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Trattato dei disturbi di personalità (2017) di J. M. Oldham, A. E. Skodol, D. S. Bender – Recensione

Il libro 'Trattato dei disturbi di personalità', offre un’ampia panoramica su tali disturbi utile sia per chi è alle prime armi, sia a terapeuti più esperti

Di Antonio Scarinci

Pubblicato il 15 Set. 2017

Il Trattato dei disturbi di personalità, di John M. Oldham, Andrew E. Skodol, Donna S. Bender è un corposo volume, scritto da più autori di diverse formazioni cliniche e culturali, che prende in considerazione gli aspetti, diagnostici, psicopatologici, eziologici, neurobiologici e di trattamento di questi disturbi che hanno una prevalenza in forte crescita.

 

I disturbi di personalità (PD) hanno un ruolo particolarmente stimolante in psichiatria: l’approccio diagnostico categoriale non consente una comprensione adeguata, tant’è che il DSM5 ha introdotto una sezione specifica in cui nella classificazione si introduce un approccio dimensionale; la definizione dei sintomi e dei segni siano essi considerati in termini polittici, monotetici o persino prototipici definiscono quadri psicopatologici molto diversi anche per lo stesso disturbo e la frequente co-occorrenza rappresenta un ulteriore elemento di complessità; viepiù, definire indicatori di processo e di esito per valutare l’efficacia dei trattamenti è una sfida ancora aperta sulla quale ormai da qualche tempo molti ricercatori si sono ingaggiati.

Trattato dei disturbi di personalità – Concetti clinici ed eziologia

Il Trattato dei disturbi di personalità, di John M. Oldham, Andrew E. Skodol, Donna S. Bender è un corposo volume, scritto da più autori di diverse formazioni cliniche e culturali, che prende in considerazione gli aspetti, diagnostici, psicopatologici, eziologici, neurobiologici e di trattamento di questi disturbi che hanno una prevalenza in forte crescita.

L’edizione italiana è stata curata da Franco Del Corno e Vittorio Lingiardi e la prefazione è di Steven E. Hyman.

La prima parte del volume “Concetti clinici ed eziologia” si apre con un capitolo dedicato all’evoluzione della classificazione diagnostica dal DSM I del 1952 fino al DSM5 del 2013. La storia della classificazione della patologia di personalità apre uno sguardo sui progressi nella comprensione dei disturbi di personalità.

Gli autori del Trattato dei disturbi di personalità avvertono che a mano a mano che impareremo di più a proposito delle eziologie e delle patologie di questi disturbi, non sarà più necessario, o persino desiderabile, limitare i nostri schemi diagnostici a fenomeni descrittivi e ateoretici, e potremo mirare a una comprensione arricchita della patologia della personalità, a migliori trattamenti e a linee guida per la prevenzione.

Nel secondo capitolo del Trattato dei disturbi di personalità sono descritti i modelli e le teorie della personalità: le teorie psicodinamiche con particolare riferimento ai contributi di Kernberg, le teorie cognitive di Beck e Young, il modello Five-Factor, sono prese in considerazione le prospettive biologiche e i sistemi neurali con riferimento a Cloninger e al suo modello a due domini (temperamento e carattere) e vengono descritte ricerche che misurano la trasmissione genetica dei tratti e dei comportamenti di personalità. Infine vengono descritti i modelli integrativi, il modello socio-evolutivo di Millon, la teoria interpersonale di Lorna Benjamin, chiamata Structural Analysis of Social Behavior, il modello dei domini funzionali di Westen.

Molto spazio nel Trattato dei disturbi di personalità è riservato al modello dimensionale della sezione III del DSM 5, non solo con il capitolo di chiusura e con l’appendice che riporta integralmente la sezione, ma già dal terzo capitolo, in cui si fornisce una panoramica della nozione di “compromissione fondamentale” nei disturbi di personalità e si descrive la storia di questo concetto e della sua affermazione proprio nel modello della Sezione III del DSM-5. Un’ampia parte del capitolo è dedicata alle ricerche che possono essere d’aiuto per esprimere con più precisione le caratteristiche di questo concetto e dimostrarne la potenziale validità e utilità, insieme ad alcuni esempi clinici in cui le modalità disfunzionali riguardano le categorie di identità, autodirezionalità, empatia e intimità.

Il quarto capitolo tratta il ruolo dell’attaccamento. Il progredire della comprensione sulla connessione tra sviluppo cerebrale e prime esperienze psicosociali ha reso evidente che il ruolo evolutivo della relazione d’attaccamento va ben oltre il garantire una protezione fisica al bambino e modella lo sviluppo della personalità.

