Il ruolo dei caregivers/genitori assume particolare importanza nello sviluppo delle competenze interpersonali, poiché essi sono le prime figure di identificazione e i primi modelli di risposta empatica. Vi sono inevitabilmente differenze individuali nello sviluppo del perspective taking che dipendono dalle esperienze vissute e, in particolar modo, dalla relazione tra i genitori/caregivers e il bambino.
Chiara Rabacchi, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MODENA
Il perspective taking: definizione
Per perspective taking si intende l’abilità di comprendere pensieri, credenze, sentimenti e prospettive proprie e altrui (Waldinger, Toth e Gerber, 2001). Tale capacità implica l’essere in grado di distinguere cosa gli individui sanno circa loro stessi in una data situazione (come pensano, sentono e si comportano) e cosa sanno degli altri in quella stessa situazione (Ziv & Frye, 2003).
Adottare il punto di vista di un’altra persona richiede: la capacità di rappresentare se stesso come distinto dagli altri, lo sviluppo di una Teoria della Mente per rendersi conto che gli altri possiedono credenze e pensieri e il riconoscimento esplicito che gli stati mentali e le percezioni altrui potrebbero essere diversi dal proprio. Lo sviluppo di tali abilità di perspective taking appare critico per l’affioramento di competenze sociali positive quali l’empatia, la cooperazione e gli atti di altruismo (Epley & Caruso, 2008).
Verso la fine del primo anno di vita, il bambino inizia a capire che gli altri sono diversi da lui e a vedere i comportamenti altrui come intenzionali. Nel periodo prescolare comincia a comprendere che ogni persona ha le proprie emozioni, i propri desideri e le proprie credenze che influenzano il modo di ragionare e, di conseguenza, i comportamenti; ma il livello più elevato di abilità di perspective taking e le strategie di negoziazione interpersonale più sofisticate continuano a migliorare e a perfezionarsi durante l’adolescenza e nella prima età adulta (Selman, Beardslee, Schultz, Krupa, e Podorefsky, 1986; Albanese & Molina, 2008).
Il progredire verso sempre più sofisticate capacità di perspective taking favorisce, nei bambini, la capacità di riflettere su se stessi e sugli altri portandoli verso una maggiore empatia e contribuendo allo sviluppo di avanzate abilità comunicative e di problem-solving (Selman & Schultz, 1990; Mendelsohn & Straker, 1999).
Nel modello di Selman (1980) la competenza interpersonale è basata sulla capacità di distinguere e integrare il punto di vista proprio e quello altrui. Quando i bambini sviluppano alti livelli di perspective taking sono in grado di adottare strategie di negoziazione interpersonale per risolvere conflitti interpersonali.
Le componenti del perspective taking
Il perspective taking è un costrutto multidimensionale, in quanto comprende diverse componenti: emotiva, cognitiva e percettiva.
Il perspective taking emotivo consiste nel fare inferenze riguardo lo stato affettivo altrui mettendosi nei panni dell’altro e basando le proprie risposte su tali inferenze. Viene inteso come l’abilità di comprendere le emozioni dell’altro e fa riferimento all’essere competenti emotivamente (Denham, 2001; Albanese & Molina, 2008).
Il perspective taking cognitivo è definito come l’abilità di comprendere i pensieri e le credenze altrui (Hinnant & O’Brien, 2007). Questo tipo di perspective taking implica il mettersi nei panni dell’altro cercando di comprendere ciò che l’altra persona percepisce e conosce riguardo un determinato stimolo, incorporando il punto di vista dell’altro nella propria esperienza.
Mentre per perspective taking percettivo si intende la capacità di comprendere che le altre persone, occupando uno spazio diverso dal proprio, vedono le cose da un’altra prospettiva e hanno quindi punti di vista differenti (Flavell, 2004).
Importanza del perspective taking nelle situazioni sociali
Il perspective taking è fondamentale per lo sviluppo della capacità degli individui di interagire in modo significativo con altre persone, e per un funzionamento sociale adeguato.
Il prevedere come comportarsi nelle situazioni sociali è favorito da tale abilità che permette di considerare le azioni degli altri dal loro punto di vista (Tversky & Hard, 2009).
Facendo riferimento alla relazione tra il linguaggio, il perspective taking e la Teoria della Mente, alcuni autori hanno messo in evidenza il fatto che il linguaggio facilita lo sviluppo della capacità di simulare il punto di vista altrui, poiché la conversazione implica un costante scambio di differenti punti di vista e favorisce nell’individuo l’immaginazione dell’assunzione del punto di vista altrui (Harris, 1996; Farrant, Fletcher e Maybery , 2006). Una conversazione ben coordinata richiede infatti di fare predizioni riguardo a cosa l’altro potrà capire, e quando le predizioni sono errate subentrano le riparazioni e i chiarimenti. Inoltre, al fine di interagire in modo efficace con gli altri è necessario essere in grado di riconoscere, comprendere e rispondere in modo coerente alle emozioni altrui, e di regolare l’espressione delle proprie emozioni (Saarni, 2008).
