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Realtà Virtuale e Psicoterapia Cognitivo-comportamentale: applicazioni attuali e potenzialità

La realtà virtuale è uno strumento che riproduce situazioni reali e che può essere utile nell'ambito della CBT per il trattamento di diversi disturbi.

Di Caterina Fusco, Guest, Antonietta Moccia, Marianna Di Nunzio

Pubblicato il 23 Ott. 2017

Aggiornato il 03 Set. 2019 15:52

Gli autori in questa review definiscono il concetto di realtà virtuale, si soffermano sull’efficacia di tale tecnologia nel trattamento di diverse patologie psichiatriche e sul suo utilizzo in terapia cognitivo-comportamentale (CBT).

Caterina Fusco, Maddalena Pizziferro, Antonietta Moccia, Marianna Di Nunzio

La realtà virtuale promette di essere uno strumento utile in quanto fornisce informazioni sensoriali (immagini, suoni, tatto e movimento) capaci di riprodurre una situazione il più possibile vicino alla realtà. Gli interventi attraverso la realtà virtuale diventano un importante strumento coadiuvante la terapia cognitivo comportamentale (CBT). Realtà virtuale e CBT condividono la visione del paziente come partecipante attivo del proprio percorso terapeutico e, dunque, costruttore collaborativo del proprio cambiamento. I risultati delle ricerche finora eseguite sembrano incoraggianti e promettenti tanto da poter ipotizzare l’associazione della realtà virtuale nei protocolli validati della CBT.

Introduzione

La realtà virtuale, spesso abbreviata in VR (Virtual Reality) è la simulazione di una situazione reale con la quale il soggetto può interagire, con interfacce non convenzionali ed estremamente sofisticate, su cui viene rappresentata la scena e riprodotti i suoni.

La realtà virtuale è un aggregato di ausili tecnologici e branche del sapere abbastanza diverse tra loro ed è composta da fattori esperienziali e tecnologici. Relativamente all’aspetto esperienziale, la realtà virtuale rappresenta un cambiamento radicale all’interno dell’esperienza mediale: il soggetto da osservatore di un’ azione ne diventa protagonista. Vedere, udire, toccare, manipolare oggetti che non esistono, percorrere spazi senza luogo in compagnia di persone che sono altrove, è quanto sembra proporci tale innovazione tecnologica. Questo processo attivo di interazione con il mondo virtuale produce il senso di presenza, cioè la sensazione di essere nell’ambiente virtuale.

Per quanto riguarda l’aspetto tecnologico, la VR è costituita da strumenti in grado di acquisire informazioni sulle azioni del soggetto che vengono integrate ed aggiornate dal computer in tempo reale, così da costruire un mondo tridimensionale dinamico. Le informazioni visive, sonore e in alcuni casi anche tattili e olfattive vengono poi restituite al soggetto attraverso particolari strumenti di output.

Numerosi studi mettono in evidenza che la realtà virtuale può rappresentare un valido aiuto nella CBT consentendo di superarne alcuni ostacoli.

La realtà virtuale in CBT

La realtà virtuale comincia ad affacciarsi al mondo della psicologia nei primi anni ‘90. Dopo i primi lavori di ricerca, si intuiscono le possibilità di sviluppo di questo medium comunicativo nel campo della psicologia clinica.

Nell’ambito, ad esempio, della gestione dello stress, la meditazione guidata dal terapeuta in VR di scene che inducono la risposta di rilassamento ha ottenuto effetti positivi (Riva, 1997). La riproduzione realistica degli ambienti cibernetici, il coinvolgimento dei vari canali senso-motori e la sensazione di immersione che ne deriva consentono al soggetto in trattamento un’esperienza più vivida di quanto potrebbe fare attraverso la propria immaginazione (Vincelli & Molinari, 1998).

Gli ambienti ricreati mediante le tecnologie di realtà virtuale possono rappresentare un nuovo contesto di interazione sociale attraverso il quale è possibile sperimentare emozioni e azioni, far rivivere ai soggetti le proprie paure, le proprie difficoltà, i propri comportamenti disfunzionali rendendo più nitidi ed accessibili i sottostanti pensieri e credenze illogici da trattare.

La VR può rappresentare uno strumento di aiuto alla CBT in quanto permette di superare alcuni degli ostacoli diffusi di tale psicoterapia, soprattutto nel caso dei disturbi fobici, il cui trattamento è basato sull’esposizione, permettendo esperienze altrimenti quasi impossibili, se non in modo immaginifico, come recarsi ad un aeroporto e salire su di un aereo, trovare una platea che ascolta, essere gradualmente immerso in un ambiente pieno di ragni, avvicinarsi senza rischio alcuno al parapetto di un balcone.

