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L’insulto e la responsabilità

Le cose nei social network e nella vita reale delle violenze di genere cambierebbero se si avesse la consapevolezza piena che ogni atto delle nostre esistenze è sottoposto a una decisione, questa si che si chiama responsabilità.

Di Sandra Sassaroli

Pubblicato il 08 Set. 2018

Certo colpisce che alla proiezione di un film a Venezia, un giovane giornalista di una testata non famosissima e underground (Shivaproduzioni.com) alzi la voce alla fine e insulti la regista così: “Vergognati, puttana fai schifo!”. Il nome della regista: Jennifer Kent, il nome del giovane giornalista: Sharif Meghdoud.

Ma la cosa che più mi ha colpito è il tipo di scuse che il giovane ha postato su facebook: di cui vi scrivo solo una frase:

“l’insulto viene fuori da un pensiero irrazionale e iperbolico di un cinismo che potrebbe andar bene (ma in realtà anche no) al bar tra amici ma è assolutamente fuori luogo all’interno di una mostra d’arte.”

Qui comprendiamo cosa ci disturba spesso dei social usati maldestramente e delle goffe scuse a posteriori: il fatto che ciò che vi si dice, “viene fuori” e non è considerato una scelta deliberata. Sia chiaro il mio pensiero: non esiste che un insulto “viene fuori”, per urlare una frase insultante come questa devo averla pensata, devo essermi detto dilla pure, devo avere dato molti comandi al mio sistema vocale, alla bocca, ai muscoli ecc…

Purtroppo tutto il tono delle scuse ruota sul fatto che ci si scusa ma in quel momento le cose sono uscite al di fuori della propria coscienza e responsabilità. Punto. Invece qui tutti dicono “ma in realtà è uscito senza che veramente decidessi….“. Il punto è che se le cose escono così, le scuse non esistono perché si può avere responsabilità solo di cose che ho fatto, deciso. Altrimenti non esiste scusa, si è persone che non governano atti e non decidono. Si deve allora stare zitti nella consapevolezza dello scarso controllo sulle proprie vite e azioni.

E questo piccolo ma interessante evento mediatico mi fa pensare al concetto di raptus nelle violenze contro le donne, la logica del raptus è la stessa: è accaduto, non è che veramente ho deciso, non sono riuscito a fermarmi, forse non ero io e non ero in me, è accaduta una cosa più forte di me….forse sono due persone…non so, non ricordo.

Ecco, già le cose nei social e nella vita reale delle violenze di genere cambierebbero se si avesse la consapevolezza piena che ogni atto delle nostre esistenze è sottoposto a decisione, questa si che si chiama responsabilità.

Avere e riconoscersi veramente una responsabilità ci rende umani, capaci di reale riconoscimento del danno inflitto e di reale contatto con emozioni di colpa e di vergogna, il resto è teatrino. Squallido ma favorito dal sistema digitale che spesso nasconde in un marasma mediatico il dito che sta premendo il grilletto.

Sarebbe bello ricominciare veramente a sbagliare, a comprenderlo, a comprendere che siamo stati noi, a scusarci o non scusarci, a tollerare il peso e le conseguenze dei nostri errori, ma da persone intere. Responsabili e umani, allora si, veramente.

 

Il post di scuse pubblicato su Facebook da Sharif Meghdoud:

Sharif Meghdoud - Post di scuse

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Sandra Sassaroli
Sandra Sassaroli

Presidente Gruppo Studi Cognitivi, Direttore del Dipartimento di Psicologia e Professore Onorario presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna

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