Pensare l’impensabile e altre esplorazioni psicoanalitiche, scritto da Nina Coltart – psicoanalista della British Psychoanalytical Society – viene pubblicato in italiano dopo venticinque anni dalla sua uscita. È una raccolta di contributi densi di uno spirito vocazionale profondo nei confronti di una professione contrassegnata da pensieri impensabili. Il manifesto di una teoria e di una pratica psicoanalitica nate da una consapevole e coraggiosa libertà di pensiero congiunta a una doverosa accettazione dell’inconoscibile.
Pensare l’impensabile e rendere noto l’ignoto in psicoanalisi
La “più indipendente degli indipendenti” consegna così al lettore il suo apporto, esclusivo e quanto mai attuale, su diversi temi del panorama psicoanalitico, poco esplorati, forse per un certo verso temuti e in linea con un progetto d’indagine temerario.
Sin dall’apertura del testo, affidata a una splendida poesia di Yeats, che anticipa e condensa il senso dell’intero libro, si scopre, incarnato nei versi del poeta, il viaggio misterioso in cui paziente e analista si imbarcano diretti verso una prospettiva di salute. Un inno alla complessità della professione psicoanalitica che attraverso il paradosso acquista un significato vivo e tangibile.
Nel contatto con ciò che è impensabile e che si muove lentamente nel buio del non noto, proprio come fa “una rozza bestia”, l’analista si trova nella posizione specifica di un atto di fede. A questo proposito Nina Coltart, riconoscendo l’aspetto ineffabile che appartiene alla professione psicoanalitica, una professione “precisa e profonda”, afferma: “[…] ogni ora con ogni paziente è anche, a suo modo, un atto di fede; fede in noi stessi, nel processo, e fede negli aspetti segreti, sconosciuti, impensabili nel nostro paziente che, in quello spazio che è l’analisi, arrancano aspettando il momento in cui sarà giunta infine la loro ora” (Coltart, 2017, p. 3).
Accostarsi a quelle zone d’ombra, significa, comprensibilmente, che ad essere sollecitati nell’analista non sono solo disorientamento e timore per la complessità con cui si confronta, ma, soprattutto, l’entusiasmo per la nuova nascita del paziente. Un po’ come un funambolo in equilibrio sulla fune, dentro “l’atmosfera analitica” co-costruita dalla coppia, egli presta, con costanza, attenzione ai fattori che conserveranno il suo equilibrio e riserva uno sguardo benevolo verso i propri errori. È nell’ignoto “che muove verso il diventare noto” che l’analista scopre la creatività della propria tecnica e della propria intuizione.
È indubbiamente un lavoro di fede quello in cui sostando nel mondo interno del paziente, “dominato dall’anarchia”, egli attende che qualcosa prenda forma, astenendosi dal cedere a un comportamento imprudente e seducente e mettendo alla prova la sua “capacità negativa”.
L’attenzione, che rappresenta l’“impalcatura per ogni altra cosa”, come suggerisce Nina Coltart, costruita e affinata nel tempo, guida il lavoro e lo allontana dalla tendenza a vestire rigidamente un sistema di regole immutabili, “sacre”. Ad essa va riconosciuto il merito di favorire un monitoraggio costante, in cui l’analista può riconoscere l’influenza della personalità e delle maniere nel suo lavoro con il paziente e proteggersi dalla perdita di quella “freschezza”, propria dell’età giovanile, che tende a indebolirsi con l’avanzare di certezze indiscutibili; “quando piace il suono della propria voce, si è molto sicuri di avere ragione, si sviluppa la convinzione della propria autorità a pontificare e imporre il proprio punto di vista […]. Tutto ciò può essere – è – non solo molto noioso, ma anche antiterapeutico” (Coltart, 2017, p.99).