Il ruolo dei caregivers
Il ruolo dei caregivers/genitori assume particolare importanza nello sviluppo delle competenze interpersonali, poiché essi sono le prime figure di identificazione e i primi modelli di risposta empatica. Vi sono inevitabilmente differenze individuali nello sviluppo del perspective taking che dipendono dalle esperienze vissute e, in particolar modo, dalla relazione tra i genitori/caregivers e il bambino.
I caregivers che riconoscono e considerano i sentimenti più intimi, le intenzioni e i pensieri in relazione al comportamento e che si basano su stili disciplinari basati sulla comunicazione e negoziazione piuttosto che punitivi, forniscono ai figli modelli sociali di perspective taking e favoriscono la loro capacità di comprensione interpersonale, mentre i genitori maltrattanti rappresentano una minaccia allo sviluppo di abilità di perspective taking e i loro figli tendono ad essere più a rischio di essere rifiutati dai pari (Bolger & Patterson, 2001). Il contesto familiare di molti bambini che vivono in condizioni di maltrattamento (ad esempio, condizioni di trascuratezza, di maltrattamento fisico) è caratterizzato principalmente dalla mancanza di elementi di supporto, affetto, modelli empatici e modalità adeguate di gestione delle interazioni che sono considerate variabili importanti nello sviluppo di un coerente senso di sé e della capacità di comprendere i sentimenti e le prospettive degli altri (Burack, Flanagan, Peled, Sutton, Zygmuntowicz e Manly, 2006).
Infatti, quei genitori che crescono i loro figli in un contesto non responsivo e violento non riescono a promuovere scambi comunicativi. In questi bambini risulta limitata l’opportunità di formare un attaccamento affettivo con altre figure di riferimento e con i pari, poiché i genitori maltrattanti tendono a isolare le loro famiglie dal resto della società, privando così i figli della possibilità di creare relazioni (Bolger & Patterson, 2001). Date le caratteristiche di tali contesti, i bambini che vi vivono tendono a formare relazioni insicure e conflittuali con i genitori e rischiano di sviluppare in ritardo, rispetto ai coetanei “normotipici”, un appropriato senso di differenziazione tra sé e l’altro (Cicchetti & Carlson, 1989; Waldinger, Toth e Gerber, 2001).
Alcuni studi hanno sottolineato l’importanza dell’uso frequente di termini riferiti a stati mentali che aiuterebbe i bambini a focalizzare l’attenzione su credenze, intenzioni ed emozioni degli altri (Ruffman, Slade e Crowe, 2002). Ovverosia, l’esposizione a termini quali “pensare”, “sentire”, “credere” contribuirebbe a favorire la comprensione del loro significato e di conseguenza l’accesso a concetti astratti e non osservabili riguardanti l’attività mentale delle persone.
L’uso frequente da parte del caregiver di verbi mentali nei dialoghi (ad esempio “Io credo che Anna sia andata alla festa”) porta il bambino a individuare due elementi differenti: uno legato allo stato mentale della persona e l’altro legato alla realtà che si riferisce a tale stato mentale. Perciò, l’esposizione a queste strutture grammaticali permetterebbe al bambino di capire che le persone possono avere concezioni diverse sulla realtà e che alcune di queste possono essere false.
Inoltre, Harris (2005) analizzando aspetti della conversazione adulto-bambino riguardanti l’ambito pragmatico, ha sottolineato come l’atto stesso di conversare sia di fondamentale importanza in quanto consente di comprendere che le altre persone possono avere desideri, credenze e intenzioni talvolta diverse dalle nostre.
Lo studio di Dyer, Shatz e Wellman (2000) ha messo in luce l’importanza dei libri per l’infanzia che rappresentano per i bambini un contesto ricco e significativo per lo sviluppo della comprensione della mente, in quanto contengono termini che fanno riferimento a uno stato mentale: emotivo (triste, felice, preoccupato, dispiaciuto); cognitivo (pensare, conoscere, ricordare); desiderio e volizione (volere, desiderare); obbligo o giudizio morale (dovere, sarebbe meglio).
È proprio la presentazione dei diversi punti di vista ad essere rilevante per la comprensione degli stati mentali e delle emozioni da parte dei bambini.
Conclusioni
Possedere abilità di perspective taking è fondamentale al fine di raggiungere un funzionamento sociale adeguato. Le esperienze vissute da ognuno nel proprio contesto familiare incidono sullo sviluppo di tali abilità. Risulta pertanto importante per i caregivers tenere quanto descritto in considerazione al fine di favorire e promuovere lo sviluppo di tali abilità cognitive, emotive e percettive nei bambini. Nonostante le difficoltà che possono presentare i bambini cresciuti in contesti caratterizzati da disagio psico-sociale, è comunque importante sottolineare che un training appropriato e valutato in base alla specifica situazione consente il verificarsi di miglioramenti e permette di sviluppare quelle capacità che risultano carenti in questi bambini (Mori & Cigala, 2016).
Schofield e Beek (2005) sottolineano che la promozione delle abilità nei bambini di riflettere su se stessi e sugli altri è una dimensione chiave della genitorialità e prevede buoni progressi nel comportamento e nelle relazioni.