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La Neurobiologia Interpersonale: lo sviluppo della mente tra rapporti interpersonali e funzioni cerebrali

La neurobiologia interpersonale presenta una visione integrata dello sviluppo della mente umana che si crea nel rapporto tra relazioni e funzioni cerebrali

Di Marina Morgese, Redazione

Pubblicato il 11 Gen. 2019

Aggiornato il 22 Dic. 2023 11:16

La neurobiologia interpersonale (Siegel, 1999) è una disciplina che studia il modo in cui la mente si sviluppa a partire dalla reciproca influenza tra relazioni umane e struttura e funzioni del cervello: il focus di questo approccio è comprendere come il cervello dia origine ai processi mentali e come esso sia direttamente modellato dalle esperienze interpersonali.

 

Lo studio della neurobiologia interpersonale presenta una visione integrata di quanto lo sviluppo umano si concretizzi all’interno di un mondo sociale che, in transizione con le funzioni del cervello, dà origine alla mente (Siegel, 2001).

Attraverso gli studi che si occupano di neurobiologia interpersonale si possono comprendere quali sono i processi utili a facilitare lo sviluppo della mente, il benessere emotivo e psicologico, la resilienza durante la prima infanzia e forse durante tutta la vita. Alla base di questi processi vi è un meccanismo fondamentale di integrazione che può essere esaminato a diversi livelli, dall’interpersonale al neurologico (Siegel, 2001).

La neurobiologia interpersonale propone una definizione della mente scientificamente fondata e clinicamente utile, le cui caratteristiche principali sono: (1) l’essere sia embodied, nel corpo, che relazionale; (2) il saper regolare il flusso di energia e informazioni, l’energia e le informazioni possono fluire all’interno di un cervello o tra un cervello e l’altro. Saper controllare e saper modificare questo flusso di energie e informazioni, alla base di una sana regolazione, sono delle abilità che possono essere insegnate nelle famiglie con attaccamento sicuro, in psicoterapia e in altri contesti educativi che promuovono la capacità di vedere e dare forma al mondo interno. Questa capacità, chiamata “visione mentale“, consente all’individuo non solo di percepire la vita mentale interna propria e altrui con maggiore chiarezza, ma illumina anche su come si può cambiare questo mondo interiore per raggiungere un migliore stato di salute. La salute dal punto di vista della neurobiologia interpersonale è definita come integrazione (Siegel, 2011). L’integrazione è un meccanismo di base in cui gli elementi di un sistema sono differenziati o specializzati ma collegati o connessi tra loro, proprio come un coro durante un concerto, in cui ogni cantante ha una voce differente ma si collega agli altri membri del gruppo dando vita a un suono armonioso. L’armonia è il risultato dell’integrazione. L’integrazione è dunque quel processo che favorisce il benessere psicologico, attraverso le esperienze di attaccamenti sicuri (Siegel, 2001). Quando un sistema non è integrato, ci si muove verso il caos, la rigidità o entrambi.

Padre della neurobiologia interpersonale è Daniel Siegel, clinical professor di Psichiatria presso la facoltà di Medicina della UCLA (University of California, Los Angeles), dove fa parte del Center for Culture, Brain, and Development ed è codirettore del Mindful Awareness Research Center; è inoltre direttore esecutivo del Mindsight Institute, ente di formazione che fornisce servizi di apprendimento online e lezioni svolte di persona, incentrati entrambi sui modi in cui è possibile accrescere la mindsight in individui, famiglie e comunità attraverso l’esame dei punti di contatto presenti nei rapporti interpersonali e dei processi biologici di base degli esseri umani.

Relazioni, cervello e mente

Le relazioni sono il modo in cui energia e informazione vengono condivise, mentre ci connettiamo e comunichiamo l’un l’altro. Il cervello riguarda il meccanismo fisico attraverso cui energia e informazione fluiscono. La mente è il processo che regola il flusso di energia e informazione. Queste tre dimensioni formano il triangolo del benessere.

Come anticipato, possiamo definire il benessere quando un sistema è integrato; l’integrazione implica il collegamento di parti differenziate di un sistema da cui risultano flessibilità e armonia; quando l’integrazione manca, si manifestano caos e rigidità.

Nel momento in cui si trasferisce questo modello alla mente umana, si riscontra che una mancanza di integrazione produce sintomi e sindromi che si potrebbero forse considerare disturbi mentali.