L’importanza della reciprocità e di sentirsi amati in psicoanalisi
La posizione di reciprocità umana è così, grazie all’ausilio dell’attenzione, riconosciuta e difesa, come quella di mutua scoperta e creazione condivisa. Si tratta di una conoscenza – quella verso cui tende l’analisi – che l’analista accetta nella sua intima natura, una conoscenza mai completamente afferrabile, mai completamente “alla sua portata”.
Il lavoro che avviene nella stanza d’analisi può essere pensato allora come “il lavoro della capacità di amare”, un lavoro la cui essenza può essere rappresentata da una combinazione di elementi che hanno il pregio di far sentire il paziente importante, compreso e accolto. L’utilizzo della parola “amare” riflette qui attentamente tutte le sue sfumature. Per essere più precisi, Nina Coltart si riferisce all’amore trascendentale e in quanto tale riconosciuto anche come “ […] l’unico contenitore affidabile entro cui potremmo sentire odio, rabbia o disprezzo per periodi di tempo variabili” (Coltart, 2017, p.119).
Lo studio che l’autrice propone, con questo testo, del mestiere impossibile dello psicoanalista è molto interessante e articolato. Predilige l’analisi delle istanze psichiche, in particolare del Super-Io e di temi a esso legati come l’angoscia e la colpa; si addentra nell’evoluzione, nelle tipologie e nei rapporti dell’angoscia con l’Io, proponendo, inoltre la distinzione tra il senso di colpa inconscio e la vergogna; porta in primo piano le qualità organizzative dell’Io e quelle “benigne” del Super-Io e la natura inconscia delle stesse istanze.
Psicoanalisi, filosofia e religione
Nella genesi, nella trasformazione e nei significati che propone riguardo a questi e altri aspetti che sono propri dell’uomo, tenta in modo audace di far dialogare psicoanalisi, religione e filosofia.
Non le si può negare, a mio avviso, proprio come anticipa al lettore, quasi chiedendogli uno sforzo attentivo, di essersi assunta un compito nient’altro che semplice.
“L’ambiguità è una caratteristica che ho ritrovato molto di frequente mentre cercavo di esplorare la storia del peccato e della coscienza nella società, tanto che sono giunta a ritenere che essa sia praticamente inseparabile dal sistema morale degli esseri umani” (Coltart, 2017, p.63). In questo viaggio che arriva fino ad oggi, Nina Coltart affronta i temi dello sviluppo morale, del peccato, della colpa, della sofferenza e della riparazione, tentando una sintesi di un’analisi molto ampia, attraverso esigui richiami ai contributi dei principali rappresentanti storici.
Partendo, dunque, dalla ricerca di senso che caratterizza l’uomo lungo tutta la sua esistenza – anche la propria – arriva a proporre un modello di lavoro psicoanalitico che risponde a una personale filosofia di vita e il cui punto chiave mi sembra proprio quello relativo all’utilità che le viene attribuita.
Lo stile dialogico impiegato, inoltre, rende il lettore costantemente interessato alle sue riflessioni e lo conduce verso la comprensione del modo in cui la sua prassi, che appare a tratti paradossalmente rigorosa e allo stesso tempo comprensivamente aperta al non consueto, si integri in modo coerente con quello che definisce un mestiere impossibile. Di fatto, alcune delle sue “sfide” cliniche, “la terapia con un paziente transessuale”, “il paziente silenzioso”, “l’analisi con il paziente anziano”, proponendo suggestioni su argomenti controversi, rappresentano la testimonianza viva dell’operazione funambolica di armonizzare “la regola” con la “spontaneità intuitiva”.
Per concludere, stare con i pensieri impensabili dei pazienti è un po’come un atto di fede che, per il suo fiducioso “ottimismo”, distingue la scelta vocazionale psicoanalitica dalle altre professioni. È un esercitarsi costante a stare in equilibrio con tutte quelle abilità che avanzano insieme in modo così paradossale e diverso a ogni nuovo incontro, conducendoci a preferire, come ricorda l’autrice, sempre l’autenticità, anche quando è scomoda e il suo esito imprevedibile, all’astuzia clinica.