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Contesti di sviluppo della competenza sociale: la famiglia e il gruppo dei pari

Lo sviluppo sociale è influenzato da relazioni di tipo verticale (con i genitori) e di tipo orizzontale (con il gruppo dei pari). In maniera differente, ciascuna di queste relazioni consente al bambino di acquisire le abilità che gli consentiranno di imparare a stare con gli altri nel mondo.

Di Valentina Pastore

Pubblicato il 24 Mag. 2018

Aggiornato il 28 Giu. 2019 12:20

Allo sviluppo sociale dei bambini concorrono in maniera ugualmente importante il rapporto con i genitori e la propria famiglia e il rapporto che, più avanti, si viene ad instaurare con il gruppo dei pari.

Valentina Pastore – OPEN SCHOOL Psicoterapia Cognitiva e Ricerca, Milano

Il bambino, già alla nascita, dispone di caratteristiche che lo predispongono alla costruzione di rapporti affettivi con gli altri. La famiglia è il primo contesto utile per la crescita fisica e lo sviluppo sociale del bambino. Le famiglie sono l’ambito ideale per l’educazione dei bambini: sono piccoli gruppi intimi, che facilitano l’apprendimento di regole di comportamento coerenti, sono inoltre legate a vari ambienti esterni nei quali i bambini possono essere gradualmente introdotti.

La famiglia è considerata l’unità di base nell’ambito della quale un bambino viene addestrato all’esistenza sociale (Schaffer, 1998). Le pratiche educative svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo sociale di un soggetto, poiché contribuiscono a trasmettere valori e norme che porteranno l’individuo a diventare un adulto adeguatamente integrato all’interno della società di appartenenza (Grusec & Goodnow, 1994; Grusec, Goodnow & Kuczynski, 2000; Hoffman, 1994). Infatti il processo di interiorizzazione dei valori e delle norme avviene in un contesto in cui l’interazione delle esperienze sociali di vita dei figli con i genitori e con i pari, si unisce ai processi di strutturazione attiva degli uni e degli altri, che sono a loro volta un prodotto delle situazioni vissute (Wainryb & Turiel, 1993).

Il coinvolgimento di entrambi i genitori nell’educazione dei figli, la disponibilità e il grado di sostegno percepito dai figli, nonché un adeguato livello di comunicazione, sono tutti fattori che vanno a promuovere un sostegno strumentale ed emotivo ai figli (Rodrigo, Maiquez, Garcia et al., 2004). Come conseguenza è necessario adattare gli stili educativi sia alla personalità dei figli che alle esperienze e alle situazioni vissute (Mestre, Tur, Samper, Nàcher & Cortés, 2006).

È stato inoltre dimostrato che i genitori che trasmettono sostegno e affetto ai figli, utilizzano il ragionamento induttivo come tecnica di disciplina, insegnano la comunicazione in ambito familiare e stabiliscono norme di comportamento in famiglia, hanno maggiori possibilità di migliorare la competenza sociale, la collaborazione e l’autonomia nei propri figli (Alonso & Roman, 2005; Lila & Gracia, 2005).

La famiglia costituisce il nucleo primario nello sviluppo personale, emotivo, cognitivo e socio-affettivo del bambino

È proprio all’interno della famiglia che il bambino riceve le prime indicazioni su ciò che è bene fare o non fare, cosa è lecito e cosa invece non lo è, percependo così messaggi riguardo al valore e all’importanza delle proprie azioni.

Al giorno d’oggi i bambini trascorrono molto meno tempo con i genitori rispetto quanto avveniva in passato, ma ciò non significa che la famiglia stia perdendo il suo ruolo fondamentale di agente socializzante, anche se è necessario tenere in considerazione la presenza di altri importanti agenti di socializzazione, come il gruppo dei pari (Mestre, Tur, Samper, Nàcher & Cortés, 2006).

Il ruolo della famiglia nello sviluppo sociale dei propri figli comprende sia gli stili di disciplina adottati dai genitori, sia la trasmissione di rappresentazioni globali del funzionamento della realtà sociale, di conseguenza è possibile affermare che il processo di socializzazione ingloba sia aspetti di contenuto (che riguardano “ciò che si trasmette”) che di forma (che riguarda “come si trasmette”) (Molpeceres, Musitu & Lila, 1994).

