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Il terapeuta relazionale, di Bruno Bara – Recensione

Il terapeuta relazionale di Bara offre una base neuroscientifica e evoluzionista alla concezione relazionale ma trascura la tradizione tecnica cognitiva.

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 15 Feb. 2019

Il libro Il terapeuta relazionale di Bruno Bara contribuisce a chiarire la svolta relazionale del cognitivismo in Italia. 

 

Bara basa il suo modello su un orientamento evoluzionistico e neuroscientifico i cui concetti chiave sono la motivazione cooperativa e la conoscenza incarnata (embodied knowledge). Per Bara entrambi questi concetti teorici hanno una ricaduta per il benessere psicologico in psicoterapia. Il modello evoluzionista propone che la modalità cooperativa sia non solo la caratteristica evolutiva della specie homo ma anche la condizione che conferisce il maggiore benessere psicologico alle persone. La conoscenza incarnata propone che i meccanismi di cambiamento e crescita individuale debbano avvenire soprattutto a livello emotivo e viscerale.

Bara si chiede in che modo queste tesi diventino operative in psicoterapia e trova la sua risposta nella centralità della relazione terapeutica. Per l’evoluzionismo il perché è chiaro: se il centro evolutivo ed emotivo della specie homo è la cooperazione, esso lo sarà anche nel caso particolare della psicoterapia che funzionerà in quanto relazione. In breve, la psicoterapia consiste nel fornire un ambiente relazionale in cui il paziente, sotto la guida competente ed esperta del terapista, abbia finalmente la possibilità di esercitare quella capacità cooperativa in lui o in lei non sviluppata. Inoltre la relazione terapeutica offre quel tipo di esperienza conoscitiva di tipo viscerale ed emotivo necessaria per un vero cambiamento. Insomma, la conoscenza s’incarnerebbe soprattutto nella relazione.

Per evitare il pericolo di parlare di relazione in maniera generica Bara si appoggia al modello di Liotti e Monticelli (2014) che hanno delineato un modello operativo di gestione della relazione terapeutica. A loro volta Liotti e Monticelli pescano tecniche relazionali da vari modelli, tra i quali prevalgono quelli che intervengono in termini di validazione, come fa Marsha Linehan (1987) e quelli che ragionano in termini di rotture e riparazioni come fanno Safran e Muran (2000).

Il terapeuta relazionale: punti di attenzione e possibili debolezze del testo

Accanto a questi punti di forza del libro Il terapeuta relazionale ci sono anche possibili debolezze. Un difetto del modello di Liotti è il passaggio troppo audace dal darwinismo alla clinica appoggiato a similitudini affascinanti ma non conclusive. Questo costringe Bara ad appellarsi a dati di efficacia appartenenti a studi sulla relazione terapeutica non specifici del suo modello e appartenenti a modelli solo parzialmente relazionali come quello di Marsha Linehan (1987) oppure appartengono agli studi sui fattori aspecifici di Lambert (Lambert e Barley, 2001; Lambert e Ogles, 2004) che sono una conferma solo indiretta perché non attribuiscono nessuna particolare superiorità alle terapie specializzate sugli interventi relazionali ma si limitano ad asserire che in ogni intervento l’aspetto decisivo è quello aspecifico, a sua volta poi parificato all’aspetto relazionale. Queste ricerche empiriche confermano un’accezione aspecifica – e quindi vaga e generica – di relazione terapeutica e conferiscono alla relazione un carattere non progressivo ma deprimente per lo sviluppo della psicoterapia: la relazione come fattore che non migliora le terapie che la usano specificamente ma che le rende non solo tutte ugualmente efficaci ma anche concretamente tutte uguali: essa è presente e agisce spontaneamente come intervento principale anche in terapie in cui non sia prevista in primo piano.

Ci sono dei rischi nel pescare tecniche al di fuori del proprio modello: può avvenire che una tecnica presa in prestito da un modello clinico estraneo possa parassitare il modello teorico evoluzionista. Accade questo all’evoluzionismo di Bara? Egli avverte il pericolo quando prende le distanze dall’eclettismo ecumenico di Safran e Muran (Bara, 2018, pp. 58-59).

