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Il Partito Democratico alla deriva: l’universalismo ha cozzato con il bisogno di appartenenza degli esclusi

Orfano della profezia marxista, il PD cerca di andare incontro alle classi oppresse ma con un universalismo che cozza con i loro bisogni di appartenere e di definirsi. Atomizzate da un precariato che non offre sicurezze, le classi sociali escluse ma non oppresse non sanno che farsene di sogni universali.

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 06 Apr. 2018

Può la psicologia farci capire qualcosa della deriva in cui si è cacciato il Partito Democratico? Forse sì, se riflettiamo che la missione di quel partito, e della sinistra europea in genere, è un muscolo stirato dal difficile compito di assicurare l’inserimento economico e sociale universalista agli esclusi e senso di appartenenza civile e sociale ai penultimi.

Articolo di Giovanni Maria Ruggiero pubblicato su Linkiesta il 24/03/2018

 

Qual è il problema? È che l’inserimento degli esclusi corrode il senso di appartenenza dei penultimi -ma anche dei terzultimi e dei quartultimi e sempre più su nella scala sociale fino alle posizioni alte della fascia media- che così reagiscono ricercando un identitarismo chiuso e sospettoso. Finché lo sviluppo economico coniugava innovazione, sicurezza d’impiego e inclusività, la quadratura riusciva. Merito di Keines più che di Marx, ma non sottilizziamo. Ancora prima era stato lo stesso Marx ad assicurare la quadratura, non con una formula economica di successo (il vecchio filosofo non era forte in questo) ma attraverso una profezia palingenetica che seguiva a una analisi spietata dei difetti del capitalismo, anzi delle sue contraddizioni come si diceva in gergo.

Consideriamo ad esempio l’analisi di Paul Mason, pensatore che peraltro si colloca alla sinistra del PD. Il suo lavoro è davvero istruttivo e fa capire con sottigliezza perché il neoliberismo addomesticato di Blair e Clinton adottato dal PD non riesce ad avere l’afflato universalistico che aveva il modello di Keines. Il problema non è però l’analisi ma la genericità delle soluzioni. Anche Mason conclude la sua esplorazione accontentandosi di aver messo in luce le “contraddizioni” della realtà, irrimediabilmente di destra. Il suo essere di sinistra si riduce all’invocazione di un modello universale che accontenti tutti, dimenticando che fare politica è trovare soluzioni parziali che, senza distruggere nessuno, al tempo stesso realisticamente prendano atto che ogni scelta implica comunque una parziale preferenza per alcuni classi sociali e per alcuni bisogni, compresi quelli identitari e di appartenenza, con tanti saluti all’universalismo progressista. Come accontentare il bisogno identitario senza essere un po’ meno universalisti e quindi un po’ meno di sinistra è un mistero a cui nessuno finora ha saputo rispondere, men che meno quella sinistra anti-modernista e pasoliniana che ha preso atto che anche di questo bisogno occorre prendere atto contro l’universalismo spersonalizzante del capitalismo. Non basta: Mason tenta anche di proporre qualche soluzione, tra le cui pieghe, va detto, è facile vedere qualche dettaglio sovranista e identitario sebbene ben celato, dettaglio che fa a pugni col bisogno universale del pensiero progressista.

Orfano della profezia marxista e del generatore keinesiano di benessere, il PD cerca di andare incontro alle classi oppresse ma offre loro un universalismo che cozza con i loro bisogni appena meno profondi di quello di mangiare: ovvero il bisogno di appartenere e di definirsi anche escludendo qualcuno. Atomizzate da un precariato che non offre sicurezze, percosse da una percezione d’irrilevanza culturale, le classi sociali escluse ma non oppresse non sanno che farsene di sogni universali che somigliano troppo a quella vita metropolitana e stilosa e cool che concorre significativamente a farle sentire profondamente sfigate nella loro provincia e o nelle loro periferie, dalle parti del bar del Giambellino, peraltro oggi di proprietà di una famiglia di cinesi. Insomma, non sarebbe un problema economico ma di carenza di appartenenza e di visibilità, ovvero di sfiga.

Chi è invece attratto dall’offerta del PD? Chi condivide il progetto d’individualismo universalista dei meriti e della vita libera dai lacci non tanto del capitalismo (quelli rimangono) ma del conservatorismo, sensibile alle sofferenze dei veri ultimissimi della terra e non dei penultimi (a questi anzi va un certo disgusto): i migranti nei barconi minacciati dal mare, gli abitanti in fuga o impossibilitati alla fuga delle mille terre in guerra, le donne maltrattate e costrette a battere sul ciglio della strada come rifiuti del mondo. Lo è chi è sensibile alle sofferenze altrettanto stringenti delle tante minoranze di genere o razziali e infine alla sofferenza della terra intera, inquinata dall’uomo e dalle sue passioni sanguinarie e carnivore.

Preoccupazioni così universali ed elevate finiscono per trovare un elettorato solo nelle grandi metropoli del mondo occidentale, mentre non attecchiscono nella grande provincia esclusa, lo strapaese incattivito non solo dalla crisi -e a volte non tanto dalla crisi, che pare stia passando- ma soprattutto dal senso di irrilevanza e di disorientamento culturale. Anche queste, si potrebbe dire, sembrano sofferenze non particolarmente incisive, solo diversamente futili dalle preoccupazioni etiche del ceto riflessivo che abita in centro. Intanto però sono sofferenze che contano nel segreto dell’urna. Già qui si è parlato dell’importanza psicologica per i gruppi sociali del senso di appartenenza.

Baumeister e Leary (1995) hanno studiato il bisogno di appartenenza come bisogno universale, dotato di aspetti affettivi da non disprezzare e capace di procurare sofferenza quando non soddisfatto. Certo, come tutti i bisogni può anche produrre danni quando ricercato in maniera pervasiva e distorta. Ma rimane un aspetto umano che va compreso e controllato, ma non eliminato. Striato da queste opposte tensioni, il PD finisce per privilegiare il versante universalista e cerca di rassicurare i penultimi promettendo sicurezza economica, ma nella maniera che meno piace ai penultimi: attraverso l’impiego precario e non fisso, come lo era invece quello assicurato dai keinesiani anni di vacche grasse.

Un bel problema, perché così facendo il PD finisce per apparentarsi a classi sociali che di sinistra sicuramente hanno la mentalità, ma manco per niente l’estrazione sociale. La sinistra finisce quindi per rappresentare non una classe sociale, ma uno schieramento etico. E il suo progetto non è più politico, ma –di nuovo- etico e prescrittivo. Difficile pensare a qualcosa di meno marxista. Che fare? Direbbe Lenin. Meglio non pensarci troppo, in attesa di un nuovo Keines o, almeno, di un nuovo Marx che riavvii il motore singhiozzante della sinistra. Non solo in Italia.

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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