Stili educativi e sviluppo sociale

In riferimento agli stili educativi, interessante è la descrizione effettuata dell’autrice statunitense Diana Baumrind (1967). Per l’autrice, i genitori, a seconda delle pratiche educative utilizzate nei confronti dei propri figli, posso essere contemplati in tre categorie (Baumrind, 1967; 1971):

  • Genitori autorevoli o direttivi. In questa categoria rientrano tutti quei genitori che trasmettono norme comportamentali ai figli mediante ragionamenti, non impongono il proprio punto di vista al figlio ma tengono in considerazione il punto di vista di quest’ultimo favorendo in un certo senso l’autonomia nascente. Nello stesso tempo, questi genitori sono in grado di esprimere affetto e sostegno nei confronti dei figli, tenendo in considerazione i loro bisogni e le loro richieste.
    Questo stile educativo favorisce nei figli comportamenti di responsabilità, di indipendenza, di collaborazione e competizione leale con i pari. I bambini che vengono educati attraverso questo stile, manifestano nel tempo una maggiore autostima e autocontrollo, hanno buoni rapporti con i pari e sono orientati a comportamenti positivi (Hetherington & Parke, 1993).
  • Genitori autoritari. Contrariamente ai genitori descritti in precedenza, i genitori autoritari, impongono le norme ai propri figli e tentano di controllare i loro comportamenti mediante divieti e la coercizione sia fisica che verbale. Inoltre non dimostrano nessun interesse per le richieste e i bisogni dei figli, trattandoli con freddezza e dimostrando poco affetto nei loro confronti.
    Risultato di questo stile educativo, sono generalmente bambini tristi, vulnerabili allo stress e con bassa fiducia in se stessi, senza obiettivi precisi che alle volte manifestano condotte aggressive (Ibidem).
  • Genitori permissivi. Quest’ultimo gruppo di genitori utilizza una comunicazione delle regole molto ambigua, bassi livelli di calore emotivo e impartiscono la disciplina in modo incoerente.
    Questo modo di imporre la disciplina, provoca nei figli comportamenti poco equilibrati, bassa autostima, scarso autocontrollo e una tendenza ad essere impulsivi ed arroganti (Ibidem).

L’autrice afferma inoltre l’esistenza di un processo di sviluppo sociale dinamico, influenzato non solo dai genitori ma anche dal comportamento del bambino: attraverso il feedback, questo processo struttura e modifica gli stili parentali in modo da adattarsi alle necessità evolutive del bambino (Baumrind, 1989, 1991).

I risultati empirici hanno dimostrato che gli stili disciplinari non si presentano in modo “puro”, ma che essi si possono modificare e adattare nel tempo ai soggetti e alle circostanze, proprio grazie al loro carattere bidirezionale (Bandura, Caprara, Barbaranelli et al., 2003; Caprara & Zimbardo, 1996; Darling & Steinberg, 1993).

Successivamente, Maccoby e Martin (1983) hanno proposto che dalla combinazione dei diversi pilastri delle pratiche parentali, quali affettività, richieste e controllo, possano emergere tipi diversi di famiglie, ognuna con caratteristiche peculiari e con un proprio stile comunicativo (Maccoby & Martin, 1983). In particolare vi sono:

  • Famiglie autorevoli e reciproche, rette con un’autorità ferma e ragionata, costruite sulla base di modelli di comportamento chiari. I genitori manifestano in modo chiaro l’approvazione o il disaccordo a riguardo dell’educazione dei figli senza mostrare elementi di incoerenza e utilizzano una comunicazione aperta e bidirezionale. All’interno di queste famiglie si respira un clima caloroso che permette di passare dalla richiesta alla collaborazione (Sorribes & Garcia Bacete, 1996)
  • Famiglie autoritarie, caratterizzate da rigidità e inflessibilità, fanno rispettare le norme e le regole ai figli attraverso costrizioni e punizioni. Non viene data importanza alla comunicazione, la quale è solamente unidirezionale (dai genitori ai figli), unico interesse dei genitori è ottenere l’obbedienza dei figli (Berk, 1994)
  • Famiglie indulgenti sono caratterizzate da leggerezza, permettono ai propri figli di fare qualsiasi cosa senza imporre castighi e punizioni. Nonostante ciò la comunicazione all’interno della famiglia risulta aperta, affettiva e democratica.
  • Famiglie negligenti o indifferenti, all’interno delle quali i genitori dimostrano una certa indifferenza nei confronti della crescita dei propri figli, infatti non si interessano delle loro necessità e delle loro richieste (Berk, 1994)

Sviluppo sociale e relazioni con il gruppo dei pari

Degne di nota sono anche le relazione extrafamiliari in cui è coinvolto il bambino e che contribuiscono al suo sviluppo sociale, in particolar modo le relazioni che il bambino costruisce con i membri appartenenti al proprio gruppo. Le relazioni con i pari sono in grado di rivelare i meccanismi messi in atto per affrontare il mondo sociale. Questi meccanismi sembrano essere stabili negli anni e possono contribuire a prevedere lo sviluppo di futuri problemi di adattamento (Rubin, Bukowsky, Parker, 1998).

