La ricerca della verità è uno dei temi chiave della Vita di Galileo, l’opera teatrale di Bertold Brecht, che forse molti ricordano grazie alla magnifica messa in scena di Giorgio Strehler.
Le resistenza del mondo ecclesiastico alle scoperte di Galileo Galilei
Siamo nel 1610. Galilei, docente di matematiche a Padova, scopre che in Olanda è stato inventato il telescopio. Lo scienziato pisano non perde tempo: perfeziona lo strumento e, per la prima volta, lo punta verso il cielo. Servendosi dell’arnese, scopre fenomeni celesti che confermano il sistema copernicano. Galileo, colto dall’entusiasmo, si presenta al Collegio romano, la più alta istituzione scientifica dell’epoca, per dimostrare la fondatezza delle sue ricerche. Con l’amico Sagredo, pochi giorni prima, ironizza: “Li agguanterò per il collarino e li pianterò davanti al mio telescopio […] Io chiederò loro soltanto di credere ai loro occhi.”
Le speranze dello studioso svaniscono presto. Monaci ed aristotelici rifiutano di guardare il cielo con il cannocchiale. La verità, così evidente per Galilei, non la è altrettanto per l’autorità religiosa. Per emergere ha bisogno di conoscenza. Ma soprattutto, una volta esplicitata, la verità porta con sé conseguenze e responsabilità. Il Collegio non può credere al sistema eliocentrico, che spazzerebbe via un’idea radicata nella società fino al Seicento: l’uomo – la Terra – è al centro del mondo.
Fino a quel momento essere scienziato voleva dire essere prima teologo. Laddove per anni ha dominato la fede, oggi – grazie a Galilei, l’inventore del metodo scientifico – domina il dubbio. L’elemento alla base delle ricerche attuali, nel campo della medicina, della fisica, della chimica dove si procede per tentativi, e dove ogni cosa è vera fino a prova contraria.
La ricerca della verità esaltata dell’opera teatrale di Brecht
Il Galileo di Brecht se la prende, non tanto con Aristotele, ma con gli aristotelici: Aristotele non ce l’aveva il telescopio! Il filosofo di Stagira non poteva arrivare a tali conclusioni, perché non esistevano ancora gli strumenti. Non a caso, nella quarta scena, Galilei pronuncia queste parole: “La verità è figlia del tempo. La verità non sempre è assoluta, talvolta è in fieri, in perenne divenire, muta a seconda del periodo storico.”
In questo caso non è accettata, tanto che, nell’undicesima scena del testo di Brecht, Galileo è convocato a Roma dall’Inquisizione. E’ il 22 giugno 1633: lo scienziato, non appena l’autorità gli mostra gli strumenti di tortura, rinnega la sua dottrina della rotazione della Terra. Dopotutto, è un essere umano con debolezze e paure. Vive fino alla morte in una villa nei dintorni di Firenze, prigioniero dell’Inquisizione. Quando Andrea, il suo studente prediletto, lo va a trovare, forse un po’ deluso dall’abiura del maestro, scopre qualcosa.
Lo scienziato continua le sue ricerche, ma ha il dovere di consegnare tutto ciò che scrive alla Chiesa. Dove sta il colpo di scena? Di ogni pagina che scrive fa una copia, che da tempo aspetta di consegnare ad Andrea, che esclama: “Avete nascosto la verità contro il nemico!”. La scienza, risponde lo studioso, non ha che un imperativo: contribuire alla scienza.
Andrea partirà per l’Olanda, dove le ricerche di Galileo potranno essere finalmente pubblicate. Anche negli ultimi momenti del testo teatrale riaffiora il concetto da cui siamo partiti: ciò che è chiaro ed evidente, come la verità, spesso non si vede. Il giovane viene fermato dalle guardie, che controllano tutto il bagaglio, senza prestare attenzione all’unico libro che Andrea tiene in mano. Se non lo nasconde significa che non c’è da preoccuparsi, pensano scioccamente le autorità. Naturalmente, si tratta del saggio che il ragazzo ha appena ricevuto in dono dal grande scienziato. Così, i Discorsi delle nuove scienze di Galileo Galilei oltrepassano i confini d’Italia.