All’inizio degli anni ’90, a Bucarest, esistevano numerose strutture statali alle quali venivano affidati bambini che non avevano più i genitori o altre persone che si potessero prendere cura di loro: in questo contesto è stato possibile studiare quali fossero gli effetti dovuti all’esposizione ad un ambiente di sviluppo caratterizzato da deprivazione emotiva.
È risaputo che un’adeguata stimolazione sociale, cognitiva, etc. è fondamentale per una crescita sana. Le interazioni dei bambini con i genitori e con altri adulti significativi assumono dunque un ruolo importante in quanto permettono ai più piccoli di sviluppare alcune importanti abilità. In tal senso, una distinzione necessaria è quella tra periodo critico e periodo sensibile.
Il periodo critico si caratterizza per finestre temporali molto ristrette nel corso dello sviluppo, durante le quali una specifica esperienza deve avvenire perché una particolare funzione si sviluppi in modo normale.
Il periodo sensibile fa riferimento a quei momenti nel corso dello sviluppo durante i quali l’organismo è particolarmente sensibile a specifiche esperienze, senza necessariamente escludere che queste esperienze possano favorire lo sviluppo di una particolare funzione anche in momenti successivi, anche se in grado minore.
BEIP: il progetto di intervento precoce di Bucarest
Intorno all’inizio degli anni ’90, a Bucarest, esistevano strutture statali a cui molti bambini venivano affidati. In questo contesto è stato possibile studiare quali fossero gli effetti dovuti all’esposizione ad un ambiente caratterizzato da deprivazione emotiva.
A tal proposito, il progetto di intervento precoce di Bucarest (BEIP), che coinvolge bambini negli orfanotrofi rumeni, ha dimostrato che i bambini allevati in ambienti istituzionali negligenti, caratterizzati da grave privazione sociale e cognitiva e da grave deprivazione emotiva, sono maggiormente a rischio di problemi cognitivi, depressione, ansia, comportamenti distruttivi e disordine da deficit di attenzione e iperattività, rispetto ai bambini cresciuti in famiglia. Tale studio, ha anche dimostrato che l’affidamento di questi bambini a delle famiglie accudenti ha un effetto positivo sulla loro crescita, soprattutto se questo avviene precocemente.
Effetti della deprivazione emotiva su bambini e adolescenti istituzionalizzati. I dati dell’ultimo studio BEIP
L’ultimo studio BEIP, pubblicato nei giorni scorsi da JAMA Psychiatry, ha indagato gli effetti della deprivazione emotiva sulla salute mentale dei bambini istituzionalizzati, nel passaggio all’adolescenza. I risultati a otto, dodici e sedici anni, hanno messo in evidenza traiettorie di sviluppo divergenti tra i bambini rimasti in istituto rispetto a quelli scelti a caso per il collocamento con famiglie affidatarie attentamente controllate.
I ricercatori guidati da Mark Wade, PhD, e Charles Nelson, PhD, della divisione di Medicina dello sviluppo presso l’ospedale pediatrico di Boston, hanno studiato 220 bambini di cui 119 hanno trascorso almeno un po’ di tempo in istituti. Dei 119, metà era stata posta in affidamento.
Nel corso degli anni, insegnanti e tutori hanno somministrato a questi ragazzi il “questionario sulla salute e il comportamento di MacArthur”, che comprende una serie di sotto-scale inerenti a depressione, ansia, abbandono, comportamento oppositivo provocatorio, problemi della condotta, aggressività fisica, aggressività relazionale e ADHD.
Dai risultati è emerso che i bambini collocati in famiglie affidatarie di qualità, rispetto a quelli rimasti nelle istituzioni, mostravano uno migliore stato di salute mentale; in particolare, presentavano un minor numero di comportamenti esternalizzanti come violazione di regole, discussioni eccessive con figure autorevoli, furto o aggressione tra pari. Tali differenze iniziarono ad emergere a circa dodici anni e divennero significative a sedici anni.
Wade ha affermato:
I nostri risultati si aggiungono a una letteratura crescente su ciò che potrebbe accadere allo sviluppo psicologico a lungo termine di un bambino quando sperimentano la separazione da un caregiver primario all’inizio dello sviluppo.
L’autore continua dicendo:
La buona notizia è che se vengono collocati in famiglie di alta qualità con una buona assistenza, questo rischio è ridotto, ma tendono ancora ad avere più difficoltà rispetto ai loro coetanei che non hanno mai sperimentato questa forma di privazione nei primi anni di vita.