Un’altra perplessità è la possibile condivisione da parte di Bara della diffidenza che Liotti e Monticelli nutrono verso gli interventi protocollati. A loro parere questi interventi sarebbero a rischio di mettere in azione il cosiddetto sistema motivazionale di rango a danno di quello cooperativo, diventando così degli interventi anti-terapeutici. Almeno così sembrano sostenere Liotti e Monticelli (2014) a pagina 114 del loro libro laddove si occupano del dialogo socratico. Non basta. Pare che anche essere troppo supportivi possa essere anti-terapeutico poiché si finirebbe in un altro sistema motivazionale anti-terapeutico: l’accudimento. Questa diffidenza verso le definizioni operative e protocollate dell’azione terapeutica rende la definizione dell’attitudine cooperativa a tratti vaga e sfuggente e costringe Bara, nel testo Il terapeuta relazionale, a un continuo chiosare le sue descrizioni cliniche con esortazioni affinché l’atteggiamento cooperativo non scada nell’accuditivo o nel rango, sistemi anti-terapeutici. Purtroppo non bastano le esortazioni a non essere accuditivi per rimediare. Occorre essere operativi. E quindi protocollari, la bête noire di Bara. È un circolo vizioso.

Eppure un incontro è possibile. È possibile una riscoperta “relazionale” della psicoterapia cognitiva standard? E perché no? Infatti mi pare anche che nella definizione della psicologia evoluzionista l’atteggiamento cooperativo consista nel cooperare nel fare qualcosa. Forse il modo migliore per gestire la relazione è negoziare gli obiettivi ed esplorare insieme i buoni vecchi protocolli sul sintomo della psicoterapia cognitiva, oltre che validare o discutere le rotture, con meno fronzoli auto-riflessivi sulla relazione stessa. Meyer (1975) la definì formulazione condivisa del caso. È possibile che questo terzo ambito, l’esecuzione congiunta dei protocolli clinici cognitivo comportamentali all’interno di una formulazione condivisa del caso eseguiti usando il dialogo socratico, la negoziazione degli obiettivi o mediante una tecnica costruttivista come la ricostruzione della storia di vita siano meno a rischio di tracimare nell’accudimento o nel rango. Parafrasando John Lennon, la relazione terapeutica forse è un po’ come la vita: è quel che accade mentre fai altri progetti. La buona cooperazione potrebbe essere fare una terapia cognitivo comportamentale non solamente relazionale.

In conclusione

Insomma, un po’ di attenzione alla relazione è certamente utile ma non deve impedirci di coltivare e condividere l’aspetto tecnico e strategico tipico della tradizione cognitiva. Il libro Il terapeuta relazionale di Bara ha molti pregi – soprattutto nell’offrire una solida base neuroscientifica e evoluzionista alla sua concezione relazionale – ma si espone nella sua sezione clinica al pericolo di dimenticare la tradizione tecnica cognitiva, vista la rarità in cui si incontrano in esso le parole “psicoterapia cognitiva” o “cognitivista” e simili. Sarebbe un peccato se l’intero cognitivismo clinico italiano imboccasse questa strada.

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Lambert, M.J., Barley, D.E. (2001). Research summary on the therapeutic relationship and psychotherapy outcome. Psychotherapy: Theory, research, practice, training, 38, 357.
  • Lambert, M.J., Ogles, B.M. (2014). Common factors: Post hoc explanation or empirically based therapy approach? Psychotherapy, 4, 500-504.
  • Linehan, M.M. (1987). Dialectical behavior therapy for borderline personality disorder: Theory and method. Bulletin of the Menninger Clinic, 51, 261.
  • Liotti, G., Monticelli, F. (2014). Teoria e clinica dell’alleanza terapeutica. Una prospettiva cognitivo-evoluzionista. Milano: Raffaello Cortina editore.
  • Meyer, V. (1975). The impact of research on the clinical application of behaviour therapy. In R. I. Thompson & W. S. Dockens (Eds.), Applications of behaviour modification. New York: Academic Press.
  • Safran, J.D., Muran, J.C. (2000). Negotiating the Therapeutic Alliance: a relational treatment guide. Guilford Press.
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