La neurobiologia interpersonale si avvale di un’ampia varietà di discipline scientifiche, contemplative e artistiche. Lo stato di salute viene determinato dal processo di integrazione tra mente, cervello e relazioni.

Dall’attaccamento alla neurobiologia

In che modo le relazioni di attaccamento influiscono sulla nostra mente? Il bambino viene al mondo geneticamente programmato per stabilire dei legami di attaccamento con i propri caregiver che diventeranno, così, le figure di attaccamento del bambino (Cassidy & Shaver, 1999). L’ attaccamento può stabilirsi con la madre, il padre e altri individui che forniscono vicinanza e assistenza al bambino che cresce. L’attaccamento è considerato un sistema motivazionale: un sistema innato, adattivo, biologicamente determinato, che spinge il bambino a creare alcuni attaccamenti selettivi nella sua vita. Le relazioni di attaccamento forniscono al bambino: (1) la vicinanza, ricercata dal bambino, alla figura di attaccamento; (2) un senso di un rifugio sicuro, a cui rivolgersi quando il bambino si sente in pericolo; e (3) lo sviluppo di un modello operativo interno riferito alla base sicura e a Sé, ovvero uno schema interno del Sé con la figura di attaccamento e del Sé. Una figura di attaccamento che gli fornisce sicurezza, gli consentirà di esplorare il mondo, avere un senso di benessere e calmarsi nei momenti di angoscia (Bowlby, 1969).

Anche se il sistema di attaccamento è programmato nel cervello, le esperienze che un bambino fa nel corso della sua infanzia, vanno a modellare tale sistema. L’esperienza sollecita l’attivazione di neuroni cerebrali che rispondono agli eventi sensoriali dal mondo esterno o alle immagini generate internamente dal cervello stesso (Gazzaniga, 1995; Kandel & Schwartz, 1992). Quando i neuroni, strettamente interconnessi tra loro in particolari circuiti cerebrali, sono attivati, si creano i processi mentali. Il cervello crea una “mappa neurale” o “rete neurale”, ovvero un modello specifico di attivazione neurale in particolari regioni cerebrali, che serve a creare un’immagine mentale, un’immagine sensoriale o una rappresentazione linguistica di un concetto o di un oggetto (Siegel, 2001).

Secondo Siegel (2001) il substrato neurale consente la formazione anche di un Sé emergente, un proto sé, determinato in gran parte da caratteristiche genetiche e costituzionali. Questo senso di sé è radicato nel cervello così come nelle sue interazioni con l’ambiente. D’altra parte, la mente del bambino sembra sviluppare un processo fondamentale in cui anche gli stati mentali dell’altro vengono rappresentati all’interno del funzionamento neuronale del cervello (Stone, Baron-Cohen e Knight, 1998).

Il senso dell’agire, la coerenza, l’affettività e persino la continuità del sé (memoria) sono influenzati dall’ interazione con gli altri. Il primo ambiente in cui il bambino costruisce questo senso di Sé è nell’interazione col caregiver: il proto-sé si trasforma nell’interazione con l’altro e le relazioni affettive in cui ci si prende amorevolente cura del bambino, rispondono al suo bisogno di amore e attenzioni, andando a formare uno schema di Sé come bambino meritevole di amore. Queste relazioni consentono al sé in continua evoluzione di avere un senso di coerenza essenziale per la crescita: il sé diventa integrato.

Quindi le interazioni emotive con le figure di attaccamento sono di primaria importanza nel dare forma al nucleo centrale (qui-e-ora) e autobiografico (passato-presente-futuro) del senso di sé.

Questo modo in cui il cervello crea le immagini di sé e di altre menti è definita da Siegel “mindsight“: capacità complessa che si sviluppa durante l’infanzia e che può diventare continuamente più arricchita durante l’intero arco di vita (Aitken e Trevarthen, 1997).

Sebbene ci concentriamo su regioni e circuiti particolari del cervello, non va dimenticato che il cervello è un insieme complesso di sistemi integrati che tendono a funzionare insieme. La mente è creata da tutto il cervello. Ecco perché per Siegel è importante parlare di “Integrazione”. Quando alcuni sistemi non sono ottimali, a causa di esperienze negative di attaccamento, la mente del bambino può funzionare come un sistema non integrato.

