A partire da una serie di scenari comunemente osservati in ambito clinico, è stato dimostrato come attori transgender possano aiutare l’entourage medico a relazionarsi con cure e assistenza più sensibili verso coloro che sentono di appartenere ad un’identità di genere diversa da quella loro assegnata alla nascita. Questa è la principale scoperta di uno studio pubblicato online il 15 giugno nel Journal of Graduate Medical Education.
Le difficoltà del personale medico a relazionarsi con persone transgender
Le persone transgender molto spesso sono costrette a subire diverse forme di discriminazione e questo si accompagna a una mancanza di cautela da parte dei servizi sanitari a causa di mancata formazione, esperienze e conoscenza delle esigenze di questi pazienti.
Richard E. Green, direttore del centro per l’educazione alla salute e per i disturbi dell’identità di genere della NYU Langone, ha progettato lo studio dopo una serie di conversazioni con i pazienti transgender che hanno riportato sensazioni di disagio, discriminazione e insensibilità nei contesti sanitari.
Ma cosa accade se il paziente transgender è un attore?
Per studiare il problema, il team di ricerca ha adottato una comune strategia di insegnamento che prevede l’uso del “paziente standardizzato”, una persona addestrata a rappresentare un paziente in una certa situazione medica. Ogni studente svolge un colloquio con il “paziente standardizzato”, cercando di determinare le esigenze mediche della persona, di comunicare le opzioni possibili e di offrire rassicurazione. La nuova ricerca NYU è uno dei primi studi pubblicati che ha avuto la possibilità di utilizzare persone transgender come pazienti standardizzati.
Per questo studio è stata selezionata un’attrice transgender/paziente standardizzato che agiva in un vero e proprio contesto ambulatoriale al fine di valutare 23 tirocinanti di medicina interna sulle loro capacità di comunicare in modo efficace e di creare le condizioni per un certo grado di soddisfazione nel paziente. All’attrice è stato richiesto di riportare feedback verbali e scritti sulle competenze dei tirocinanti.
Nello specifico scenario clinico utilizzato per questo studio, un’attrice transgender stava assumendo un ormone anti-androgeno spironolattone per la riduzione dei connotati maschili, insieme all’assunzione dell’ormone femminile estradiolo.
L’attrice transgender presentava inoltre un quadro clinico caratterizzato da ipertensione e livelli pericolosamente alti di potassio nel sangue. L’attrice/paziente ha poi espresso il desiderio di sottoporsi a orchiectomia, intervento chirurgico per l’asportazione dei testicoli.
Ai tirocinanti è stato richiesto di esplorare e rispettare gli obiettivi di trattamento dell’attrice/paziente, sostenere la paziente nella terapia ormonale per la transizione di genere ed insieme elaborare un piano per il controllo dell’ipertensione e della iperkaliemia.
Inoltre i ricercatori hanno voluto valutare la capacità dei tirocinanti di porre domande definite di “apprendimento”, previste dagli obiettivi della ricerca, che testimoniassero la loro presa di sensibilità nei confronti dell’attrice/paziente, come ad esempio domande relative al pronome preferito dal paziente in associazione alla propria identità di genere, come anche indagare la capacità dei nuovi medici di porre domande circa la sessualità, l’attività sessuale e i rischi associati.
A termine della OSCE (objective structured clinical examination) i tirocinanti sono stati intervistati sul loro grado di preparazione, sulle percezioni relative la simulazione, e sulla capacità di adattamento e cambiamento al singolo e specifico caso.
Il gruppo di ricerca ha sviluppato una serie di items partendo dalle linee guida per il benessere del transgender, considerando la specificità del caso e utilizzando una scala ancorata al comportamento.
Portata a termine la simulazione da parte dei 23 tirocinanti sono stati sintetizzati in percentuale i punteggi relativi le loro capacità di comunicazione e la soddisfazione generale della paziente.
Il punteggio globale di comunicazione (89%) e il punteggio di soddisfazione del paziente (85%) per questo caso specifico che ha visto l’uso della strategia del paziente standardizzato non è stato significativamente diverso da altri 9 casi precedentemente presi in esame (79% punteggio di comunicazione; punteggio di soddisfazione del paziente del 72%; P. .05).
In modo più approfondito è stato dimostrato che meno dei 2/3 dei tirocinanti ha fatto sentire il paziente a proprio agio (61%, 14 di 23) o ha posto direttamente domande sull’identità di genere (61%, 14 di 23).
Molti tirocinanti hanno effettivamente indagato lo status quo del paziente per avere un quadro circa le sue condizioni mediche generali rilevanti per i processi di transizione, (58%, 14 su 24) e hanno riconosciuto lo spironolattone come causa degli altissimi e pericolosi livelli di potassio.
Tuttavia, solo il 25% (6 di 24) ha poi effettivamente discusso di una possibile cura per l’alto potassio e solo il 39% (9 di 23) ha offerto un trattamento per l’ipertensione.
I tirocinanti riportavano di sentirsi preparati per questo caso, nonostante trovassero impegnativo discutere sull’identità del transgender e sugli annessi problemi di salute. I tirocinanti hanno inoltre affermato che i feedback verbali e scritti da parte dell’attrice sono stati loro di grande aiuto.
È stato inoltre affermato dagli stessi medici che questo tipo di formazione con un’attrice transgender li ha aiutati ad abbattere una serie di preconcetti ed essere meglio equipaggiati per la realtà clinica.
La speranza per il futuro è quello di inserire l’OCSE all’interno dei piani curriculari dei medici in formazione così da ridurre il gap sostanziale tra conoscenza e capacità di cura di questi particolari pazienti.