L’utilizzo della realtà virtuale come strumento terapeutico presenta numerosi vantaggi. Lo psicoterapeuta può ricostruire, con il paziente, una gerarchia degli stimoli critici che sono alla base del disturbo in esame e pianificare un programma di desensibilizzazione, esponendo il soggetto all’esperienza di tali condizioni. La tecnica rimanda al Flooding cognitivo-comportamentale ma in chiave tecnologica. La terapia mediata dalla realtà virtuale desensibilizza il soggetto dalle sue ansie, abituandolo progressivamente ad emozioni che può provare a gestire attraverso un approccio differente. Inoltre, le diverse componenti dell’ambiente virtuale sono interamente sotto il controllo del terapeuta, così da consentirgli di stabilire, di volta in volta, quale grado di difficoltà presentare al paziente. Il terapeuta, in questo modo, ricopre il ruolo di mediatore tra mondo reale e virtuale.

Differenti recensioni e meta-analisi, considerano la realtà virtuale come strumento coadiuvante la psicoterapia basata sull’esposizione, per il trattamento dei molteplici disturbi d’ansia (Riva, 2005; Wiederhold & Wiederhold, 2006).

Gli ambienti virtuali permettono allo psicoterapeuta di controllare attivamente molteplici aspetti degli stimoli presentati e di identificare i parametri correlati alla risposta disfunzionale. Tali ambienti garantiscono inoltre la riservatezza e la sicurezza dei pazienti, rappresentando uno stimolo ad intraprendere la terapia stessa (Vincelli & Riva, 2007).

Numerose meta-analisi (Parsons & Rizzo, 2008; Powers & Emmelkamp, 2008) hanno mostrato che gli ambienti virtuali evocano le medesime reazioni ed emozioni della situazione vissuta nel mondo reale, che il senso di presenza può essere esperito anche in ambienti caratterizzati da un realismo grafico non particolarmente curato ed è fortemente correlato con la possibilità di interagire con le componenti dell’ambiente virtuale. Infine è possibile generalizzare le credenze di un paziente dalle esperienze guidate negli ambienti virtuali verso le situazioni dell’ambiente reale.
L’applicazione della realtà virtuale come strumento terapeutico offre nuove possibilità per la comprensione, la valutazione e la riabilitazione di numerosi disturbi psichiatrici.
Sono stati proposti protocolli e ambienti per il trattamento della fobia di guidare (Walshe et al, 2003; Vidotto et al., 2011), per l’acrofobia (Coelho et al., 2009) e per l’aracnofobia (Deppermann et al., 2016).

Nel caso della fobia sociale, uno dei disturbi psichiatrici più frequenti, si stima che circa il 13% della popolazione, nel corso della vita, abbia sofferto o soffra di questo disturbo (Vincelli & Riva, 2007). Il trattamento di tale disturbo si basa sull’esposizione graduale alle situazioni sociali temute (in vivo o immaginando le situazioni) e prevede il fronteggiamento dei pensieri ansiogeni, l’acquisizione di abilità sociali specifiche tramite un percorso psicoeducativo e l’abbandono delle condotte di evitamento.
Nell’ultimo decennio sono stati sviluppati due protocolli in cui è stata dimostrata la maggior efficacia nel trattamento della fobia sociale mediante l’uso di ambienti virtuali. Con l’aiuto del terapeuta, il paziente impara ad adottare comportamenti e stili cognitivi con cui affrontare tali situazioni sociali, con l’obiettivo di ridurre la propria ansia nelle corrispondenti situazioni della vita reale (Harris, Kemmerling, North, 2002; Klinger, 2004).

Il trattamento dell’agorafobia prevede come intervento d’elezione un protocollo cognitivo-comportamentale (Andrews et al., 2003). Evidenze scientifiche (Botella, Villa et al., 2006; Vincelli, Riva & Molinari, 2007) dimostrano che un ambiente virtuale permette al soggetto agorafobico di esporsi gradualmente a situazioni fobiche con un’ottimizzazione del tempo e del costo dell’intervento.
Inoltre, un ulteriore vantaggio nell’utilizzo di ambienti virtuali è la maggior efficacia anche per quei soggetti con scarse capacità immaginative o che rifiutano l’esposizione in vivo.

La realtà virtuale è stata introdotta anche per il trattamento del disturbo post-traumatico da stress.
Il dott. Albert Rizzo, dell’Institute for Creative Technology della University of Southern California, ha lavorato sul disturbo post-traumatico da stress, comune nei soldati veterani, applicando la CBT e la VR, ricreando situazioni stressanti in modo graduale (Rizzo et al, 2005). La simulazione è basata sull’idea di restituire al paziente tutte le emozioni che hanno provocato il trauma, ma questa volta al sicuro nello studio del terapeuta. La differenza con le altre tecniche utilizzate fino ad ora è la possibilità di immergersi nell’esperienza passata e di poterlo fare gradualmente, escludendo qualsiasi cosa il paziente non voglia ancora affrontare.

