Psicopatia e contagio della risata: uno studio pubblicato su Current Biology si è posto l’obiettivo di indagare come i ragazzi a rischio di sviluppare psicopatia elaborino le emozioni alla base dell’affiliazione sociale, come quelle associate alla risata.
La psicopatia e la mancanza di contagio della risata
Gli esseri umani sono animali sociali che tendono a creare legami affettivi duraturi (Boyd & Richerson, 2009). Tuttavia, esiste una minoranza di persone che presentano tratti di personalità psicopatici, ovvero comportamenti violenti e antisociali, che non consentono la formazione di rapporti basati sulla reciprocità e risonanza emotiva tra le persone. Riguardo ai processi neurali sottostanti all’affiliazione sociale atipica, si conosce ancora poco.
Uno dei fattori che promuove l’affiliazione e la coesione sociale è la risata umana, che attiva aree cerebrali coinvolte nella risonanza emotiva (McGettigan, Walsh, Jessop, Agnew, Sauter, Warren, & Scott, 2015; Scott, Lavan, Chen, & McGettigan, 2014; Szameitat, D.P., Kreifelts, B., Alter, K., Szameitat, Sterr, Grodd, & Wildgruber, 2010). Per la maggior parte delle persone, infatti, la risata è talmente contagiosa che è impossibile sentire o vedere qualcuno ridere senza avvertire la necessità di ridere a propria volta. Ciò, però, non risulta altrettanto vero per i bambini o ragazzi a rischio di sviluppare psicopatia. In risposta alla risata il loro cervello evidenzia una ridotta attivazione delle aree implicate nella condivisione e nella risonanza emotiva con l’altro.
Studi precedenti si sono focalizzati su come avvenisse l’elaborazione delle emozioni negative nei soggetti con tratti psicopatici e come questa potesse spiegare la loro aggressività, lasciando meno spazio all’analisi dell’incapacità di formare legami affettivi.
Alla luce di quanto riportato, uno studio pubblicato su Current Biology si è posto l’obiettivo di indagare come i ragazzi a rischio di sviluppare psicopatia elaborino le emozioni alla base dell’affiliazione sociale, come quelle associate alla risata.
I partecipanti alla ricerca sono 62 ragazzi tra gli 11 e i 16 anni con comportamenti dirompenti, con o senza tratti anaffettivi, e 30 soggetti di controllo. I gruppi sono bilanciati per abilità, etnia, dominanza manuale e contesto socioeconomico. Ogni partecipante viene monitorato attraverso risonanza magnetica funzionale (fMRI) mentre ascolta risate spontanee, risate artificiose o suoni che riproducono il pianto. Successivamente ciascuno deve indicare, attraverso un punteggio da 1 a 7, quanto ascoltare quei suoni generi in lui un’emozione e se questa sia genuina.
I risultati evidenziano che i soggetti con comportamenti dirompenti in combinazione con alti livelli di anaffettività non mostrano il contagio della risata, a differenza del gruppo di controllo e dei soggetti psicopatici ma con bassi livelli di anaffettività.
In particolare, l’attivazione cerebrale in risposta alla risata è ridotta nell’insula anteriore e nell’area motoria supplementare, a conferma del coinvolgimento delle zone implicate nella risonanza emotiva. E’ difficile comprendere se la riduzione dell’attivazione cerebrale in queste aree sia causa o conseguenza dei comportamenti dirompenti; dunque, studi futuri dovrebbero concentrarsi su come i segnali sociali di affiliazione siano elaborati da coloro che sono a rischio di sviluppare psicopatia o affetti da disturbo di personalità antisociale. Si potrebbe iniziare dall’indagine di fenomeni con funzione analoga alla risata, come volti sorridenti o parole d’incoraggiamento, valutando anche a che età iniziano a manifestarsi differenze tra gruppo sperimentale e di controllo. Il fatto che i ragazzi a rischio di psicopatia non provino emozioni in risposta a segnali sociali riguardanti il benessere o il dolore altrui, non significa che essi siano destinati a diventare antisociali o pericolosi, ma possono spiegare perché compiono scelte diverse dai loro pari.
Una comprensione esaustiva sul comportamento prosociale di ragazzi a rischio di sviluppare psicopatia è fondamentale, non solo per migliorare gli attuali trattamenti dei pazienti ma anche per fornire supporto alle loro famiglie.