La teoria dell’attaccamento viene sempre più considerata come un significativo supporto teorico alla comprensione e alla cura dei disturbi di personalità.

Negli ultimi 30 anni si è assistito a un rapido aumento della conoscenza riguardo alla neurobiologia dei substrati cerebrali. Vulnerabilità biologiche modellate da disposizioni genetiche, unitamente ai traumi o ai vincoli provenienti dall’ambiente sono considerate nel quinto capitolo e discusse in relazione ai disturbi borderline, schizotipico, antisociale ed evitante. In particolare un aspetto che va rilevato è che il disturbo di personalità borderline è il disturbo che è stato più volte preso a riferimento nei vari capitoli. Ciò è spiegabile dal fatto che il borderline, tra i disturbi di personalità è quello più studiato.

Le principali dimensioni che sono prese in considerazione sono la regolazione emotiva e affettiva, la modulazione degli impulsi/dell’azione, la cognitività interpersonale/sociale e l’ansia connessa alle difese che ne contrastano le manifestazioni.

Nel sesto capitolo sono considerati una serie di studi che prendono in esame la prevalenza e i fattori socio-economici, socio-demografici e la compromissione del funzionamento.

Il capitolo successivo passa in rassegna i due modelli della patologia della personalità proposti dal DSM-5 – l’approccio categoriale della Sezione II derivato dal DSM-IV e il nuovo modello ibrido dimensionale-categoriale della Sezione III e prende in considerazione i temi relativi alla valutazione, alla diagnosi e alla diagnosi differenziale.

Benché l’interazione clinico-paziente possa essere un’occasione di osservazione utile e obiettiva, gli autori raccomandano di essere cauti nell’interpretarne la significatività, e invitano a cercare di integrare questa informazione in un quadro complessivo più ampio del bpersonalità del paziente.

Diversi strumenti sono proposti per il processo di valutazione inventari self-report, interviste semi-strutturate, il colloquio clinico su un inventario di caratteristiche psicopatologiche, l’utilizzo di informant.

Il Decorso e l’esito sono trattati nell’ottavo capitolo del Trattato dei disturbi di personalità dove si sottolinea che i PD dimostrano solo una moderata stabilità e, nonostante siano associati genericamente a esiti negativi, possono migliorare nel tempo e beneficiare di specifici trattamenti, anche se non sono molti gli studi longitudinali prospettici con valutazioni ripetute nel tempo che possono far comprendere in modo più specifico il decorso: Children in the Community Study (CICS) Brook et al., 2002; McLean Study of Adult Development (MSAD) Zanarini et al., 2003; Collaborative Longitudinal Personality Disorders Study (CLPS) Gunderson et al., 2000.

Trattato dei disturbi di personalità – Il trattamento

La seconda parte del volume riguarda il trattamento e si apre con un capitolo di Donna S. Bender sull’alleanza terapeutica, fattore che si è distinto nella letteratura empirica come il più solido predittore dell’outcome delle psicoterapie. Indipendentemente dal modello di trattamento adottato con i pazienti con disturbi di personalità, è evidente che prestare attenzione all’alleanza è della massima importanza. La relazione con questi pazienti va attentamente monitorata e le dinamiche accuratamente gestite perché il paziente possa sperimentare un’esperienza emozionale correttiva.

Nel capitolo 10 del Trattato dei disturbi di personalità sono riassunti i principali concetti psicoanalitici e psicodinamici e descritti i differenti modelli di psicoterapia psicodinamica applicati al trattamento dei disturbi di personalità.

Al di là delle differenze, all’interno della cornice psicoanalitica i principi di intervento sono: 1) l’interpretazione; 2) l’analisi del transfert; 3) un atteggiamento tecnicamente neutrale; e 4) l’utilizzo delle proprie risposte controtransferali.

Il capitolo 11, curato da Martin Bohus, è invece dedicato alla psicoterapia cognitivo-comportamentale. Offre una guida al trattamento dei pazienti ed è basato principalmente su concetti evidence-based derivanti dagli approcci della terapia dialettico-comportamentale e dell’Acceptance and Commitment Therapy.

J. Christopher Fowler, John M. Hart hanno curato il capitolo seguente del Trattato dei disturbi di personalità che illustra le terapie cognitivo-comportamentali manualizzate, incluso l’approccio basato sull’accettazione (Gratz, Gunderson, 2006), che si sono dimostrate efficaci nel ridurre la sintomatologia associata ai disturbi di personalità, con particolare riferimento al disturbo borderline.