Dunque: l’esperienza implica l’attivazione di neuroni. In questo modo, l’esperienza modella la funzione dell’attività neurale nel
momento e può potenzialmente modellare la struttura in continua evoluzione del cervello durante l’intero arco di vita. Recenti scoperte delle neuroscienze suggeriscono infatti che il cervello è plastico, aperto a continue influenze dall’ambiente, per tutta la vita. Questa plasticità può implicare non solo la creazione di nuove connessioni sinaptiche tra neuroni, ma anche la crescita di nuovi neuroni nel corso della vita (Barbas, 1995; Benes,1998).

Le connessioni umane creano le connessioni neurali dalle quali emerge la mente” (Siegel, 1999). È in questo modo che le esperienze interpersonali, a partire dalle relazioni di attaccamento, modellano direttamente lo sviluppo del cervello umano guidato geneticamente.

Non a caso i bambini con attaccamento sicuro sembrano avere maggiori risultati positivi nel loro sviluppo (Cassidy & Shaver, 1999): flessibilità emotiva, funzionamento sociale e abilità cognitive. Alcuni studi suggeriscono che la sicurezza dell’attaccamento trasmette una forma di resilienza di fronte alle avversità future. In contrasto, una serie di studi suggerisce che le varie forme di attaccamento insicuro possono essere associate a rigidità emotiva, difficoltà nelle relazioni sociali, menomazioni dell’attenzione, difficoltà nel comprendere la mente degli altri e minore gestione delle situazioni stressanti.

Una forma di insicurezza dell’attaccamento, chiamata “disorganizzato / disorientato”, è stata associata a marcate menomazioni nei domini emotivo, sociale e cognitivo. Negli individui con questa forma di attaccamento è stata dimostrata anche una predisposizione verso la condizione clinica di dissociazione in cui la capacità di funzionare in modo organizzato e coerente
è palesemente alterata (Carlson, 1998; Liotti, 1992; Main & Morgan, 1996; Ogawa, Sroufe, Weinfeld, Carlson, & Egeland, 1997).

Come l’attaccamento influisce sulle funzioni cerebrali?

I lati sinistro e destro del cervello sono anatomicamente isolati tranne che per le connessioni effettuate direttamente attraverso delle bande di tessuto neurale chiamato corpo calloso e le commessure anteriori (Trevarthen, 1990) che si sviluppano durante la prima decade di vita. Nei bambini che in tenera età hanno subito abuso è risultato compromesso lo sviluppo del corpo calloso, oltre a un diminuito sviluppo del cervello nel suo insieme (DeBellis et al., 1999a, 1999b). Un forte stress è tossico per il cervello in crescita.

In generale, una vasta gamma di studi sugli esseri umani suggerisce che le funzioni isolate dei due emisferi possono essere “integrate” in condizioni normali nello sviluppo della mente. Per esempio, la complessa capacità di mindsight richiede l’integrazione di alcuni aspetti del funzionamento dell’emisfero destro e sinistro (Stone et al., 1998). Quindi, normalmente viviamo
una fusione di funzioni di destra e sinistra. Tuttavia, la separatività anatomica di questi due emisferi consente anche l’isolamento funzionale in determinate condizioni. Tale isolamento può produrre un funzionamento “non integrato” e la conseguente compromissione di alcuni complessi processi mentali. La dissociazione può essere una sindrome clinica che riflette questa dissociazione mentale dei processi (Siegel, 1996).

L’emisfero destro si occupa della regolazione diretta dei processi corporei, si occupa di espressione e percezione affettiva, si specializza nell’elaborazione delle immagini percettive, media il ricordo autobiografico, ed elabora le informazioni in modo “olistico”. La capacità di mindsight può dipendere, in generale, dall’integrazione di un numero di queste elaborazioni di informazioni fisiche, emotive e sociali in circuiti che risiedono prevalentemente nella parte destra del cervello e che si interconnettono con quelli dell’emisfero sinistro.

Il lato sinistro del cervello, non è molto in grado di “leggere” le espressioni non verbali e le emozioni degli altri, ma elabora le informazioni utilizzando principalmente un “ragionamento sillogistico”, cercando la causa ed stabilendo relazioni tra eventi in modo lineare e logico.

