Nella società moderna resta attuale il mito del self-made man (ovvero l’uomo o donna che si è costruito da solo, partendo da poco o niente) e della mobilità sociale intesa come il cambio di livello socio-economico e il desiderio di vivere questo passaggio è ancora più desiderato grazie all’uso dei nuovi social media che propongono l’idea che chiunque possa essere il prossimo Influencer di turno..
Nascere in una famiglia con un livello socio-economico basso sembrerebbe rendere più difficile la possibilità di riuscire ad avere accesso a lavori ad alto reddito o a migliorare il proprio status socio-economico. Inoltre le persone nate in contesti svantaggiati avrebbero molta più probabilità di incorrere in comportamenti a rischio, come gravidanze adolescenziali o uso di sostanze.
Attraverso però processi di mobilità sociale (intesa come il passaggio da un livello socio-economico più basso ad uno più alto), anche chi nasce in contesti più svantaggiati può riuscire a fare un salto verso un livello socio-economico più alto. Questo incarna un po’ il sogno americano, il mito del self-made man: l’uomo che si è fatto da sé, che ha avuto successo partendo dal niente o dal poco.
Ma è effettivamente possibile la mobilità sociale? E soprattutto, quanto le diseguaglianze di base influenzano le aspettative delle persone?
Una recentissima ricerca del Boston College (Browman, Destin, Kearney & Levine, 2019) ha cercato di trovare una risposta a queste domande, integrando i metodi e le tecniche dell’economia con quelli della psicologia. Lo studio ha evidenziato che le diseguaglianze economiche a cui i giovani sono esposti fin da piccoli abbassano le aspettative di miglioramento. Tale riduzione si risolve in una diminuita probabilità di agire dei comportamenti che potrebbero favorire la mobilità sociale.
Economia e Psicologia: insieme per un cambiamento concreto
La novità della ricerca di Browman è stata quella di aver integrato ricerche sia economiche, le quali nel passato hanno evidenziato le conseguenze più negative del nascere in contesti svantaggiati, con studi condotti nel campo della psicologia. Riuscendo ad integrare questi due differenti campi di studio, che fino ad ora avevano investigato lo stesso fenomeno ma in parallelo, Browman e colleghi sono riusciti a dimostrare la diminuzione della motivazione a compiere comportamenti di mobilità sociale.
Questo risultato ha enormi implicazioni pratiche rispetto alle politiche volte a favorire la mobilità sociale dei ceti meno abbienti: ad esempio si potrebbero mettere in atto dei progetti che mirino ad aumentare le probabilità di agire dei comportamenti di mobilità sociale, come ad esempio dei programmi di tutoraggio.
Quello che in sostanza andrebbe fatto sarebbe di convincere i giovani provenienti da ceti meno abbienti che la mobilità sociale sia a tutti gli effetti possibile; ovviamente, come sostiene Browman, questo non andrà ad eliminare il problema ma sicuramente porterà dei miglioramenti.