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Disturbi d’ansia: una valutazione encefalografica può predire se sono più efficaci i farmaci o la psicoterapia

Uno studio ha permesso attraverso una valutazione encefalografica di confrontare l'efficacia degli antidepressivi e della CBT nel trattamento dell'ansia.

Di Enrica Gaetano

Pubblicato il 21 Dic. 2017

Aggiornato il 15 Gen. 2018 12:23

Uno studio condotto dai ricercatori dell’Università dell’Illinois a Chicago, pubblicato recentemente sulla rivista Neuropsypharmacology, ha trovato che una breve misurazione e analisi encefalografica può aiutare a determinare se un antidepressivo o la terapia cognitivo-comportamentale stia risultando efficace nell’alleviare i sintomi ansiosi in pazienti con disturbi d’ansia.

 

Il trattamento con antidepressivi e terapia cognitivo comportamentale dei disturbi d’ansia

Gli antidepressivi della classe degli SSRI (Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) e la terapia individuale cognitivo-comportamentale (CBT) sono posti come trattamenti evidence-based di prima scelta dalle linee guida mondiali per il trattamento farmacologico e psicologico dei disturbi d’ansia (Bandelow et al., 2002; Clarck, 2011), in quanto gli SSRI agiscono modificando la trasmissione della serotonina a livello dei circuiti neurali, mentre la CBT aiuta i pazienti a modificare i pensieri e i comportamenti disfunzionali e poco adattivi sostituendoli con nuove tecniche cognitive e comportamentali per la gestione dei sintomi ansiosi e dell’umore.

Entrambi sono ugualmente efficaci per alleviare i sintomi ansiosi pervasivi e persistenti, tuttavia non è ancora chiaro il motivo per cui, in alcune situazioni, l’uno sembra essere più efficace dell’altro.

Stephanie Gorka, assistente professore al dipartimento di Psichiatria dell’UIC College of Medicine, ha mostrato come un’elevata attività cerebrale correlata all’errore (ERN) fosse associata con una maggiore severità dei sintomi ansiosi (Gorka, Burkhouse et al., 2017) e che pertanto questa potesse rappresentare un neuromarcatore biologico dell’ansia.

I meccanismi cognitivi dell’ansia

In uno studio precedente (Gorka, Burkhouse et al., 2017) ricercatori avevano concluso che le persone che soffrono di disturbi d’ansia mostravano una risposta neurale esagerata nel momento in cui commettevano un errore, come se avessero costantemente attivato un allarme biologico interno che segnala loro di aver commesso un errore e di dover quindi modificare subito il loro comportamento affinché non si presenti di nuovo lo stesso.
Questa tipologia di pazienti infatti tende a prestare maggiore attenzione in modo automatico agli indizi negativi presenti nell’ambiente, a sovrastimare i potenziali pericoli e a sottostimare erroneamente le risorse e capacità che potrebbero mettere in campo per fronteggiarli mettendo quindi in atto comportamenti di sicurezza come l’evitamento o il rimugino continuo per cercare di distaccarsi e controllare l’ambiente valutato come minaccioso (Caselli, Ruggiero et Sassaroli, 2017).

L’elettroencefalografia rivela l’efficacia della CBT nel trattamento dei disturbi d’ansia

Da queste conclusione l’idea che la misurazione dell’onda cerebrale ERN correlata all’errore, misurata tramite elettroencefalografia, potrebbe essere utilizzata per la valutazione della gravità del disturbo ansioso: tanto più l’onda è grande tanto più è aumentata la risposta cerebrale quando viene commesso un errore.

Per elicitare i soggetti a sbagliare, gli autori dello studio presente (Gorka, Bunkhouse, Klumpp, 2017) hanno utilizzato un compito che richiedeva di indicare accuratamente e nel minor tempo possibile la direzione di una freccia posta al centro di uno schermo e circondata da altre frecce che fungevano da distrattori.

Nello stesso momento in cui i soggetti indicavano la direzione della freccia tramite un bottone, appariva un altro schermo costringendo i soggetti a dare la risposta sbagliata.

Per lo studio vennero reclutati 60 volontari con una diagnosi di disturbo d’ansia e 27 senza alcuna diagnosi di disturbo psicologico pregresso.
Tutti i soggetti completavano il compito mentre indossavano un casco con elettrodi che misurava online l’attività cerebrale dei partecipanti.
Nella seconda sessione dello studio, in modo casuale, i soggetti con disturbo d’ansia vennero divisi: ad una parte venne prescritto un antidepressivo SSRI da assumere per 12 settimane, l’altra venne sottoposto a diverse sedute di CBT con uno psicoterapeuta per lo stesso periodo di tempo.

A seguito dei trattamenti, a tutti i soggetti venne sottoposto di nuovo il compito della freccia mentre veniva registrata loro l’attività cerebrale tramite elettroencefalogramma.

I ricercatori dello studio trovarono che un aumento dell’onda ERN all’inizio del trattamento era associata ad una grande riduzione dei sintomi ansiosi per coloro che erano stati sottoposti a sedute individuali di CBT e non per coloro che avevano assunto l’antidepressivo.

Nei soggetti che avevano assunto il farmaco SSRI per 12 settimane non si era osservata una riduzione dell’onda ERN alla fine del trattamento (Gorka, Bunkhouse, Klumpp, 2017).
La riduzione dell’onda ERN, a seguito di un trattamento psicologico, è stata spiegata alla luce del fatto che la CBT, differentemente dal farmaco, aiuta i soggetti ad apprendere nuove modalità di pensiero e comportamentali per ridurre l’ansia invasiva, anziché ridurre semplicemente i sintomi.

In aggiunta l’analisi dell’onda ERN ha aiutato i ricercatori a predire quali pazienti avrebbero tratto giovamento a seguito di un trattamento specifico (CBT o SSRI); quest’informazione è estremamente utile in quanto, rispetto al farmaco, la CBT è meno impegnativa in termini di tempo e non è associata a effetti indesiderati come accade invece con gli antidepressivi.

Inoltre l’utilizzo dell’elettroencefalogramma e la registrazione dell’ERN prima di iniziare un trattamento, fornisce un metodo semplice o oggettivo per selezionare e indirizzare i pazienti verso un giusto trattamento personalizzato riducendo la probabilità che si verifichi il drop-out nel momento in cui i pazienti non percepiscono la riduzione dei loro sintomi a seguito del trattamento terapeutico.

Un altro punto importante da sottolineare è che la quantità di tempo impiegata per la registrazione dell’attività cerebrale e per il completamento del compito è stata relativamente breve (circa 30 minuti); questo permette di concludere che tale metodo può essere utilizzato anche nel setting terapeutico per avere una misura oggettiva dell’efficacia o meno del trattamento.

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