Secondo Siegel un attaccamento non sicuro ha un forte impatto sul cervello in crescita del bambino (Siegel, 1999). L’emisfero destro è il lato dominante del cervello durante i primi anni della vita del bambino (Chiron, Jambaque, Nabbot, Lounes, Syrota,
& Dulac, 1997): cresce più rapidamente ed è più attivo (Thatcher, 1997). In effetti, le aree dell’emisfero destro all’interno della corteccia prefrontale che regolano la funzione corporea e la comunicazione emotivamente sintonizzata sembrano svilupparsi attivamente durante questo periodo (Schore, 1994, 1996). Ma è la connessione con l’emisfero sinistro, in grado di stabilire i nessi causa-effetto, a garantire la capacità di comprendere il perché delle emozioni e dei comportamenti degli altri. Quindi, la comunicazione del caregiver con il bambino durante i primi anni di vita può aiutare a modellare dapprima l’emisfero destro (attraverso le comunicazioni non verbali e la sintonizzazione emotiva) e successivamente l’emisfero sinistro (con l’emergere dello scambio verbale), migliorando così la connessione tra i due emisferi e favorendo la capacità di mindsight.

Neurobiologia interpersonale e psicopatologia

Un evidente campo di applicazione della neurobiologia interpersonale risulta essere il trattamento degli individui che hanno subito un trauma. In questa situazione infatti la mente è stata incapace di integrare i vari aspetti delle travolgenti esperienze traumatiche o di perdita.

Con questa condizione irrisolta, il funzionamento delle regioni prefrontali di integrazione diventa temporaneamente alterato e l’output comportamentale è guidato più dagli stati emotivi e dagli impulsi delle regioni inferiori del cervello senza i processi più riflessivi e razionali degli input neocorticali superiori. In questa situazione i comportamenti diventano riflessivi e la mente si riempie di modelli di risposta profondamente inflessibili: le emozioni possono inondare la mente e rendere il pensiero razionale e il comportamento consapevole abbastanza alterato (Siegel, 2001).

Ciò può produrre reazioni emotive eccessive, turbolenze interiori e un conseguente senso di vergogna e umiliazione. In tali condizioni, l’individuo può essere incline a manifestazioni di “rabbia infantile” e aggressività o a comportamenti invadenti o violenti, mentre è gravemente compromessa la capacità dell’individuo di mantenere una comunicazione collaborativa con gli altri.

Ma secondo Siegel (2011) un esame del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) attraverso la prospettiva della neurobiologia interpersonale rivela che ciascuno dei sintomi delle varie sindromi è un esempio di caos, rigidità o entrambi. Da questa prospettiva, il DSM è in realtà una descrizione di esempi di integrazione compromessa.

Promuovere la salute psichica con le relazioni

Abbiamo visto come l’attaccamento abbia un ruolo centrale nel determinare i i processi di integrazione, fondamentali per il benessere psichico delle persone.

Gli effetti delle relazioni di attaccamento, fortunatamente, non sono deterministici e nel corso della vita, le persone hanno la possibilità di ristabilire nuovi attaccamenti e trovare nuove “basi sicure” (Bowlby, 1969), come accade ad esempio nella relazione terapeutica.

Esistono degli ingredienti essenziali per stabilire una relazione d’attaccamento di tipo sicuro, che a detta di Siegel possono ritrovarsi o essere ricostruiti nelle successive relazioni, alla base del benessere psichico e della resilienza.

Le interazioni interpersonali possono facilitare il processo di integrazione, possono produrre collegamenti tra reti neurali soprattutto attraverso la comunicazione delle emozioni, elemento centrale nella comunicazione interpersonale. La condivisione interpersonale degli stati emotivi primari è una forma di “risonanza”, fondamentale nel processo di integrazione. Condividendo i processi emotivi, si uniscono e si integrano le menti: la risonanza emotiva che sorge con coerenza narrativa all’interno di rapporti diadici sintonizzati può creare un profondo significato e una connessione dentro se stessi e con gli altri. Questi processi integrativi sono al centro del benessere emotivo e psicologico e della resilienza.

Affinché le relazioni possano aiutare a stare meglio, secondo la neurobiologia interpersonale, devono possedere semplici ma importanti competenze di base: la comunicazione collaborativa, il dialogo riflessivo, la riparazione interattiva, la narrativizzazione coerente e la comunicazione emotiva.

Neurobiologia interpersonale e psicoterapia

Che cosa offre la neurobiologia interpersonale alla psicoterapia? Cosa dice riguardo a come lavorare in terapia? Le esperienze terapeutiche che guidano l’individuo verso il benessere devono promuovere l’integrazione e contrastare la rigidità e/o il caos che si traducono in condizioni di vita inflessibili, disadattive, incoerenti e instabili: sintomatiche dunque.

