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Baby (2018) di De Sica e Negri: il rapporto madre-figlia secondo Minuchin – Recensione della serie Netflix

Baby, la serie di Nteflix uscita nel 2018, mette in luce, come direbbe Minuchin, un rapporto invischiato tra madre e figlia adolescente nella Roma di oggi

Di Guest

Pubblicato il 02 Apr. 2019

Baby è la serie TV Netflix uscita lo scorso Novembre che tratta di una vicenda realmente accaduta, molto vicina a noi italiani: due ragazze adolescenti del quartiere Parioli di Roma entrano a far parte, inizialmente quasi per gioco, di un giro di prostituzione minorile.

Chiara D’Agnese

 

La serie Baby mette in evidenza sin da subito, non tanto il fatto di cronaca in sé, ma il contesto familiare disfunzionale in cui entrambe le ragazze vivono.

Baby: la storia di un rapporto madre-figlia

Ludovica, una delle protagoniste principali, vive in un contesto familiare disregolato, i genitori sono separati, la sorella vive a New York, mentre lei abita insieme alla madre, Simonetta. Il rapporto con quest’ultima è simbiotico e ambivalente e lo si evince sin dalla prima puntata. Questa simbiosi si nota a partire dall’aspetto fisico, la madre e la figlia hanno lo stesso taglio di capelli, talvolta anche gli stessi atteggiamenti, tanto che il telespettatore arriva a chiedersi chi è realmente l’adolescente tra le due. Questa confusione è resa ancora più evidente nel momento in cui in una delle prime scene tra genitore e figlia, Simonetta si accorge di avere lo stesso smalto della figlia ed esordisce: “Immortaliamo”, pubblicando una foto su Instagram, o quando presenta alla figlia il fidanzato molto più giovane di lei, quasi un coetaneo di Ludovica stessa.

Seppur possa sembrare che la madre sia molto vicina alla figlia, in realtà vi è una forte fragilità di fondo, che genera ambivalenza. Ludovica non ha bisogno di “una mamma per amica”, ma di un punto di riferimento, di qualcuno che si prenda cura di lei. Questa discontinuità nel loro rapporto emerge nel momento in cui è Ludovica a procurarsi i soldi per pagarsi la retta scolastica o quando mette in guardia la madre dal suo giovane compagno, che in realtà vuole solo approfittare dei suoi soldi.

Baby: rappresentazione di un rapporto invischiato

Minuchin (1974), che studiò la famiglia dal punto di vista strutturale, avrebbe definito il rapporto tra Ludovica e Simonetta come invischiato, caratterizzato da confini diffusi e poco chiari tra il sottosistema genitoriale e il sottosistema della figlia; ciò comporta una scarsa differenziazione tra sé e l’altro.

Uno degli obiettivi principali dell’adolescenza è la costruzione della propria identità, che permetterà lo sviluppo del pensiero critico. A questo punto ci si potrebbe chiedere: fino a questo momento il bambino non ha mai avuto un’identità personale? Sì, ma un’identità riflessa, frutto dei giudizi e delle aspettative dei genitori. Affinchè l’adolescente crei la propria identità è necessario che i figli e i genitori intraprendano un processo di individuazione\differenziazione, che porterà il figlio a sviluppare la capacità di prendere decisioni con una certa autonomia dalla famiglia, pur mantenendo con questa un rapporto che si basi sullo scambio, la fiducia, la comunicazione aperta. La mancata differenziazione può portare ad una confusione dei ruoli, come accade tra madre e figlia in Baby.

Baby: in adolescenza il bisogno di genitori è forte

Un altro elemento disfunzionale che emerge chiaramente nella protagonista di Baby è la presenza di uno schieramento, la triangolazione: i coniugi in conflitto tra di loro esigono che il figlio prenda le difese dell’uno o dell’altro. La triangolazione emerge nel momento in cui la madre non vuole che la figlia vada al matrimonio del padre, il quale a sua volta minaccia di non pagare più la retta scolastica in caso di assenza alla cerimonia della figlia.

Questo schieramento si rivela essere disfunzionale poiché Ludovica si trova al centro di un conflitto interpersonale non risolto tra genitori, che genera in lei sensi di colpa per non riuscire a prendere una posizione netta e per sentirsi, anche incosciansciamente, la causa dei loro problemi. La figlia dunque viene utilizzata come mezzo per gestire o diminuire lo stress emotivo legato al conflitto interpersonale, producendo un impatto negativo sul suo benessere psicologico.

L’adolescenza è una delle fasi di vita cruciali, in cui l’adolescente inizia ad emanciparsi dai propri genitori, a costruire una propria identità personale. E’ una fase talvolta di disorientamento, in cui è importante che i genitori restino tali, non perdano la loro autorità per diventare “amici” dei figli, ma promuovano una comunicazione aperta e positiva basata sullo scambio di idee, sulla comprensione dei bisogni. Le reazioni amicali altro non sono che l’espressione delle insicurezze del genitore, una strategia disfunzionale per l’evitamento del conflitto, in realtà importante in questa fase. L’adolescente attraverso il conflitto impara la negoziazione, lo scambio di idee, la creazione di un rapporto reciproco e al tempo stesso il confronto con posizioni solide che permettano di riconoscere i propri limiti e trovare la propria coerenza personale.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Gambini P. (2015). Psicologia della famiglia, la prospettiva sistemico-relazionale. Milano: FrancoAngeli.
  • Minuchin S. (1974). Famiglie e terapie della famiglia. Roma : Astrolabio.
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