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Memoria di lavoro: quali sono i suoi limiti

La nostra memoria di lavoro, cioè la capacità di mantenere in memoria più informazioni contemporaneamente, è limitata nel tempo. Secondo un recente studio ciò dipenderebbe dal coinvolgimento di alcune aree cerebrali e dal modo in cui queste interagiscono tra loro.

Di Giorgia Di Franco

Pubblicato il 13 Apr. 2018

L’esperienza quotidiana ci mette di fronte al fatto che la nostra capacità di memoria di lavoro è limitata. È impossibile tenere a mente tante cose in una sola volta.

 

I risultati di un nuovo studio sembrano spiegarci il perché: l’ “accoppiamento”, o sincronia, delle onde cerebrali tra tre regioni chiave del cervello si interrompe in modi specifici quando il carico visivo della memoria di lavoro diventa eccessivo. “Quando si raggiunge la capacità, c’è una perdita di accoppiamento di feedback” ha detto Earl Miller, professore di Neuroscienze presso il Picower Institute for Learning and Memory del Massachusetts Institute of Technology, tra gli autori dello studio. Questa perdita di sincronia significa che le regioni non possono più comunicare tra loro per sostenere la memoria di lavoro.

Scopo dello studio

La capacità massima della memoria di lavoro, ad esempio il numero totale di immagini che una persona può tenere in memoria nello stesso momento, varia da persona a persona, anche se in media corrisponde a circa quattro immagini.

Scopo di questo studio è stato quello di indagare cosa limita la capacità della memoria di lavoro.

Una migliore comprensione di questo aspetto, consentirebbe infatti anche di comprendere meglio la natura limitata del pensiero cosciente e i fattori implicati nelle prestazioni cognitive ottimali. Inoltre, i risultati potrebbero dirci di più su come i disturbi psichiatrici interferiscono con il pensiero. “Gli studi dimostrano che il picco di carico è inferiore negli schizofrenici e in altri pazienti con malattie o disturbi neurologici o psichiatrici rispetto alle persone sane” ha detto Pinotsis, altro autore dello studio. “Quindi, capire i segnali cerebrali al picco di carico può anche aiutarci a capire le origini dei disturbi cognitivi”.

Lo studio: indagine scientifica della memoria di lavoro

Lo studio, pubblicato sulla rivista Cerebral Cortex, si propone come un’analisi statistica dettagliata dei dati ottenuti presso il laboratorio di Earl Miller, ottenuti attraverso la registrazione di soggetti animali mentre erano impegnati in un gioco semplice. Nello specifico, venivano mostrate ai soggetti alcune immagini rispetto alle quali dovevano individuare l’esistenza di una differenza: inizialmente veniva presentato loro un gruppo di quadrati e, dopo la visione di una breve schermata bianca, veniva presentato un nuovo insieme di immagini quasi identico in cui un solo quadrato aveva cambiato colore. Il numero di quadrati coinvolti, quindi il carico di memoria di lavoro di ogni turno, variava in modo tale che a volte il compito superava la capacità di memoria di lavoro degli animali.

Durante lo svolgimento di questo compito, i ricercatori misuravano la frequenza e la tempistica delle onde cerebrali prodotte da gruppi di neuroni in tre regioni che presumibilmente avevano una relazione importante, sebbene ancora sconosciuta, sulla memoria visiva di lavoro: la corteccia prefrontale, i campi frontali dell’occhio e l’area intraparietale laterale.
Obiettivo dei ricercatori era quello di indagare il grado di comunicazione tra queste tre aree in relazione al loro pattern di attivazione in termini di onde cerebrali e di comprendere, in modo specifico, come ciò potesse cambiare quando il carico della memoria di lavoro aumentava al punto di superare il suo livello di capacità massima.

Conclusioni e sviluppi futuri

Usando sofisticate tecniche matematiche, i ricercatori hanno testato decine di varietà di accoppiamenti e sincronizzazioni tra le tre regioni cerebrali sopra indicate, ad alte e basse frequenze.

[blockquote style=”1″]Abbiamo modellato tutte le diverse combinazioni di feedback e segnali feedforward tra le aree e abbiamo aspettato di vedere dove avrebbero portato i dati.[/blockquote]

La struttura “vincente” si è dimostrata quella che meglio si adattava alle prove sperimentali. Da quanto emerso, si potrebbe dunque affermare che queste regioni cerebrali lavorino essenzialmente come un comitato, senza molte gerarchie, allo scopo di mantenere attiva la memoria di lavoro.

[blockquote style=”1″]Al picco del carico di memoria, i segnali cerebrali che mantengono i ricordi e guidano le azioni sulla base di questi ricordi, raggiungono il loro massimo. Al di sopra di questo picco, gli stessi segnali si interrompono.[/blockquote]

Superata la capacità massima della memoria di lavoro, l’accoppiamento della corteccia prefrontale ad altre regioni a bassa frequenza si ferma.

Anche altre ricerche sembrano suggerire che il ruolo della corteccia prefrontale potrebbe essere quello di impiegare onde a bassa frequenza per fornire il feedback che mantiene sincronizzato il sistema di memoria di lavoro. Quando questo segnale viene a mancare, l’intero processo si interrompe e questo permetterebbe di spiegare perché la capacità di memoria di lavoro ha un limite finito.

Già in precedenti studi Miller e i propri collaboratori avevano osservato che l’informazione neurale si degrada con l’aumento del carico della memoria di lavoro, ma non erano stati capaci di individuare in quale momento preciso tale funzione smettesse di funzionare.

Nonostante le importanti conclusioni a cui questo studio ci ha permesso di arrivare rispetto alla nostra conoscenza sulla memoria di lavoro, ancora molti sono gli aspetti che rimangono da indagare. Proprio per questo motivo, il “Miller Lab” è in continuo fermento e nuovi progetti di ricerca sono stati avviati. Sulla base dunque deigli ultimi risultati ottenuti nello studio che vi abbiamo raccontato, il team di ricerca che fa capo a Miller ha avviato un nuovo studio volto ad indagare come le tre regioni cerebrali implicate nei processi di memoria di lavoro interagiscono tra loro quando le informazioni devono essere condivise attraverso il campo visivo.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Pinotsis, D.A., Buschman, T.J., Miller, E.K., (2018). Working Memory Load Modulates Neuronal Coupling. Cerebral Cortex; DOI:10.1093/cercor/bhy065 DOWNLOAD
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