In successione i capitoli seguenti prendono in considerazione le psicoterapie di gruppo, familiari e di coppia con esemplificazioni di orientamenti teorici e tecnici diversi e con l’illustrazione di aspetti che facilitano o viceversa ostacolano il trattamento; l’approccio psicoeducativo rivolto al paziente e ai suoi familiari con riferimento alle applicazioni più note (i gruppi multifamiliari secondo l’approccio di Gunderson, le applicazioni della DBT, dello STEPPS e del Family Connections); i trattamenti somatici con riferimenti agli studi metanalitici sui trattamenti farmacologici; il trattamento collaborativo che prevede l’intervento di più di un professionista in un approccio alla cura integrato caratterizzato da confronto, collaborazione affinché l’intervento sia coerente e unitario ed eviti di produrre “scissioni”; ed infine i problemi legati ai confini del setting con illustrazioni esemplificative di superamento o violazione in relazione alle diverse patologie.

Trattato dei disturbi di personalità: problemi, popolazioni e setting particolari

La parte terza del volume si occupa di problemi, popolazioni e setting particolari e si apre con il capitolo 18 sulla valutazione e gestione del rischio suicidario. Sono illustrati protocolli di terapia e gestione che possono ridurre il rischio di suicidio nei pazienti con disturbi di personalità che spesso fanno ricorso a comportamenti anticonservativi. Gli autori evidenziano che i risultati degli studi sui fattori di rischio suggeriscono che eventi di vita stressanti e alcune comorbilità psichiatriche possono essere fattori di rischio modificabili per ridurre un’esacerbazione acute-on-chronic del rischio suicidario.

Il diciannovesimo capitolo riporta molti studi che hanno indagato la comorbilità tra disturbi di personalità e uso di sostanze. La letteratura sulla doppia diagnosi è nutrita e prende in considerazione sia le principali questioni diagnostiche, sia i modelli eziopatogenetici e di trattamento, sia la ricerca genetica più recente su questi disturbi.

Questa parte del Trattato dei disturbi di personalità si chiude con due capitoli, il primo sul disturbo antisociale su cui quasi assenti sono i modelli di trattamento risultati efficaci a verifiche empiriche e il secondo sui disturbi di personalità trattati in un contesto medico con la descrizione di proposte tecniche di gestione di questi pazienti in contesti terapeutici sia in fase di acuzie, sia per trattamenti di lungo corso.

Il Trattato dei disturbi di personalità si chiude con alcune riflessioni sulle direzioni future. Il capitolo 22 si concentra su due aspetti del disturbo borderline di personalità (Borderline Personality Disorder, BPD): i problemi relativi all’interazione sociale e alcune forme di alterazione percettiva (percezione del dolore e dissociazione), con l’intento di mostrare in quale modo le attuali metodologie delle neuroscienze comportamentali e degli approcci traslazionali possano essere d’aiuto per capire i meccanismi sottesi a questa psicopatologia e, in ultima istanza, per contribuire a migliorare i trattamenti destinati ai pazienti con BPD.

L’ultimo capitolo è incentrato come già accennato sulla sezione III del DSM-5.

Il libro di Oldham, Skodol e Bender, Trattato dei disturbi di personalità, offre un’ampia panoramica sui disturbi di personalità utile sia per chi alle prime armi ha bisogno di approfondire temi specifici, sia a terapeuti più esperti che trattano da anni questo tipo di disturbi.

Il testo riporta ampi riferimenti alla letteratura relativa ad aspetti clinici e neurobiologici, forse l’eterogeneità degli autori non ha permesso un’articolazione più dettagliata di alcune parti, soprattutto di quelle che riguardano il trattamento. Va detto che nell’economia del lavoro, composto di oltre settecento pagine, forse sarebbe stato eccessivo dilungarsi su alcuni temi, anche perché proporre facili soluzioni ai clinici che trattano questa popolazione impegnativa sarebbe fuorviante, troppe sono le questioni contrastanti opportunamente trattate in modo esplicito e chiaro dal testo.

Un libro che contribuisce a migliorare la comprensione di questi disturbi, e dei rilevanti progressi scientifici compiuti negli ultimi anni, la cui lettura va consigliata ai professionisti della salute mentale.

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Antonio Scarinci
Antonio Scarinci

Psicologo Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • John M. Oldham, Andrew E. Skodol, Donna S. Bender (2017) Trattato dei disturbi di personalità. Raffaello Cortina Editore.
 
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