Allo scopo di differenziare le relazioni tra bambini rispetto a quelle con adulti, Hartup (1983, 1989) ha distinto le dimensioni di “orizzontalità” e “verticalità”. I bambini interagendo con gli adulti, sono coinvolti in relazioni verticali, caratterizzate da asimmetria, in quanto si stabiliscono tra partner che si trovano su due piani differenti, dal punto di vista sia delle competenze sia della posizione di potere occupata all’interno della relazione. L’adulto, trovandosi in una posizione di “superiorità” fornisce al bambino cure, sostegno, affetto oppure può impartire ordini manifestando un comportamento assertivo. Queste relazioni svolgono la funzione fondamentale di fornire protezione e sicurezza, da un lato, e di trasmettere conoscenze, dall’altro (Corsano, 2008). Le relazioni sviluppate con i coetanei sono invece di tipo orizzontale e quindi sono caratterizzate da simmetria, sono di tipo reciproco e finalizzate ad offrire al bambino l’opportunità di apprendere le abilità di cooperazione, competizione, condivisione e assunzione dei ruoli (Hartup, 1983, 1989). All’interno delle relazioni verticali i bambini si trovano in una condizione di inferiorità, solo le relazioni con i coetanei assicurano loro una posizione relativamente uguale in termini di potere, in quanto si presume che i pari hanno per definizione età, abilità e ruolo simili tra loro (Furman & Buhrmester, 1985).

Secondo Schaffer (2004) le relazioni tra pari appaiono particolarmente importanti per lo sviluppo successivo, proprio per la loro dimensione di orizzontalità.

Gli studiosi hanno affrontato i benefici della relazione tra pari nei bambini da due punti di vista: alcuni si sono soffermati sul fatto che stare con gli altri bambini aiuti ad acquisire capacità diverse, non necessariamente legate alla socializzazione; altri si sono invece concentrati sullo studio delle abilità necessarie per stare bene con gli altri e solo in un secondo momento hanno preso in esame gli esiti evolutivi legati a queste abilità (Di Norcia, 2009).

Nel primo filone di autori emerge l’importante contributo di Piaget (1932), il quale sostiene che le interazioni tra pari possono offrire un contesto unico per l’acquisizione di alcune abilità. Infatti nell’interazione con i coetanei i bambini sono chiamati a cooperare e ad accordarsi con qualcuno che è al loro stesso livello; in questo modo imparano ad assumere il punto di vista dell’altro. Da questi primi studi, ha iniziato ad emergere l’idea che l’interazione con i pari non favorisce solamente lo sviluppo sociale del bambino (Hartup, 1983) ma anche quello intellettuale (Carugati & Perret-Clermont, 1999).

Nella stessa direzione, Vygotskij (1934) riconosce il ruolo svolto dalle interazioni tra pari allo sviluppo intellettuale: l’autore evidenzia come le discussioni che possono sorgere all’interno del gruppo dei pari, possono aiutare il bambino a risolvere i problemi, le soluzioni vengono successivamente interiorizzate e fatte proprie dal bambino stesso (Di Norcia, 2009).

Harris (1995), propone una visione estremamente radicale dell’importanza della relazione tra pari. L’autore, giunge ad affermare che il comportamento dei genitori non ha alcun effetto poiché l’unico contesto significativo per lo sviluppo sociale dei bambini è quello dei pari; secondo quest’idea la socializzazione avviene in modo specifico per contesto e quindi il bambino impara dai genitori solo il comportamento da tenere in casa, mentre apprende dal gruppo di coetanei le norme culturali necessarie per vivere nell’ambiente esterno (Harris, 1995).

L’importanza della relazione tra pari è confermata dal fatto che la povertà delle relazioni durante l’infanzia predice successivi disagi a livello psichiatrico (Brown & Dodge, 1997; Kupersmidt & Coie, 1990; Parker & Asher, 1987).

Il contributo dei vari autori ha evidenziato che le buone relazioni tra coetanei favoriscono condizioni uniche per apprendere abilità che non si possono imparare dagli adulti (Di Norcia, 2009). Accanto a queste opportunità, le relazioni tra coetanei possono anche avere effetti indesiderabili. Infatti diversi studi hanno dimostrato che in alcune situazioni i coetanei possono veicolare contenuti non sempre positivi e potrebbero avere un ruolo determinante nel percorso verso la devianza. Basti pensare agli adolescenti che all’interno del gruppo dei pari, mettono in atto comportamenti a rischio come uso di droghe e azioni violente (Bonino & Cattelino, 2000).

Processi simili sono stati osservati anche tra bambini, frequentanti la scuola primaria o la scuola dell’infanzia, i quali mettevano in atto frequenti condotte aggressive con lo scopo di assumere un ruolo dominante e per essere accettati dai pari (Costabile, 1996; Boivin, Coie, Dodge, 1995; Rodkin et al., 2000).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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