Secondo un nuovo studio pubblicato su The Lancet Psychiatry la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) basata sulla realtà virtuale può aiutare a ridurre la paranoia e apporta benefici sulla cognizione sociale nelle persone con disturbi psicotici.
I ricercatori hanno implementato un disegno di ricerca controllato e randomizzato di terapia cognitivo-comportamentale basata sulla realtà virtuale personalizzata in 116 pazienti con un disturbo psicotico e ideazione paranoide. La ricerca prevedeva sedici sessioni di terapia in realtà virtuale, ciascuna della durata di un’ora. I risultati alla fine delle sessioni sperimentali mostrano una significativa riduzione delle autovalutazioni riferite alla paranoia sia immediatamente dopo il trattamento che in seguito a un follow-up a 6 mesi. Al contrario, il gruppo di controllo trattato con cure classiche quali antipsicotici, consultazioni psichiatriche e trattamenti riabilitativi, ha mostrato un leggero aumento dei pensieri paranoici. Gli autori hanno notato anche modificazione nella cognizione sociale, osservando miglioramenti nel funzionamento interpersonale.
Realtà virtuale in terapia: quali vantaggi offre?
Uno dei grandi vantaggi dell’utilizzo della CBT basata sulla realtà virtuale è quello che essa può essere utilizzata per aggirare alcuni limiti delle terapie più classiche basate sull’esposizione. Nelle impostazioni di realtà virtuale, infatti, l’ambiente e i personaggi possono essere totalmente gestiti dal terapeuta. Ad esempio, lo studio prevedeva lo svolgimento della terapia in 4 ambienti sociali virtuali: nel mezzo di una strada, su di un autobus, all’interno di un bar e in un supermercato. Il terapeuta era in grado di controllare le caratteristiche delle risposte di 40 avatar umani, consentendo in questo modo esercizi di trattamento personalizzati per ciascun paziente.
Gli autori hanno affermato che
[blockquote style=”1″]I pazienti comunicavano con il terapeuta durante la sessione di realtà virtuale descrivendo il pensiero paranoide che scaturiva nella situazione sociale inscenata, permettendo così di abbandonare i “safety behaviors” che solitamente questi pazienti mettono in atto: evitare il contatto oculare, mantenere la distanza e astenersi dalla comunicazione[/blockquote] .
I limiti maggiori della ricerca sono risultati essere: la presenza di un unico follow-up dopo 6 mesi che non ha permesso di stabilire gli effetti a lungo termine di questa forma innovativa di CBT. Inoltre, alcuni pazienti hanno rifiutato di partecipare alla ricerca poiché ritenevano l’ambiente virtuale troppo terrificante, per questo motivo il campione non include i pazienti più paranoici ed evitanti.
In conclusione, appaiono sicuramente necessarie ulteriori ricerche per indagare l’efficacia dell’utilizzo della realtà virtuale all’interno della terapia cognitivo comportamentale, quello che si può affermare è che emergono dati a favore dell’utilizzo di questo tipo di terapia in pazienti con disturbi psicotici e paranoidi, oltre che con i pazienti ossessivo-compulsivi come affermano diversi studi presenti in letteratura.