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Metacognizione e cambiamento terapeutico nel disturbo borderline di personalità

Uno studio pilota indaga quanto il lavoro sulla metacognizione possa predire il cambiamento terapeutico in pazienti con Disturbo di Personalità Borderline

Di Giancarlo Dimaggio

Pubblicato il 12 Lug. 2017

Dopo vari studi di processo che hanno mostrato come la metacognizione possa aumentare in una terapia di successo, era necessario testare l’ipotesi se la metacognizione predicesse il cambiamento. Abbiamo così condotto uno studio pilota su 10 pazienti Borderline.

 

A partire dalle riflessioni di Semerari e colleghi (1999) la metacognizione, ovvero la capacità di riconoscere i propri stati mentali, quelli degli altri, rifletterci su e regolarli, è stato considerata un possibile predittore di cambiamento.

Da un lato pazienti con migliore metacognizione avrebbero dovuto rispondere meglio alla psicoterapia, dall’altro sarebbe stato necessario aggiustare l’azione terapeutica al livello metacognitivo laddove esso fosse stato carente.

La metacognizione in pazienti Borderline

Dopo vari studi di processo, sia pure in assenza di misure formalizzate di outcome (Carcione et al., 2011; Dimaggio et al., 2009; Semerari et al., 2003; 2005) che hanno mostrato come la metacognizione possa aumentare in una terapia di successo, era necessario testare l’ipotesi se la metacognizione predicesse il cambiamento. Con i colleghi di Losanna, abbiamo condotto uno studio pilota su 10 pazienti Borderline sottoposti ad un trial clinico randomizzato di Good Psychiatric Management (Gunderson & Links). Abbiamo utilizzato la SVAM-R (Carcione et al., 2010) per valutare la metacognizione nella prima e nella penultima delle dieci sedute di cui era composto il trattamento.

Il primo dato è che i pazienti avevano livelli estremamente bassi di metacognizione, quasi a livelli psicotici. Si trattava di pazienti estremamente compromessi, molti dei quali senza lavoro, con situazioni familiare compromesse e spesso in comorbilità con abuso di sostanze. Il secondo dato importante è che il miglioramento nella metacognizione è stato minimo, solo riguardante le abilità di Mastery (capacità di regolazione basata sulla conoscenza mentalistica) di tipo più semplice.

Questo fa pensare che il cambiamento terapeutico non avvenga in tutti i trattamenti nello stesso modo e che trattamenti che non mirano a migliorare le capacità metacognitive oppure promuovono il cambiamento per altre vie, cosa che però naturalmente non si può concludere da questo studio, sono meno efficaci. Riguardo alla capacità di predire il trattamento, solo la capacità di capire la mente degli altri è stata trovata collegata al miglioramento terapeutico. Chi aveva migliore lettura della mente andava incontro a un livello di cambiamento leggermente superiore.

Va detto che sia per quanto riguarda il cambiamento metacognitivo minimo osservato, sia per quanto riguarda la capacità della sola lettura della mente degli altri di predire il cambiamento, che si tratta di un protocollo di sole 10 sedute. Rimane possibile, e ritengo probabile, che in trattamenti di più lunga durata si osservi a maggiore cambiamento nella metacognizione e che l’impatto iniziale delle carenze metacognitive abbia più effetto. È ancora più probabile, e in linea con gli studi che hanno utilizzato misure del concetto simile a quello di metacognizione, ovvero la funzione riflessiva, che terapie volte a migliorare la comprensione e regolazione degli stati mentali, siano più efficaci in questo dominio.

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Giancarlo Dimaggio
Giancarlo Dimaggio

Psichiatra e Psicoterapeuta - Socio Fondatore del Centro di Terapia Metacognitiva-Interpersonale

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