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L’Identità biculturale: una risorsa per la creatività e il benessere psicologico

Gli individui con identità biculturale sono coloro che percepiscono l'appartenenza sia alla cultura di origine che a quella del paese ospitante.

Di Guest

Pubblicato il 07 Feb. 2018

Il risultato di questa esposizione a stimoli cross-culturali è un largo aumento di individui con identità biculturale, persone che hanno internalizzato almeno due culture. Gli individui biculturali non fanno necessariamente parte di minoranze etniche, ma sono per lo più immigrati, residenti temporanei, rifugiati o semplicemente individui esposti ad una seconda cultura oltre a quella di appartenenza, e le hanno interiorizzate entrambe (Benet-Martínez & Haritatos, 2005; Nguyen & Benet-Martínez, 2007, 2010).

Giulia Loverde, Open School Studi Cognitivi di Modena

 

La migrazione è uno degli argomenti di attualità maggiormente discussi degli ultimi anni. L’opinione pubblica si sta formando pareri diversi su ciò che la stampa e il mondo politico riportano sull’argomento e i fenomeni di discriminazione e marginalizzazione degli immigrati stanno diventando sempre più numerosi e allarmanti. È altrettanto vero che un numero sempre maggiore di individui è esposto a più stimoli culturali, grazie alle nuove tecnologie e ad un contatto maggiore con culture diverse. Ma cosa sostiene la ricerca scientifica? E quali sono i risvolti per l’identità?

La migrazione è un fenomeno complesso che coinvolge diversi aspetti ed è indagabile a vari livelli. Inoltre numerosi studi affermano che il contesto in cui si realizza riveste un ruolo importante nel processo. La branca della psicologia che studia questi fenomeni è la psicologia sociale mentre, in un’ottica orientata all’individuo, ha fornito il suo contributo anche la psicologia clinica. Ma cosa accade quando un individuo migra dal suo paese verso un paese ospitante o più semplicemente è esposto a stimoli di carattere cross-culturale?

L’acculturazione e i suoi esiti

Vari fattori entrano in gioco in questo cambiamento che, non è solo uno spostamento fisico/di luogo, ma ha conseguenze psicologiche e relazionali. Sia gli individui migranti che gli individui ospitanti, hanno aspettative, credenze, valori diversi e compiono valutazioni su se stessi e sugli altri contribuendo alla creazione di differenti dinamiche tra i gruppi e differenti esiti per gli individui.

Quando in psicologia sociale si parla di acculturazione ci si riferisce a quel fenomeno che si verifica quando individui e gruppi di culture differenti si trovano in una condizione continuativa di contatto ravvicinato, con conseguenti cambiamenti negli schemi culturali originali di uno o di entrambi i gruppi da un lato, e cambiamenti per gli individui che ne fanno parte, dall’altro (Redfield, Linton e Herskovits, 1936). È importante notare che la natura del processo è bidirezionale: i cambiamenti avvengono sia per la cultura ospitante che riceve la migrazione, sia per la cultura di origine dei soggetti migranti (Berry, Sam, 1997). Oltre al livello collettivo riconosciamo un livello individuale: i processi di acculturazione implicano, infatti, trasformazioni non solo nelle culture dei gruppi che si confrontano, ma anche cambiamenti che riguardano la sfera psicologica degli individui (Graves, 1967).

I fattori in gioco nei processi di acculturazione sono vari e si distinguono in:
– collettivi: la condizione socio-economica del paese ospitante e quella del paese di origine, la situazione politica del proprio paese e di quella di arrivo, la lingua e la religione di entrambi i paesi coinvolti, gli atteggiamenti del paese ospitante verso la migrazione, il tipo di popolazione e i gruppi etnici presenti nel territorio ospitante, la rete sociale su cui il gruppo di acculturazione può contare nel contesto ospitante;
– individuali: le caratteristiche demografiche (sesso, titoli di studio, età) e culturali (la religione, la lingua), i fattori di natura psicologica (la motivazione che spinge alla migrazione, le aspettative riguardo al cambiamento), le strategie di coping utilizzate, le risorse individuali e sociali impiegate per affrontare il cambiamento, il grado di contatto con la cultura ospitante, il livello di mantenimento della propria cultura di origine, i livelli di discriminazione percepita, la percezione di vicinanza/lontananza con la cultura ospitante dalla cultura di origine.

