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Gli occhi della mente: cosa guardiamo quando non guardiamo nulla?

Attenzione, memoria, spazio: un nuovo esperimento afferma che i nostri occhi si muovono sulla base dello spazio memorizzato, non solo su quello che vediamo

Di Enrica Gaetano

Pubblicato il 21 Mar. 2019

Possono i nostri occhi muoversi anche quando non c’è nulla da vedere? Un nuovo studio, recentemente pubblicato su Nature Human Behaviour, ha mostrato come piccoli movimenti oculari possano rivelare lo spazio in cui la persona alloca l’attenzione, uno spazio memorizzato e non visivo.

 

La scoperta condotta dall’Oxford Centre for Human Brain Activity del dipartimento di Psichiatria e dal dipartimento di Psicologia Sperimentale dell’università di Oxford dà il suo contributo nel sottolineare la partecipazione del sistema oculomotore nel focalizzare l’attenzione nello spazio interno della memoria.

Attenzione, memoria e sguardo: come funzionano

L’attenzione spaziale e il controllo oculare dello sguardo da parte di specifiche aree cerebrali sono spesso in associazione tra di loro per quanto riguarda la percezione dello spazio esterno (Krauzlis, Lovejoy & Zénon, 2013): questo perché le informazioni che vengono raccolte tramite la focalizzazione dell’attenzione all’esterno possono guidare e indicare la direzione dello sguardo successivo e far si che l’individuo possa, sulla base di esso, esplorare in modo più approfondito l’ambiente esterno circostante e selezionare di conseguenza il comportamento più adatto.

Il tutto a partire dal controllo dello sguardo e dall’attenzione (Martinez-Conde & Alexander, 2019).

Tuttavia l’attenzione oltre che all’ambiente esterno può essere diretta anche internamente a rappresentazioni contenute nel piano spaziale della memoria di lavoro visiva: è infatti possibile direzionare lo sguardo anche ad oggetti e a persone solo “tratteggiati” nella mente come sottolineato dal nuovo studio del gruppo di ricerca di van Ede, Checkroud e Nobre (2019).

In questo specifico caso, l’incentivo ad utilizzare le risorse attentive per direzionare lo sguardo si verifica quando di fatto non vi è alcun target o oggetto esterno sul quale porre attenzione.

Le evidenze dello studio qui descritto (van Ede, Checkround e Nobre, 2019) sono state ottenute tramite 4 esperimenti, impiegando sia analisi elettroencefalografiche per l’esame dell’attività delle regioni cerebrali associate alla working memory sia analisi simultanee dei movimenti oculari di entrambi gli occhi tramite eye-traker EyeLink 1000 su un gruppo sperimentale di circa 25 studenti volontari.

Attenzione, memoria, sguardo: lo studio

In ciascuno dei quattro esperimenti è stato richiesto ai soggetti di memorizzare numerose barre colorate e orientate in modo diverso nello spazio rispetto ad un punto di fissazione centrale, e di riprodurne, per ciascuna, tramite l’utilizzo della memoria, l’orientamento e il colore mentre nello schermo davanti a loro veniva proiettato soltanto il punto di fissazione centrale.

Nel dettaglio, l’esperimento 1 ha richiesto ai partecipanti di memorizzare due barre di differente colore e orientamento, poste in modo del tutto casuale o a destra o a sinistra rispetto ad una croce centrale che rappresentava il punto di fissazione; dopo circa un intervallo temporale di pochi secondi, la croce cambiava colore per indicare ai soggetti sperimentali di riportare l’orientamento della barra che era precedentemente apparsa.

Nonostante in questa fase non fosse richiesto esplicitamente il coinvolgimento di informazioni mnestiche, cioè di ricordare la posizione della barra ma semplicemente il suo orientamento, i ricercatori hanno comunque osservato un bias nel direzionamento dello sguardo tramite l’eye traker: se la barra appariva a sinistra, di conseguenza vi era un allineamento dello sguardo dei soggetti verso sinistra anche se la barra non era effettivamente presente sullo schermo.

Questo bias dello sguardo rilevato nella direzione della barra memorizzata non è stato sufficientemente ampio da poter costituire uno sguardo tout court, ma è risultato consistente con uno shift nella direzione delle microsaccadi, cioè di quei piccoli movimenti oculari involontari prodotti durante i tentativi di fissazione dello sguardo (van Ede, Checkround e Nobre, 2019).

Il secondo esperimento ha tentato di integrare i risultati del precedente aggiungendo alla serie di barre colorate e orientate anche un cue informativo (neutro o colorato) che avrebbe indicato loro con una validità del 100 % quale item sarebbe apparso dopo l’intervallo di tempo: in questa condizione, il bias nella direzione dello sguardo si è osservato molto dopo la comparsa del cue informativo, anziché dopo la presentazione della barra.

A parere degli autori della ricerca, ciò ha indicato come il cue informativo abbia da solo contribuito e facilitato la focalizzazione dell’attenzione sulla localizzazione spaziale dell’item rilevante senza alcun bisogno delle informazioni provenienti dalla barra che sarebbe comparsa solo successivamente, suggerendo come sia stato sufficiente lo sguardo da solo a rifocalizzare l’attenzione.

Infine, nel quarto esperimento, i ricercatori hanno osservato come il bias nello sguardo, dimostrato nell’esperimento 1 e 2 nel focalizzare l’attenzione verso le direzioni spaziali memorizzate, non riguarda unicamente l’orientamento delle barre ma si manifesta anche nei report circa il colore di quest’ultime.

Attenzione, memoria, sguardo: i risultati dello studio

Le evidenze del gruppo di Oxford hanno innanzitutto indicato come la direzione delle microsaccadi guidi la focalizzazione dell’attenzione seguendo lo spazio interno memorizzato nella working memory e non uno visivo; in secondo luogo, gli esperimenti dimostrano che ciò è possibile grazie anche al coinvolgimento del sistema cerebrale oculomotore con effetti che possono essere osservati, riscontrati nei movimenti oculari e possono essere utilizzati per predire i benefici prestazionali come osservato nell’esperimento dei cue informativi (van Ede, Checkround e Nobre, 2019).

La selezione di un item dalla memoria di lavoro visiva influenza il controllo dello sguardo che va nella direzione della posizione in cui l’item è stato memorizzato, nonostante non ci sia niente da osservare e senza che la memoria spaziale sia stata mai chiamata in causa esplicitamente (Martinez-Conde & Alexander, 2019).

In conclusione, Martinez-Conde & Alexander (2019) del dipartimento di oftalmologia del Downstate Medical Center di Brooklyn, New York, sottolineano come questi bias nello sguardo potranno potenzialmente costituire indicatori diagnostici precoci per deficit mnestici e cognitivi, soprattutto alla luce delle recenti scoperte di alterazioni delle microsaccadi in alcuni disturbi neurologici (Alexander, Macknik & Martinez-Conde, 2018).

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