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La contaminazione disgustosa rende più rispettosi della deontologia

Uno studio indaga se, alla luce del legame tra morale deontologica e disgusto, la sensazione di essere contaminati implica preferenze per le scelte omissive

Di Guest, Francesco Mancini, Barbara Basile

Pubblicato il 03 Lug. 2017

Aggiornato il 12 Lug. 2022 10:44

La contaminazione disgustosa rende più rispettosi della deontologia

di Barbara Basile (Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva S.r.l., Rome, Italy), Grazia Gualtieri (Guglielmo Marconi University, Rome, Italy) e Francesco Mancini (Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva S.r.l., Rome, Italy; Guglielmo Marconi University, Rome, Italy)

 

“La coscienza si sporca” e “ i peccati si lavano”, l’intuizione del senso comune suggerisce una stretta relazione fra colpa e disgusto. In tutte le religioni purezza del corpo e purezza dell’anima sono sovrapposte. Da alcuni anni la ricerca scientifica si è occupata di studiare le relazioni fra questi due domini psicologici, quello del disgusto e quello della morale. Sappiamo che l’induzione della sensazione di essere contaminato da sostanze disgustose (self disgust) implica la tendenza a dare giudizi morali più severi su se stessi e meno severi sugli altri, mentre si ha un effetto opposto se si prova disgusto per qualcuno (Tobia, 2014) e si ha un effetto speculare, se si induce la sensazione di pulizia.

Il disgusto morale

È ben noto che azioni immorali, al pari di sostanze materiali come gli escrementi, possono indurre il cosiddetto disgusto morale. Ad esempio, suscita disgusto indossare la camicia di un pedofilo (Haidt & Graham, 2007). Si conosce il cosiddetto effetto Macbeth: “la minaccia alla propria purezza morale induce il bisogno di lavarsi. Il lavaggio fisico allevia le conseguenze negative dei comportamenti immorali e riduce la minaccia alla propria auto-immagine morale” (Zhong & Liljenquist, 2006). In breve, il senso di colpa aumenta la sensibilità al disgusto e la pulizia fisica implica la purificazione della coscienza.

In realtà, non tutte le ricerche hanno confermato l’esistenza del disgusto morale che per alcuni avrebbe soltanto un valore metaforico, senza le caratteristiche fisiologiche del disgusto, e nemmeno tutte le ricerche hanno confermato l’esistenza dell’effetto Macbeth. Tuttavia la questione appare diversa se si mette in disparte la morale altruistica/umanitaria/consequenzialista, e si considera solo la morale deontologica, cioè quella morale che tiene conto del rispetto delle norme morali a prescindere dalla bontà delle conseguenze per gli esseri umani. Infatti, senso di colpa deontologico e disgusto condividono almeno parte del substrato neurale, le insulae (Basile et al., 2011), l’induzione di senso di colpa deontologico, ma non di quello altruistico/umanitario, implica un netto effetto Macbeth (D’Olimpio e Mancini, 2014), il disgusto morale ha le stesse caratteristiche fisiologiche del disgusto fisico, ma solo nelle persone maggiormente sensibili alla morale deontologica (Ottaviani et al., 2013). Sentirsi contaminati da sostanze disgustose implica un abbassamento del sé nella Social Cognitive Chain of Being (SCCB), similmente, l’induzione di senso di colpa deontologico, ma non di quello altruistico/umanitario. La SCCB rappresenta la tendenza degli esseri umani a organizzare il proprio mondo morale lungo una dimensione verticale, che vede in alto chi merita obbedienza e rispetto, e in basso chi deve obbedienza e rispetto e più in basso ancora chi merita disprezzo (Brandt & Reyna 2011).

Il principio Not play God

Chi appartiene ai ranghi alti dovrebbe essere meno vincolato dal rispetto del principio deontologico basico, Not play God, il contrario dovrebbe accadere a chi appartiene ai ranghi bassi. Il principio Not play God limita il diritto di decidere, ne consegue che nessun essere umano possa decidere liberamente su tutto. Alcune decisioni non rientrano fra i suoi diritti. Questo principio generale poi si declina in una serie di norme che definiscono i diversi sistemi morali. Ad esempio, per alcuni sistemi morali, ma non per tutti, l’individuo non ha il diritto di decidere se vivere o morire, perché questo diritto spetta a Dio o al destino o alla natura, e a lui non è permesso interferire anche se ne ha il potere.

