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Quando il tempo è solo una questione di memoria

Alla percezione del tempo e della sua continuità contribuisce l'eleborazione in parallelo delle informazioni spaziali e temporali di un episodio in memoria.

Di Enrica Gaetano

Pubblicato il 29 Gen. 2019

Che il “Tempo” sia una questione di memoria? I filosofi e gli scienziati che hanno provato a definire il concetto di “Tempo” sono innumerevoli e altrettante le risposte date a questa domanda, tra queste ritroviamo anche alcuni interessanti studi che si riferiscono alle più moderne neuroscienze.

 

Nonostante l’imponente e continuo flusso di informazioni (eventi, scene, oggetti, persone, dialoghi, parole) che quotidianamente percepiamo e registriamo in memoria, tendiamo a ricordare principalmente singoli episodi costituiti da una serie di sequenze discrete associate tra loro in modo analogo in traiettorie sia spaziali (Moser et al., 2017) che temporali.

Il recupero di informazioni riguardo episodi già avvenuti in precedenza, cioè banalmente il richiamare alla memoria un evento passato, esige l’attivazione dei circuiti mediali temporali (MTL), incluso l’ippocampo e la corteccia entorinale (EC); è stato infatti osservato come un’alterazione funzionale di questi network infici il recupero di memorie a breve termine nei ratti e come una discreta perdita di neuroni nella corteccia entorinale sia associata ad una progressiva perdita di memoria nei soggetti affetti da morbo di Alzhaimer (Gallagher & Koh, 2011).

Come nasce la traccia mnestica: il dove e il quando

Una notevole mole di evidenze neurobiologiche sembrano propendere a ritenere che i neuroni di MTL siano necessari per il processamento di informazioni spaziali affinché la traccia di memoria sia codificata all’interno di un contesto spaziale, il “dove”.

Uno studio di Moser e colleghi (2017) ha infatti messo in luce come un’attivazione maggiore e sincrona di specifici gruppi di neuroni ippocampali sia in grado di “tracciare” le coordinate spaziali di un ambiente mentre l’animale si trova a muoversi in quest’ultimo, segnalando la posizione, la distanza e la direzione tra l’animale e l’ambiente circostante: informazioni che possono essere decodificate tramite analisi statistiche per determinare e ricostruire il comportamento spaziale in atto dell’animale. Queste osservazioni di Moser di fatto supportano la teoria per cui specifici circuiti siano in grado di rappresentare mentalmente e poi registrare l’ambiente circostante tramite “mappe cognitive”, osservazioni che a loro volta supportano l’idea che le nostre memorie siano costituite da eventi codificati in un contesto spaziale.

Una volta stabilito il “dove”, è lecito chiedersi quali siano i processi neurali che rendono possibile la codifica di informazioni temporali, relative cioè a quando quell’evento si è verificato

A tale proposito, il recente studio di Robert Yassa e Maria Montchal del Center for the Neurobiology of Learning and Memory dell’Università di Irvine, California, recentemente apparso su Nature Neuroscience, riporta come l’attività ippocampale, delle regioni corticali e di quelle appartenenti e vicine a EC sia in grado di predire quanto una persona ricordi del momento temporale in cui si è verificata una specifica recente esperienza (Montchal, Yassa et al., 2019), dimostrando su una popolazione umana ciò che già era stato messo in luce in studi animali dal premio nobel Edvard Moser e colleghi.

L’esperimento in questione ha previsto che i soggetti sperimentali guardassero per circa 30 minuti un episodio della serie televisiva Curb Your Enthusiasm della HBO, mentre la loro attività cerebrale veniva misurata tramite fMRI per tutta la durata dell’episodio. Successivamente, a ciascun volontario è stato presentato uno breve e specifico fotogramma appartenente all’episodio appena visto, insieme ad una linea del tempo che rappresentava la durata per intero del video; i soggetti avrebbero dovuto giudicare lo specifico momento temporale in cui avevano visto quel fotogramma muovendo un cursore e cliccando sulla linea di durata dell’episodio. Un’alta accuratezza delle informazioni temporali nel recupero mnestico è stata definita dagli autori dello studio come la risposta all’interno di un range di circa 1 minuto dall’inizio effettivo del fotogramma, mentre per un giudizio temporale errato è stato considerato un range temporale da uno a tre minuti (Montchal, Yassa et al., 2019).

È stato osservato come un’intensa attività nell’ippocampo e in specifiche subregioni laterali di EC abbia reso possibile la codifica temporale dell’episodio, mostrando come, negli esseri umani, i contesti spaziali e temporali che costituiscono la memoria dell’episodio potrebbero essere processati in parallelo ma da differenti circuiti di MTL e come il recupero di informazioni temporali circa il “quando” un episodio sia accaduto non è altro che la selezione lungo una timeline in continuo di uno specifico momento rappresentato in riferimento a episodi comportamentali (es. in quel momento, è successo che l’attore ha bevuto un bicchiere di vino) (Shapiro, 2019).

Cos’è perciò il Tempo?

Si è sempre ritenuto che il “Tempo” fosse oggettivamente un’infinita serie in continuo di intervalli regolari, in realtà, in accordo con le evidenze di Montchal e Yassa (2019), specifici circuiti neurali analizzano la continuità di un’esperienza all’interno di sequenze di eventi discreti, di “fotogrammi” si potrebbe dire, caratterizzati da episodi comportamentali. Di conseguenza sembrerebbe che il Tempo, senza la memoria in grado di codificarlo, non esisterebbe.

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