La realtà virtuale è stata utilizzata anche per trattare quei soggetti affetti dal disturbo post-traumatico da stress in seguito ai fatti dell’11 settembre per aumentare il coinvolgimento emotivo e trattare il ricordo degli eventi drammatici associati ad un dolore emotivo non direttamente raggiungibile (Difede & Hoffman , 2002).
Riscontri clinici mostrano come gli ambienti ricreati virtualmente siano in grado di trattare i soggetti con un disturbo conclamato e anche operare efficacemente nella prevenzione del disturbo (Wiederhold & Wiederhold, 2006).

L’applicazione della realtà virtuale per il trattamento del disturbo ossessivo compulsivo nasce con i lavori di Clark et al. (1998) in cui si è proposta una esposizione vicaria agli stimoli ansiogeni (spesso legati alle contaminazioni) con prevenzione del rituale compulsivo. Un recente studio ha proposto di utilizzare ambienti virtuali selezionati come stimoli di riferimento per ottenere una valutazione e formulare una misura interattiva dei comportamenti di controllo compulsivi (Kim et al., 2010).

A partire dagli anni ’90, per quanto riguarda i disturbi del comportamento alimentare, in aggiunta al trattamento farmacologico e alle tecniche cognitive si affiancava l’utilizzo della VR (Riva, Bacchetta, Cesa et al. 2004). La realtà virtuale è considerata un possibile strumento per la modifica di un’immagine corporea negativa (Riva, 2011). Tramite gli ambienti virtuali è possibile, infatti, porre a confronto due immagini corporee: quella reale, ottenuta dalla misurazione oggettiva del corpo del paziente, e quella che il soggetto percepisce, derivante cioè da come il paziente si vede (Riva, Bacchetta, Baruffi, et al., 2000).

Sebbene l’utilizzo della VR con pazienti affetti da schizofrenia sia una pratica piuttosto recente, alcuni studi dimostrano che essa consente, in una situazione controllata, interessanti applicazioni sia per la valutazione che per il trattamento. Questo strumento permette, infatti, di riprodurre situazioni ambientali e sociali che stimolano il soggetto in modo simile al contesto reale; per di più, è possibile modulare l’intensità e la durata dell’esperienza virtuale in base alle esigenze del soggetto (La Barbera et al., 2010) e di riprodurre situazioni emotive e sociali, tipiche delle relazioni interpersonali (Kim et al., 2010).

Gli ambienti virtuali, così come nel trattamento delle fobie, consentono di esporre il paziente alle proprie paure persecutorie e di testare le proprie credenze su ciò che viene percepito come minaccioso.
Un altro utilizzo può essere quello di far apprendere al paziente le strategie di coping da adottare in situazioni sociali variegate, qualora si verifichino sintomi psicotici.
La VR è stata applicata anche nei giochi di ruolo, per stimolare le abilità interpersonali dei pazienti, migliorandone le capacità di conversazione e la fiducia in se stessi (Park et al., 2011). Tuttavia, il principale limite delle applicazioni virtuali con i pazienti affetti da patologie gravi sembra essere la stabilità dell’esame di realtà, che caratterizza la fase acuta della malattia.

Considerazioni e Conclusioni

La valutazione della realtà virtuale in ambito psichiatrico e nello specifico dei disturbi fobici sembra, dunque, essere positiva per svariati motivi. Il soggetto, pur nella consapevolezza della simulazione, è in grado di riprovare emozioni molto più vivide di quanto potrebbe avvenire con il ricorso al semplice ricordo o alla sola immaginazione (Galeazzi & Di Milo, 2011).

Pertanto, la VR è uno strumento utile per favorire un processo di cambiamento focalizzato sull’insight, sulla riorganizzazione degli schemi cognitivi, sull’analisi funzionale del comportamento, sulle relazioni interpersonali e sull’aumento della consapevolezza dell’esperienza.

A conclusione di quest’articolo, si può affermare che numerosi studi dimostrano l’utilità di tale tecnologia nel trattamento di diversi disturbi psichiatrici soprattutto se la si considera di supporto alla CBT. Ed ora che i costi sono molto più accessibili rispetto al passato si auspica il moltiplicarsi di studi e sperimentazioni così che la VR possa entrare in protocolli di trattamenti psicoterapici già validati.
Resta da definire il ruolo della VR per patologie psichiatriche più gravi, come la schizofrenia, dove gli studi clinici sono ancora insufficienti.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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Gli autori:

  • Caterina Fusco (Psichiatra psicoterapeuta cognitivo-comportamentale AslNa2nord)
  • Maddalena Pizziferro (Psicologa psicoterapeuta cognitivo-comportamentale)
  • Antonietta Moccia (Tecnico della riabilitazione psichiatrica)
  • Marianna Di Nunzio (Tecnico della riabilitazione psichiatrica)
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