Nell’epoca moderna il binomio successo–felicità è spesso veicolato dai mass media come unico obiettivo del singolo nella collettività. Vi è un’ambigua correlazione tra benessere materiale e benessere soggettivo e spesso questa correlazione è diversa tante quante sono le culture alle quali viene applicata. E’ realmente questo il senso della frenetica corsa quotidiana, da qualche decennio a questa parte? Le persone benestanti sono più felici?
La felicità va di pari passo con il benessere materiale?
Benché i confronti tra Paesi del mondo dimostrino una discreta correlazione fra ricchezza nazionale misurata dal prodotto interno lordo e livello di felicità dichiarata dagli abitanti (Inglehart, 1990), questa correlazione non è poi così lineare: giapponesi e tedeschi, per esempio, si dichiarano molto meno felici degli irlandesi, nonostante il PIL dei loro Paesi risulti doppio rispetto a quello dell’ Irlanda.
Rimpicciolendo il focus della nostra lente di osservazione sul micro-sistema, in una recente ricerca longitudinale finanziata dalla Sloan Foundation, condotta con strumenti qualitativi atti a misurare il vissuto quotidiano di 1000 adolescenti americani, i risultati hanno dimostrato una correlazione negativa tra benessere materiale e felicità (Csikszentmihalyi e Schneider, in stampa): i ragazzi degli strati socioeconomici più alti dichiaravano un livello di felicità più basso rispetto ai loro coetanei degli strati più poveri.
Questi risultati possono essere considerati come un dato concreto o le norme della loro classe sociale prescrivono di dichiararsi “meno felici del vero”?
Se D. Kanheman, economista premio Nobel, ha riscontrato che “ricchezza e povertà hanno leggere differenze sull’impatto nella vita delle persone”, è anche vero che, secondo il Financial Times, il 23% delle persone più ricche al mondo “sono ossessionate dal costante stress finanziario”, tanto quanto le persone della media borghesia.
Nonostante le evidenze scientifiche, la maggior parte delle persone continua a credere che i loro problemi sarebbero risolti “se avessero più soldi”. Per quanto sia gratificante essere ricchi e famosi nessuna ricerca conferma il fatto che avere ricompense materiali bastino da sole a rendere le persone felici, per quanto ad esse siano collegate la serenità familiare, le amicizie, il tempo libero (Myers&Diener, 1995).
Qual è il vero segreto della felicità?
Secondo Csikzentmihalyi (2000), il “prerequisito della felicità è coinvolgersi pienamente nella vita. Se le condizioni materiali sono abbondanti tanto meglio ma la mancanza di denaro o di salute non impedisce di trovare l’esperienza del libero flusso (“condizione estatica di totale coinvolgimento emotivo, motivazione e soddisfazione”, ndr) in qualunque circostanza si presenti”. Ad avvalorare la sua teoria, infatti, sembra che i figli delle famiglie più ricche incontrino più difficoltà rispetto ai loro coetanei meno benestanti: tendono ad essere meno partecipi e meno entusiasti, si annoiano di più e si divertono di meno, probabilmente dato dal fatto che passano meno tempo di qualità con i loro genitori (Hunter, 1998).
Diventa difficile dunque, specie per i giovani, distinguere davvero tra ciò che rientra nella loro sfera d’interesse e ciò che è iscritto nel loro status sociale.
E’ per questo che John Locke ammoniva a non confondere la felicità immaginaria da quella reale (“quella del cuore”) e già Platone, 25 secoli fa, scriveva che il compito più urgente al quale siamo chiamati noi educatori, insegnanti, genitori, “adulti significativi” (per parafrasare J. Bowlby) è “insegnare ai giovani a trovare il piacere nelle cose giuste”.
E’ nel cammino e non nella meta che sta la felicità? Ebbene sì.
Nel libro “La trappola della felicità”, Russ Harris, medico e psicoterapeuta, spiega perché il desiderio delle persone di essere ricche e famose è un’arma a doppio taglio, poiché dietro tale desiderio si possono celare molti fattori motivanti.
“Una motivazione particolarmente comune è quella di ottenere ammirazione e rispetto da parte degli altri”, spiega Harris (2015). La maggior parte delle persone è convinta che avere soldi, fama e successo sia una scorciatoia per “far colpo sugli altri”, per “essere accettati”, perché siamo troppo spaventati dal far sì che gli altri ci vedano come siamo realmente. Il costo di questo meccanismo è elevatissimo, perché “finiamo di perdere il contatto con le persone che abbiamo intorno e le nostre relazioni mancano di intimità, profondità e apertura”. Siamo letteralmente fusi con la convinzione di “Non valere abbastanza” quindi riteniamo che lo status economico possa renderci “appetibili” per il prossimo, senza dare peso ai valori dei quali siamo portatori, rendendo il nostro percorso più frustrante e deludente di quanto possiamo immaginare.
Il consiglio è di evitare di vivere una vita concentrata sugli obiettivi (“diventare ricco” è un obiettivo) perché, una volta raggiunto quell’obiettivo, questo “non sarà ancora abbastanza”; al contrario, è meglio desiderare di vivere una vita piena, emotivamente ricca, consapevole, soddisfacente, incentrata sui valori “perché i tuoi valori sono sempre a tua disposizione a prescindere dalle circostanza in cui ti trovi”.
Il segreto sta nell’ evidenza scientifica, allora. Meglio trarre maggiore gratificazione dalle esperienze, dalla condivisione di esse, dalla possibilità di poter creare una rete relazionale più ampia, dal processo grazie al quale le persone si mettono in gioco per poter ottenere ciò che desiderano sul piano materiale.