Il libro Guarire i traumi dell’età evolutiva disamina gli stili di sopravvivenza che ognuno di noi in tenera età mette in atto e il Modello Relazionale Neuroaffettivo (NARM), un modello di psicoterapia che si occupa di guarire le fatiche del passato potenziando le risorse del presente e avvalendosi della pratica Mindfulness.
Contatto con sé stessi, il proprio corpo e le relazioni affettive, sintonizzazione, fiducia, autonomia, amore/sessualità: bisogni centrali per uno sviluppo armonico, la cui mancata realizzazione, a seguito di traumi evolutivi, in particolare derivati da abusi infantili, conduce necessariamente a squilibri psicofisici e confusioni identitarie, che la psicoterapia ha il compito di riequilibrare, riconsegnando al paziente il senso del proprio diritto di esistere, della propria vitalità e integrazione.
Guarire i traumi attraverso il NARM
Dispiegando tali argomenti con un linguaggio dove il moderato tecnicismo si alterna a numerose esemplificazioni tratte da casi clinici, il corposo libro di Heller e LaPierre, Guarire i traumi dell’età evolutiva, si mostra di rilevante utilità tanto agli addetti ai lavori nella pratica clinica quanto a tutti coloro che sono interessati ad aumentare la consapevolezza di sé e la propria crescita emotiva.
Il libro si dedica inizialmente alla disamina degli stili di sopravvivenza che, formatisi nel corso delle primissime fasi di vita, come tentativi di adattarsi a un ambiente ostile e proteggere le figure di accudimento, si cristallizzano in età adulta come modalità patologiche di essere e relazionarsi a se stessi e agli altri, per poi dedicare ampia discussione alla disamina del Modello Relazionale Neuroaffettivo (NARM), modello di psicoterapia che “pur non ignorando il passato, mette maggiormente in risalto le risorse del presente, la resilienza e la capacità di essere connesso con se stesso e con gli altri, a tal fine avvalendosi della pratica Mindfulness”.
Guarire i traumi dell’età evolutiva: lo stile di sopravvivenza Connessione
A titolo esemplificativo, tra quelli illustrati nel libro Guarire i traumi dell’età evolutiva, si esaminerà lo stile di sopravvivenza Connessione, il più precoce, poiché risalente ai primi sei mesi di vita. Si caratterizza per una sconnessione dal proprio corpo, dai propri sentimenti, dal mondo, con la conseguenza di non sapere ciò che si prova a livello emotivo e corporeo e l’incapacità di relazioni intime. Il proprio sé viene così vissuto come fonte di vergogna e gli altri come minaccia, “fonte di abbandono, a cui non attaccarsi per la mancata percezione di sicurezza del legame”; per questo si sceglie di isolarli, attraverso la spiritualità o professioni prestigiose che testimoniano la soddisfazione delle aspettative sociali, una facciata sorridente in grado di mascherare il vuoto e il dolore di una vita emotiva frammentata, di una paura del legame che diventa sia paura dell’incontro con l’Altro che paura della rabbia rivolta verso di Sé per un rifiuto inaccettabile, da meritare per la propria intrinseca inutilità.
Per i tipi Connessione, sottolineano le Autrici di Guarire i traumi dell’età evolutiva, entrare a contatto con il proprio corpo è impossibile, perché “sentire equivale a sentirsi un bambino traumatizzato e terrorizzato”, entrare a contatto con la rabbia significa esserne sommersi, morire, nella misura in cui il corpo è depositario di elevati livelli di attivazione, espressione dell’iperattivazione del sistema simpatico, delegittimando in tal modo il diritto di esistere e restringendo la propria vita per gestire l’eccesso di stimoli, senza la capacità di consolarsi e regolare il senso di vuoto e perdita, e preferendo un’immagine di sé buona, in contrasto con la cattiveria dell’abusante.
Ecco la voglia di contatto e amore contrastata dalla paura di essere annientati, dove le emozioni dominanti sono vergogna e rabbia per se stessi, per il fatto di sentirsi vulnerabili e bisognosi di cure, talvolta disfunzionalmente affrontate da identificazioni basate sull’orgoglio del “non avere bisogno di nessuno”; in questa ambivalenza esistenziale si pone il ruolo della psicoterapia, attraverso cui “comunicare ai clienti di essere consapevoli del carico emotivo che portano, intensificando gradualmente il contatto fisico ed emotivo, prima verbale e poi visivo, affinché si inizi a percepire se stessi e gli altri come fonte di benessere e non di minaccia, disidentificandosi dall’eccessiva autonomia o dall’eccessiva dipendenza”.
NARM: come agire sui traumi del passato
Nel Modello Relazionale Neuroaffettivo (NARM) il fine è di far riemergere rabbia e dolori inesprimibili senza farsi travolgere, rievocando esperienze positive, fornendo feedback compassionevoli sul modo di agire l’aggressività verso l’interno, con il fine integrarla nel proprio Sé, sostenendo la vitalità e l’espansione, e regolando il sistema nervoso. La terapia riuscirà così a rinegoziare l’esperienza di vergogna, riprendendo il contatto con le esperienze non verbali del corpo, sorretti dal terapeuta, fonte di accudimento, o dal ricordo di figure significative, fonte di calore, e che le Autrici ottimisticamente rintracciano in ogni forma di abuso, in particolare nei traumi da shock.
Il recupero di ricordi felici, di qualcuno che è stato in grado di dare calore, o la focalizzazione sull’esperienza affettivamente nutriente di un terapeuta empatico, sostengono la stabilità del corpo e del sistema nervoso, promuovendo l’autoconsolazione. Ciò, sottolineano le Autrici di Guarire i traumi dell’età evolutiva, non è in contrasto con l’elaborazione dei ricordi traumatici del passato, ma parte dall’evidenza che
concentrarsi sulla disfunzione rischia di rinforzarla, rischiando di rendere l’anamnesi personale più importante dell’esperienza presente, mentre è importante mantenere una duplice consapevolezza, del passato e del presente.
Un ricordo con funzione di contenimento relazionale che detiene il potere terapeutico di riconnettere a se stessi,
ammorbidendo la rigidità dei muscoli, alleggerendo il respiro, colorando la pelle, permettendo il radicamento nel corpo e favorendo l’esplorazione e la consapevolezza del corpo nelle sue varie parti
in una sorta di ammortizzatore terapeutico, quella base sicura cara a Bowlby, grazie alla quale recuperare o forse ritrovare per la prima volta nella seduta terapeutica la possibilità di conoscersi e accettarsi al di là della passività di un trauma su cui costruire difensivamente un’immagine di sé indegna, dipendente, o al contrario irrealisticamente autosufficiente, frutto di credenze di base cristallizzate, a costo di sacrificare un’intera esistenza, la sola che si possiede.