaie per uno dei diritti fondamentali: l’orario di lavoro. Ma, nell’attuale contesto lavorativo flessibile, legato anche ai grandi progressi tecnologici, il lavoratore si trova a dover combattere una nuova battaglia, ovvero la ricerca e il mantenimento di un impiego.
In questo clima di “liquidità” (Bauman, 2002) professionale, il lavoratore diventa unico responsabile della propria carriera, investendo, quindi, su cambiamenti e transizioni geografiche e di mansioni, che lo porterebbero ad abbandonare il contesto organizzativo per cui lavora.
Retribuzione emotiva ed economica: cosa serve alle persone al lavoro
Qual è l’esito inevitabile per le aziende in queste situazioni? La possibilità di perdere un “talento”. Il talento non è sempre qualcosa di misurabile o oggettivo, ma può essere definito come
un modello ricorrente di pensiero e atteggiamento che può essere messo in pratica in modo produttivo (Bellandi, 2006).
In base a questa logica, quindi, risulta difficile pensare che la retribuzione economica rimanga la privilegiata forma di fidelizzazione del lavoratore talentuoso del Terzo Millennio.
Nella letteratura scientifica in psicologia del lavoro e delle organizzazioni, infatti, si stanno sempre più diffondendo filoni di ricerca che si basano su nuovi costrutti di gestione delle risorse umane, tra cui quello dell’intelligenza emotiva-EI (Salovey & Mayer, 1990; Goleman, 1994) a lavoro. Gli autori definiscono l’EI come quella capacità di (ri)conoscere i sentimenti e le emozioni proprie ed altrui, di distinguere tra di esse e di utilizzare queste informazioni per pensare e agire. Daniel Goleman (1994) individua le componenti fondamentali dell’intelligenza emotiva, distinguendo:
- La consapevolezza di sé, cioè la capacità di raggiungere obiettivi partendo dalle proprie emozioni;
- Il dominio di sé, ovvero la capacità di utilizzare le proprie emozioni per uno scopo;
- La motivazione, vale a dire la capacità di comprendere il motivo reale che spinge all’azione;
- L’empatia, quella capacità di comprendere gli stati emotivi e le azioni altrui;
- Le abilità sociali, cioè la capacità dello stare insieme agli altri comprendendoli.
Retribuzione emotiva: come fidalizzare le persone in azienda
Invero, sulla base di questo costrutto e delle sue componenti sta emergendo una nuova concezione di fidelizzazione dei talenti, che mira a porre l’attenzione sul lavoratore in quanto persona e non più come risorsa produttiva, generando ciò che è stata definita retribuzione emotiva (Poelmans, 2005). Con la retribuzione emotiva si va oltre quella che è una mera ricompensa economica, garantendo al lavoratore:
- Un ambiente di lavoro accogliente e stimolante;
- Un contesto in cui si investa in formazione e acquisizione della competenze tecniche e trasversali;
- Un luogo dove poter coltivare relazioni tra pari e tra colleghi di status differente;
- Orari compatibili con la vita privata;
- Sviluppare il proprio talento.
Infine, le potenzialità di questa prospettiva risiedono non solo nel fornire alle aziende delle strategie per fidelizzare un lavoratore, ma anche nel restituire a quest’ultimo un certo grado di dignità, che in molte occasioni, come la svalutazione professionale o il precariato, poiché si tede a dimenticare il lato Umano della risorsa.