La letteratura ha indagato gli effetti generati dalla diversa combinazione di questi fattori riscontrando che l’individuo può incorrere in: modificazioni comportamentali a seguito dell’apprendimento della nuova cultura (abitudini alimentari, apprendimento delle nuove norme sociali e linguistiche) o alla perdita della cultura di origine, e ai conflitti che possono generarsi tra i gruppi di culture diverse; processi di identificazione culturale (cambiamento di atteggiamento nei confronti della propria cultura etnica ed identificazione con la nuova cultura ospitante) ed anche difficoltà di adattamento psicologico e socio-culturale (conseguenze psicopatologiche: depressione, stress, disturbi psicotici, stress post-traumatico, scarsi livelli di autostima, difficoltà di integrazione e relazionali).

La letteratura e le ricerche si sono spesso concentrate sugli esiti negativi che questo processo può comportare, individuando i fattori che possono contribuire al malessere individuale, ai conflitti, allo stress da acculturazione e alle difficoltà di adattamento alla nuova cultura. Ma essere appartenenti a più culture diverse, ha solo riscontri negativi o potrebbe avere dei risvolti positivi per l’individuo? E quando, in questa condizione, si crea benessere per l’individuo?

Identità biculturale

Dal 1970, la migrazione internazionale è raddoppiata a livello mondiale. In aggiunta, le innovazioni tecnologiche hanno implementato la possibilità di costruire legami cross-culturali e di venire a contatto con diverse culture nel mondo mentre il numero delle famiglie e le coppie multiculturali è in crescita.

Il risultato di questa esposizione a stimoli cross-culturali è un largo aumento di individui biculturali, persone che hanno internalizzato almeno due culture. Gli individui biculturali non fanno necessariamente parte di minoranze etniche, ma sono per lo più immigrati, residenti temporanei, rifugiati o semplicemente individui esposti ad una seconda cultura oltre a quella di appartenenza, e le hanno interiorizzate entrambe (Benet-Martínez & Haritatos, 2005; Nguyen & Benet-Martínez, 2007, 2010). Un chiaro esempio di tali individui sono gli immigrati di seconda generazione, i figli delle famiglie migranti, i quali nati e vissuti nel paese ospitante per tutta la loro vita, sono stati esposti anche alla loro cultura di origine in famiglia o nei gruppi sociali. L’acquisizione di una mente multiculturale può avvenire, oggi più che mai, attraverso svariate e molteplici forme e modalità.

L’interiorizzazione di schemi culturali anche molto distanti e incongruenti tra loro avviene, infatti, con maggior frequenza e la consapevolezza e individualità della loro negoziazione dà origine ad ampie differenze interindividuali (Nguyen e Benet-Martínez, 2007).
Gli individui biculturali sono in grado di abbracciare i valori sia della cultura ospitante che di quella di origine utilizzando strategie di coping di entrambe le culture e compiendo scambi interculturali positivi. È parte della loro identità l’accettazione di entrambe le culture che li aiuta a funzionare appropriatamente in contesti multiculturali.

La biculturalità, in letteratura è stata spesso studiata come la capacità di adottare la cultura ospitante e di mantenere al contempo la propria cultura di origine. Questo approccio non ha tuttavia considerato la differenza tra l’adozione dei comportamenti più tipici di una cultura e il reale senso di appartenenza nei confronti di essa e la variabilità, quindi, tra individui biculturali (Nguyen e Benet-Martínez, 2007; Schwartz e Unger, 2010).

I cambiamenti legati al processo di acculturazione si realizzano, infatti, con modalità differenti, in modo indipendente e in tempi diversi in vari ambiti della vita. (Navas et al., 2007; Nguyen e Benet-Martínez, 2007). Di conseguenza, essi possono generare esiti diversi, in termini di bi-culturalità a livello identitario.

Secondo Benet-Martínez e colleghi (2002; 2005; 2007), l’ identità biculturale è una miscela unica, in quanto personale, influenzata da vari fattori (contestuali, situazionali, socioculturali e individuali). La ricercatrice sostiene che l’espressione e il processo di identificazione dell’ identità biculturale possano essere armoniosi o conflittuali (Benet-Martínez e Haritatos, 2005) sottolineando l’importanza della modalità con cui gli individui biculturali sperimentano e organizzano i loro differenti e talvolta opposti orientamenti culturali. Lo sviluppo di un’armoniosa identità biculturale può essere una risorsa per l’individuo poiché determina modificazioni a livello cognitivo che migliorano la flessibilità di pensiero, il benessere e l’adattamento del soggetto in vari contesti (Chen e Benet-Martinez, 2008).

