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Il neurocostruttivismo in ricordo di Annette Karmiloff-Smith

Il lavoro di Annette Karmiloff-Smith ispira ancora la ricerca nel campo dello sviluppo: l'autrice dà una spiegazione dinamica del cervello del bambino

Di Alice Nonnis

Pubblicato il 12 Apr. 2017

Aggiornato il 27 Set. 2019 14:24

Il 19 dicembre 2016 è venuta a mancare la fondatrice ed esponente del neurocostruttivismo odierno, Annette Karmiloff-Smith . Il suo lavoro ha ispirato e continua a ispirare tanta ricerca psicologica soprattutto nel campo dello sviluppo.

 

Tantissimi sono i suoi contributi e sarebbe impensabile e riduttivo cercare di ricordarli tutti. Con questo articolo, a pochi mesi dalla morte di Annette Karmiloff-Smith, si cerca di cogliere la portata innovativa del suo pensiero attraverso un piccolo scorcio della sua prospettiva teorica.

Partiamo da una domanda: come è organizzata la mente umana?

 

Annette Karmiloff-Smith: verso la mente modulare e oltre

Siamo comodamente seduti ad ascoltare la nona sinfonia di Beethoven, che costituisce uno “stimolo-input” per il nostro cervello. Il nostro sistema uditivo è il primo a codificare la melodia in un segnale “comprensibile” e manipolabile dal sistema cognitivo, segnale che viene inviato a delle determinate aree del nostro cervello. Queste elaborano lo stimolo selezionato in maniera specifica ed automatica e inviano a loro volta il segnale al sistema centrale, deputato ai processi decisionali, alle attività di monitoraggio, controllo e pianificazione dell’azione. Qui le informazioni vengono integrate e viene emesso un output comportamentale: ci godiamo l’ascolto di quella che viene riconosciuta come una melodia musicale.

Questo esempio rappresenta l’ipotesi modulare della mente umana, che Jerry Fodor ha ben descritto nel libro “La mente modulare”. L’autore ipotizza che la mente si caratterizzi per la presenza di tre componenti: trasduttori (sistema uditivo, in questo caso); moduli (aree specifiche come ad esempio l’area di Broca e di Wernicke); sistemi centrali (corteccia frontale e cingolata).

A tal proposito Annette Karmiloff-Smith, nel libro “Oltre la mente modulare” si chiede: può questa architettura della mente essere estesa ad una mente in via di sviluppo, ovvero ad una mente estremamente plastica? E quali implicazioni ha questa visione per la clinica dei disordini dello sviluppo?

La piccola rivoluzione operata da questa autrice prevede, in primis, un radicale cambio di prospettiva: è chiaro che questa visione statica a “compartimenti stagni” della mente umana può essere adatta alla descrizione di un cervello maturo, adulto, ma non si addice al cervello del bambino che subisce numerosi cambiamenti architettonici, strutturali e funzionali nel corso del tempo e in maniera continua. È necessario andare oltre questa prospettiva modulare: il cervello del bambino ha bisogno di una spiegazione non statica ma dinamica, in grado di cogliere il suo essere in divenire.

A tal proposito è importante inquadrare il concetto di “vincolo” che Annette Karmiloff-Smith propone in sostituzione a quello di modulo.

 

Il vincolo: definizione e sfaccettature

Secondo Annette Karmiloff-Smith il vincolo è una predisposizione biologicamente innata, “dominio rilevante” che conduce lo sviluppo verso una traiettoria tipica, per intenderci nella zona a norma della curva gaussiana, ma che può essere deviato da tantissime piccole alterazioni. Cosa vuol dire “dominio rilevante”? In un suo lavoro del 1998, Annette Karmiloff-Smith descrive come un vincolo dominio-rilevante abbia effetti a tre livelli: cerebrale, comportamentale e mentale.

Nel neonato a livello cerebrale si osserva, grazie alle tecniche di neuroimaging, un’attivazione molto diffusa interemisferica e intraemisferica, che si localizza e si specializza col passare del tempo.

A livello comportamentale osserviamo delle predisposizioni innate ad apprendere in maniera dominio-generale e dominio specifica.

A livello cognitivo si osserva una predisposizione innata all’elaborazione di taluni stimoli, prevalentemente di natura sociale (ad esempio i volti umani, cfr. esperimenti di Goren, Sarty & Wu,1975; Morthon & Johnson, 1991; Valenza, Simion, Macchi-Cassia & Umiltà, 1996). Un esempio di tipo cognitivo lo possiamo trarre dal modello evolutivo dell’HIP, nei meccanismi per estrarre invarianti: la categorizzazione, lo “statistical learning” (sistema per cogliere co-occorrenze statisticamente più frequenti) e il “rule learning” (sistema di apprendimento di regole), sono meccanismi “dominio-generali” che permettono al bambino come all’adulto di dare un senso al mondo circostante.

Senza addentrarci troppo in aspetti tecnici, ecco un esempio di come agisce un vincolo, attraverso processi di localizzazione e specializzazione e di come si passa da un “momento dominio-rilevante” ad uno “dominio-specifico”: a 3 giorni di vita il bambino mostra una preferenza per un volto rispetto a un non volto (ovvero ad uno stimolo non sociale), ma l’attivazione neurale riscontrata è molto diffusa in entrambi gli emisferi. A sei mesi di vita si nota che l’attivazione neurale è localizzata unicamente all’emisfero destro ed è scomparsa nel sinistro. A un anno di vita l’attivazione corrisponde ad una zona molto più ristretta dell’emisfero destro nel suo lobo temporale. Alla fine dell’età scolare l’attivazione è ristretta ad una specifica zona: l’area fusiforme per il riconoscimento dei volti, la stessa che si attiva in un cervello maturo.