Da un punto di vista clinico diventa interessante vedere la psicopatologia e i disturbi mentali come un deficit di integrazione: in questa cornice compito del terapeuta sarà, attraverso diversi strumenti, aumentare l’integrazione nel paziente, favorendo il cambiamento verso uno stato maggiore di benessere.

Tre esperienze umane favoriscono questo processo, promuovendo il benessere: attaccamento sicuro, meditazione mindfulness e psicoterapia efficace.

Nell’ottica della neurobiologia interpersonale, di fondamentale importanza è la consapevolezza mindful. Una serie di studi rivela che la pratica della mindfulness porta a cambiamenti sia funzionali che strutturali nel cervello. Avere un atteggiamento Mindful significa saper “guidare” consapevolmente la nostra attenzione; uno degli obiettivi della pratica è infatti quello di aumentare il nostro grado di consapevolezza che ci permette di osservare il cambiamento, ma anche i nostri automatismi di pensiero, le nostre emozioni e il modo in cui la mente si ancora a questi oggetti di per sé intrinsecamente mutevoli.

La promozione dell’integrazione si può ottenere, inoltre, attraverso almeno nove domini che, una volta appresi dal terapeuta, possono rivelarsi estremamente utili all’interno del processo di psicoterapia (Siegel, 2006):

  1. Integrazione della coscienza: implica lo sviluppo di forme esecutive di attenzione a cui sono associate maggiori capacità di autoregolazione, come la regolazione delle emozioni, la reazione allo stress e le capacità sociali avanzate. Condurre delle sedute di psicoterapia che abbiano un focus di attenzione su vari domini (mentale, somatico e interpersonale) può creare  nuove connessioni sinaptiche
  2. Integrazione verticale: implica l’integrazione di elementi anatomicamente e funzionalmente differenziati dei nostri corpi, dalla nostra testa alle nostre dita dei piedi. L’integrazione verticale collega direttamente questi elementi all’interno della consapevolezza in modo tale che nuove connessioni possano essere stabilite.
  3. Integrazione bilaterale: si riferisce all’integrazione delle funzioni esercitate dall’emisfero destro e da quello sinistro
  4. Integrazione della memoria: focalizzare l’attenzione sui pezzi di puzzle della memoria implicita per essere assemblati nei ricordi semantici e nei ricordi del Sé. I ricordi intrusivi di una persona, in questo modo, si inseriscono all’interno di una conoscenza più profonda del passato.
  5. Integrazione narrativa: attraverso una cosciente riflessione narrativa si può scegliere di rilevare ed eventualmente modificare i vecchi schemi disadattivi.
  6. Integrazione di stato: si riferisce al modo in cui possiamo riconoscere e accettare i nostri stati mentali attraverso i quali ci rapportiamo alla vita e agli altri e le loro esigenze di definizione nel tempo.
  7. Integrazione temporale: capacità riflessiva di collegamento tra passato, presente e futuro che ci aiuta a prendere in considerazione i nostri scopi di vita.
  8. Integrazione interpersonale: lo stato di attivazione cerebrale nel terapeuta funge da fonte vitale di risonanza emotiva che può alterare profondamente i modi in cui il cervello del paziente si attiva nel qui ed ora della terapia. Queste esperienze interattive col terapeuta permettono al paziente di “sentirsi sentito” e compreso e possono anche far stabilire nuovi schemi di attivazione della rete neurale.
  9. Integrazione traspirazionale: man mano che i pazienti vanno avanti nel raggiungere nuovi livelli di integrazione attraverso gli otto domini sopra descritti, iniziano a sentire un diverso senso di connessione con se stessi e con il mondo, come se fossero connessi a un insieme più ampio, rispetto al precedente senso di isolamento.

Dunque, secondo la neurobiologia interpersonale, le relazioni come quelli tra parenti, amici, la psicoterapia e l’ambiente collaborativo di comunità potrebbero facilitare lo sviluppo di un’auto-regolazione flessibile e uno stile di vita integrato per tutte le età. Se si riuscisse a trovare un modo per facilitare l’integrazione neurale all’interno delle menti degli individui nel corso della vita, si potrebbe essere in grado di promuovere un più compassionevole mondo delle connessioni umane.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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Risorse su State of Mind
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