Benet-Martínez insieme ad altri autori, ha sviluppato nel 2002 il Bicultural Identity Integration (BII), una misura che permette di verificare se e come gli individui percepiscono la loro identità culturale: nello specifico se compatibile e integrata oppure difficile da integrare. Il BII non è un costrutto unitario, ma composto da due componenti. La prima riguarda il grado di conflittualità tra le due culture (cultural conflict), la seconda prende in considerazione la distanza percepita tra di esse (cultural distance; Huynh, Nguyen, Benet-Martínez, 2011). La prima componente esprime la soggettività dell’individuo poiché informa sugli elementi legati all’affettività dell’esperienza biculturale. La percezione di armonia tra le due culture può essere impedita dall’influenza negativa di fattori stressogeni sia personali (vulnerabilità, ruminazione e rigidità emotiva) sia esterni (discriminazioni, pressioni culturali, difficoltà linguistiche e relazionali)

La seconda componente individua invece la percezione di distanza tra le due culture. Quando i livelli di questa componente risultano essere elevati, l’individuo esperisce le due culture come non sovrapponibili, dissociate e distanti l’una dall’altra. Nello specifico la percezione di distanza sembra essere legata sia ad un atteggiamento di separazione dalla cultura ospitante e di mantenimento della propria cultura d’origine sia all’identificazione con la cultura ospitante ma non con quella d’origine. Per queste relazioni è stata associata a concetti di acculturazione più tradizionali: gli atteggiamenti e i comportamenti.

Attraverso la componente di distanza percepita è possibile che l’individuo adotti entrambe le culture, ma con la volontà di mantenerle separate. Inoltre, sembra che la percezione di distanza sia maggiore nei primi periodi della permanenza nel contesto ospitante, mentre si affievolirebbe con il passare del tempo. In uno studio del 2005 (Benet-Martínez e Haritatos), questa componente e gli anni di permanenza sul territorio sono infatti negativamente correlati.

Tra i fattori individuali che influenzano la percezione di distanza culturale, emerge una bassa apertura individuale che può motivare la bassa capacità di incamerare nuovi valori e stili di vita contemporaneamente. I fattori esterni che influiscono su tale componente sono: l’esperienza di isolamento culturale, le pressioni contestuali e lo stress derivato dalla scarsa abilità linguistica dell’idioma ospitante.

L’ identità biculturale ha quindi una componente più affettiva e un’altra componente più cognitiva. Entrambe sono influenzate da fattori diversi: è importante il ruolo dell’esperienza soggettiva percepita dall’individuo rispetto al contesto in cui è immerso e quindi le sue caratteristiche personologiche, cognitive, le strategie di coping, ma anche fattori esterni quali i livelli di discriminazione, gli atteggiamenti di acculturazione adottati e le esperienze relazionali nel contesto ospitante.

L’identità biculturale: perchè è una risorsa e quando si realizza

Lo sviluppo di un’ identità biculturale armoniosa, è importante per il soggetto perché gli permette di avere un maggiore benessere psicologico, livelli di autostima più elevata e di percepire una minore discriminazione soggettiva e livelli minori di stress.

La modalità con cui gli individui sviluppano l’ identità biculturale e la percepiscono è molto importante per il loro benessere e per le risorse che da essa possono derivare. Gli individui con un’ identità biculturale armoniosa e coesa, (bassa percezione di distanza e bassa percezione di conflittualità tra le culture) mostrano maggiore capacità ideativa, maggiore complessità cognitiva, minore discriminazione percepita, maggiore creatività, maggiori abilità linguistiche e maggiore apertura nelle relazioni sociali (Benet-Martinez e al., 2006; Huynh, Nguyen, Benet-Martínez, 2011). Questi esiti sono probabilmente legati alla capacità dell’individuo di accettare aspetti contradditori ma anche di utilizzare le abilità acquisite in modo funzionale al contesto in cui sono immersi.