Dunque, riformuliamo la domanda: può l’ipotesi modulare della mente descrivere in maniera esaustiva la plasticità di una mente in via di sviluppo? Appare chiaro che una visione modulare non possa essere applicata alla mente del bambino, molto più interconnessa e  “neurodiversa” sotto tanti aspetti! Ci vuole una prospettiva “prospettica” per analizzare il bambino, che non prenda come punto di partenza dell’analisi il modulo maturo dell’adulto (nel nostro esempio: l’area fusiforme), ma piuttosto che parta, come dice Annette Karmiloff-Smith, dallo sviluppo stesso per spiegare lo sviluppo.

 

Ripercussioni sulla clinica

Mettiamo il caso che un bambino, all’età di sei anni, mostri scarse abilità comunicative e linguistiche, in particolar modo un lessico molto povero rispetto ai coetanei e problemi a livello fonologico e sintattico. Non risulta avere problemi a livello uditivo a possiede un QI nella norma. Con questo quadro sintomatologico è molto probabile che al bambino venga diagnosticato un disturbo specifico del linguaggio. Ci si chiede: può un disturbo dello sviluppo linguistico essere ricondotto ad una disfunzione del modulo del linguaggio così come prevede l’ipotesi modulare della mente?

La neuropsicologia classica interverrebbe solo dopo una diagnosi attivando una riabilitazione del modulo disfunzionale senza prevedere nessun intervento sui moduli preservati. La prospettiva neurocostruttivista invece è totalmente differente: ricerca delle atipie nella traiettoria evolutiva in fase molto precoce. Si va a cercare la “deviazione” dal percorso tipico in un momento maggiormente plastico nel quale è possibile fornire dei supporti che possano limitare un decorso atipico.

Con ciò non si vuole dire che si può cambiare il corso della genetica: un bambino affetto da sindrome di Williams, ad esempio, possiede una microdelezione del cromosoma 7 e questo è un fatto immodificabile che provoca necessariamente degli effetti a cascata sul successivo sviluppo, però agire in un momento nel quale un cervello ha una fortissima interconnessione è sicuramente più fruttuoso che agire quando il cervello è modularizzato. Agire precocemente quando sono ancora presenti vincoli “dominio-rilevanti” significa agire su predisposizioni cognitive più generali che solo in seguito si specializzeranno e localizzeranno.

Dove è possibile osservare queste atipie? Ad esempio, in alcuni meccanismi cognitivi di base quale il focus attentivo (si veda lo studio di A. Karmiloff-Smith “Development itself is the key to understanding developmental disorders”, 1998), oppure nella postura (si veda lo studio di Lindsay e collaboratori “Posture Development in Infants at Heightened versus Low Risk for Autism Spectrum Disorders”, 2013 ), e in altri possibili “marcatori” o, come dice E. Valenza, “campanelli d’allarme” che possano segnalare la presenza di una piccola deviazione dalla traiettoria tipica dello sviluppo.

 

La metafora del paesaggio epigenetico

Il neurocostruttivismo in ricordo di Annette Karmiloff-Smith - Paesaggio epigenetico

C.H. Waddington (1940) – La metafora del paesaggio epigenetico

 

L’ immagine sovrimpressa è la copertina di un’opera di C.H. Waddington del 1940 e rappresenta la metafora del paesaggio epigenetico, che risulta particolarmente adatta a descrivere la prospettiva neurocostruttivista. La pallina (ovvero lo sviluppo) può percorrere infinite traiettorie e subire diverse deviazioni all’interno del suo percorso. Quando la pallina giunge in fondo alla sua traiettoria si ha l’esito fenotipico, prodotto dall’interazione tra geni e ambiente.

In termini squisitamente neurocostruttivisti, i vincoli, dunque alcune predisposizioni innate, innescati dall’ambiente filogenetico e ontogenetico determinano una traiettoria unica che è sempre bidirezionale e probabilistica.

L’originalità del neurocostruttivismo di Annette Karmiloff-Smith è stata quella di sottolineare come sia estremamente più interessante e produttivo studiare la “pallina” mentre scende a valle, guardarne le piccole deviazioni e fornire dei supporti educativi in itinere, piuttosto che analizzare la pallina quando è già in fondo, a percorso concluso.

Le intuizioni di Annette Karmiloff-Smith hanno aperto un varco enorme di possibilità per la ricerca sullo sviluppo e il cambiamento cognitivo.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Macchi Cassia, V., Valenza, E., Simion, F. (2012). Lo sviluppo della mente umana. Dalle teorie classiche ai nuovi orientamenti. Il Mulino: Bologna.
  • Fodor, J. (1999). La mente modulare. Il Mulino: Bologna.
  • Lindsay, R., Nickel and Alyssa R., Thatcher (2013). Posture development in Infants at Heightened versus Low Risk for Autism Spectrum Disorders. The Official Journal of the International Society on Infant Studies, 18(5), 639–661.
  • Karmiloff-Smith, A. (2007). Atypical epigenesis. Developmental Sciences, 10(1), 84-88.
  • Karmiloff-Smith, A. (1998). Development itself is the key to understanding developmental disorders. Trends in Cognitive Sciences, 2(10), 389-398.
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