Tuttavia i limiti imposti dal Not play God anche all’interno dello stesso sistema morale, non sono uguali per tutti ma sono più ampi per chi occupa autorevolmente una posizione di responsabilità e si restringono invece per chi è più in basso nella SCCB. Infatti, in una ricerca recente (Pulsinelli, 2017) si è visto che si riconosce un maggior diritto di interferire con il corso degli eventi, e dunque di essere meno vincolato dal Not play God, a chi occupa meritatamente una posizione elevata e in un’altra ricerca, che ha utilizzato il paradigma dell’Ultimatum Game (Mancini e Mancini, 2015), si è visto che l’induzione di senso di colpa deontologico, ma non di quello altruistico/umanitario, implica che ci si riconosca un minor diritto di intervenire, anche quando si tratta di difendere ciò che si reputa giusto. Il paradigma del trolley (Foot, 1967), nella versione switch, ha consentito di raccogliere altri dati sulla relazione tra senso di colpa deontologico e rispetto del Not play God.

In questo specifico paradigma si pone ai partecipanti il seguente dilemma tipo: “Un vagone senza controllo sta procedendo a grande velocità su un binario dove sono bloccati cinque operai che saranno certamente travolti e uccisi, a meno che tu non muovi uno scambio dirottando il vagone su un altro binario dove però un operaio sarà certamente travolto e ucciso. Che cosa devi fare?

La scelta consequenzialista di muovere lo scambio implica salvare cinque persone e farne morire una ma implica anche che si interferisca con un destino già segnato e ci si prenda la responsabilità di decidere chi vive e chi muore, cioè di trasgredire il principio Not play God. La decisione omissiva di non muovere lo scambio ha implicazioni opposte. In effetti, chi decide di muovere lo scambio riporta di aver tenuto presente un principio altruistico/umanitario/consequenzialista, salvare il maggior numero possibile di persone. Chi decide di non muovere lo scambio riporta di aver tenuto presente il principio deontologico basico, Not play God, “non ho il diritto di decidere chi vive e chi muore” (Gangemi e Mancini, 2013). L’induzione di senso di colpa deontologico implica la prevalenza di scelte omissive mentre l’induzione di senso di colpa altruistico/umanitario la prevalenza di scelte consequenzialista (Mancini e Gangemi, 2015).

In breve, il senso di colpa deontologico, ma non quello altruistico, abbassa il sé nella SCCB e di conseguenza rende più sensibili al Not play God e ciò si traduce nella preferenza per scelte omissive.

Il self disgust e le scelte omissive

Se la morale deontologica e il disgusto sono davvero strettamente connessi, allora l’induzione della sensazione di essere contaminati, cioè del self disgust, dovrebbe implicare una preferenza per le scelte omissive simile a quella che si osserva dopo l’induzione di senso di colpa deontologico. Per controllare questa ipotesi abbiamo condotto una ricerca ad hoc. L’ipotesi prevedeva che l’induzione della sensazione di essere disgustosamente contaminati avrebbe implicato una preferenza per le scelte omissive nei dilemmi morali, maggiore di quella che sarebbe conseguita alla induzione di un’emozione opposta di fierezza.

Sono stati reclutati 58 volontari tratti dalla popolazione generale (42 donne, età media 53.5 anni) suddivisi casualmente in due gruppi. Tramite la somministrazione di appositi scenari è stata indotta un’emozione di disgusto fisico, nel gruppo 1, e di fierezza/orgoglio nel secondo gruppo. In seguito, per controllare l’efficacia dell’induzione, è stato chiesto di indicare il tipo e l’intensità di emozione evocata dallo scenario. Quindi, tutti i partecipanti sono stati confrontati con diversi dilemmi, di tipo morale con la stessa struttura del dilemma del trolley nella versione switch (Foot, 1966) e di tipo non-morale che avevano la stessa struttura ma riguardavano domini moralmente neutri (per esempio, una scelta rispetto al vantaggio o meno di acquistare un oggetto). Per ciascun dilemma i partecipanti hanno indicato il tipo di scelta, omissiva o meno, che li avrebbe resi più “a posto con la coscienza”.

I risultati hanno indicato che effettivamente le due induzioni hanno evocato in modo univoco le emozioni prestabilite, con (come atteso) una maggiore intensità dell’emozione di disgusto, rispetto all’induzione di fierezza. Il dato più interessante ha dimostrato che i partecipanti in cui era stata indotta l’emozione di disgusto riportavano un numero significativamente maggiore di scelte omissive nei dilemmi morali, mentre l’effetto inverso si è osservato, a vantaggio delle scelte non-omissive, nei soggetti che provavano orgoglio e fierezza. Non si sono osservate differenze nei dilemmi non morali. In conclusione, nuovamente è confermata la stretta connessione che esiste fra disgusto e morale, ma specificatamente quella deontologica.

 

La ricerca presentata in questo articolo è la tesi di Laurea in Scienze e Tecniche Psicologiche L-24, di Grazia Gualtieri, relatore Francesco Mancini, presso la Università Marconi di Roma. Barbara Basile ha realizzato i necessari calcoli statistici.

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Francesco Mancini
Francesco Mancini

Medico chirurgo, Specialista in Neuropsichiatria Infantile e Psicoterapeuta Cognitivista

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