Un aspetto molto interessante riguarda, infine, il ruolo del contesto. Alcuni risultati hanno evidenziato che gli individui inseriti in contesti multiculturali o in cui la biculturalità era apprezzata e considerata un valore, manifestavano un’ identità biculturale armoniosa e un maggiore benessere psicologico (Nguyen e Benet-Martinez, 2007). Come evidenziato inizialmente, le variabili collettive, legate al contesto in cui si realizza l’acculturazione, sono importanti e generano esiti individuali e di gruppo diversi. Per quanto riguarda il gruppo ospitante, come suggerito dalla teoria di Tajfel, è presente una paura nel gruppo ospitante che i migranti non si adattino alla società che li accoglie, ma che piuttosto creino un contesto culturale separato che minacci l’unità culturale del Paese nel suo complesso e di conseguenza l’identità culturale degli individui che si definiscono anche rispetto alla loro cultura originaria minacciata. Questa minaccia percepita e le possibili reazioni avverse delle persone della società ricevente la migrazione, possono contribuire alla diminuzione di integrazione dell’ identità biculturale in tali gruppi etnici nelle comunità in cui il loro numero è relativamente ridotto, conducendoli a separarsi dal contesto culturale maggioritario.

Gli individui multiculturali e il ruolo della psicoterapia

I temi trattati suggeriscono l’importanza dello sviluppo di una mente multiculturale in un’epoca di globalizzazione, dove la facilità di spostamento e il contatto tra culture diverse è sempre più all’ordine del giorno. Vari fenomeni di grande attualità come la sequenza di attentati che si stanno susseguendo in Europa e nel mondo, le difficoltà di integrazione che i migranti stanno sperimentando, sono alcuni dei fatti per cui una lettura attraverso una chiave scientifica, potrebbe essere d’aiuto per il loro inquadramento. L’aumento dell’accettazione di una società multiculturale ed un atteggiamento di apertura verso le altre culture, dovrebbero divenire degli obiettivi a cui tendere, sia per un benessere personale che sociale. I fenomeni di isolamento sociale e di radicalità vissuti negli ultimi anni dai migranti, potrebbero essere influenzati anche dal contesto ospitante che spinge verso l’abbandono della propria cultura d’origine dei migranti per l’assimilazione alla cultura ospitante, la quale a volte non rispetta una parte identitaria centrale dell’individuo per la definizione di sé: l’appartenenza etnica. Oltre alla riduzione dei fenomeni di marginalizzazione dei migranti e dei conflitti tra gruppi etnici, vi sono, come abbiamo visto, vantaggi individuali come ampliate capacità cognitive e maggiori abilità di ragionamento. Ciò può aiutare, ad esempio, in ambiti di lavoro multiculturali sempre più comuni oggigiorno (es. grandi aziende con sedi dislocate e dipendenti trasfertisti).

In questo scenario come può collocarsi la psicoterapia? Il ruolo degli schemi cognitivi nel processo di identificazione con l’ identità biculturale, è per l’individuo centrale. Oltre a ciò, variabili personologiche come l’apertura nelle relazioni, l’abilità nelle interazioni e la capacità di gestione dello stress ne influenzano fortemente gli esiti. Una psicoterapia potrebbe, pertanto, essere orientata ad aumentare la tolleranza alle contraddizioni e a sviluppare la capacità individuale di riconoscimento funzionale degli stimoli culturali all’interno del contesto, in modo da poter aiutare l’individuo ad attivare lo schema culturale più adatto in quella situazione.

La capacità di lettura degli eventi, l’accettazione che la propria identità abbia più sfaccettature e che un individuo possa definirsi attraverso una pluralità di modi e non solo attraverso un incasellamento statico, potrebbero essere alcune delle tematiche da affrontare con il terapeuta. Inoltre, potrebbe essere utile fare un’indagine approfondita sulle credenze che non permettono l’adattamento nel nuovo contesto e sugli schemi cognitivi che non aiutano il paziente in questo processo. Infine, un assessment sul tipo di attaccamento sviluppato con gli adulti di riferimento e sulle modalità di interazione apprese in famiglia, potrebbero ampliare lo scenario e dare spunti di lavoro a livello personologico per aiutare il paziente a fronteggiare il malessere provato.

Concludendo, l’acculturazione è un fenomeno contemporaneamente intrapersonale, interpersonale e influenzato dal contesto. Pertanto, ulteriori approfondimenti empirici sull’intervento dei vari fattori che modificano questo processo, fornirebbero una maggiore comprensione dell’identità culturale e dell’adattamento individuale necessaria in un’epoca mutevole e dinamica.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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