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Intersessualità: la sofferenza di chi non si sente né femmina né maschio

Intersessualità: nei Disorders of Sex Development si hanno anomalie nello sviluppo anatomico- sessuale e la sofferenza di non sentirsi né femmina né maschio

Di fluIDsex

Pubblicato il 17 Mar. 2017

Aggiornato il 05 Ago. 2022 18:02

Intersessualità e DSD: per definizione una persona con DSD (Disorders of Sex Development), vive una condizione in cui vi è incongruenza tra anatomia sessuale interna ed esterna, o sviluppo di genitali ambigui, o anomalie nello sviluppo delle gonadi, o sviluppo incompleto dell’anatomia sessuale, oppure anomalie a livello cromosomico sessuale.

 

La persona intervistata non ama la definizione DSD (Disorders of Sex Development) , preferisce venga usato il termine ombrello “intersessualità” in quanto “disturbo dello sviluppo sessuale” la fa sentire patologizzata, mentre “intersessualità” sottolinea una condizione: la propria.

S. non ama le definizioni in generale; sono proprio le definizioni ad averla fatta sentire imprigionata per una vita intera. Sentiva di continuo la necessità di doversi definire, eppure non trovava uno spazio nel quale rientrare.

Oggi, per convenzione, accetta che si parli di lei al femminile, ma non si sente né donna né uomo.

S. ha una tormentata storia alle spalle. È nata negli anni Settanta e da un punto di vista sessuale disponeva di cromosomi XY, organi genitali esterni femminili e gonadi ritenute nell’addome. Si ricorda che durante i primi anni della sua vita spesso era dal pediatra, come molti altri bambini, ma all’età di tre anni successe qualcosa di anomalo: subì un intervento chirurgico di asportazione di alcune parti del suo corpo. Ricorda come traumatico il ritrovarsi nuda su un lettino, circondata da diversi medici intenti a studiarla. Negli anni successivi torna ogni sei mesi in ospedale per dei controlli ed a undici anni inizia una terapia ormonale.

Durante l’infanzia e la prima adolescenza S. è convinta di essere una bambina, anche se qualcosa non le torna, e spesso si sente strana e diversa rispetto agli altri. All’età di diciannove anni ha il suo primo rapporto sessuale, durante il quale prova un dolore indescrivibile e da lì a breve si ritrova in ospedale. Questa volta viene sottoposta ad un intervento per la “riabilitazione sessuale dei suoi organi”, un intervento dolorosissimo seguito da una serie di esercizi che S. avrebbe dovuto svolgere con dei dilatatori vaginali. Eppure quando torna a casa i dilatatori spariscono e S. ipotizza che i suoi genitori non fossero così d’accordo con quel tipo di ginnastica; forse non erano pronti a pensare alla vita relazionale e sessuale della loro figlia.

 

Intersessualità e vita sessuale: le linee guida per il trattamento dei Disorders of Sex Development

Nonostante in passato, in casi di intersessualità, l’equipe si focalizzava maggiormente sull’estetica dei genitali per rendere le ricostruzioni il più possibili aderenti alla norma, oggi dovrebbe esserci una maggiore attenzione al benessere sessuale, componente essenziale per un benessere generale della persona. Le linee guida per il trattamento dei Disorders of Sex Development in età infantile, redatte originariamente in USA nel 2006 e tradotti ed adattati nella versione italiana nel 2012 a cura dell’Associazione Italiana Sindrome Insensibilità Androgeni (AISIA) invitano i genitori, nonostante l’argomento “vita sessuale dei propri figli” possa metterli in difficoltà, a valutare l’importanza di questo aspetto sin dalla prima infanzia per fare in modo che i propri figli crescano percependosi come soggetti sessualmente sani e possano stringere relazioni intime, anch’esse determinate da una buona percezione di se stessi.

A questo proposito S. racconta di come questo aspetto, ovvero poter avere relazioni romantiche e sessuali, sia quello per lei più difficile al momento: «Se dovessi pensare ad un miracolo ovvio che vorrei indietro la mia sensibilità clitoridea perché finisco sempre con il chiedermi “Come sarebbe se tutto fosse normale?”. E così provo rabbia, dolore e vergogna».

Racconta inoltre che non le piace essere toccata: «faccio fatica anche con i due baci sulle guance o con gli abbracci. E ci sono anche parti del mio corpo che non mostrerei mai, come la schiena e le spalle. Non mi vedrai mai con una canottiera».

Ammette che dopo varie fatiche, ora accetta un po’ di più il proprio corpo e non ha intenzione di sottoporsi ad altri interventi chirurgici, nonostante l’accettazione sia un processo tuttora in atto: «Accetto che la mia sessualità sia vissuta in modo particolare, ma comprendo anche che le altre persone, miei eventuali partner, la vivono in modo diverso da me. A breve inizierò anche una terapia in Svizzera per procedere nell’accettazione corporea e scoprire come gradire il contatto fisico anche a livello di zone non per forza erogene».

 

Crescere nella vergogna e nel dubbio

Fino al momento in cui non c’è stato quell’intervento chirurgico d’urgenza in seguito al suo primo rapporto sessuale S. non riceve alcuna informazione da medici o dai genitori rispetto alla sua condizione.

Le linee guida per il trattamento dei Disorders of Sex Development in età infantile sottolineano diverse volte l’importanza di mettere il soggetto a conoscenza della propria condizione, aiutando i genitori a comunicare in modo efficace a seconda dell’età del figlio. Il soggetto deve sentire di poter domandare e poter esprimere le proprie preoccupazioni. Inoltre più esso sarà informato più sarà educato a prendere autonomamente decisioni su se stesso, con il supporto costante dell’equipe pluriprofessionale e dei genitori.

Un ulteriore punto sul quale le linee guida insistono molto è l’elaborazione della vergogna che quasi sempre i pazienti e le loro famiglie provano per l’ambiguità sessuale. Entrando a contatto con il mondo esterno le sfide aumentano e gli operatori che hanno contribuito alla stesura del manuale indicano quanto sia «indispensabile dedicare del tempo a parlare dello sviluppo del senso di vergogna, da considerare del tutto naturale, e del modo in cui quest’ultimo possa essere rielaborato. In caso contrario, questo sentimento negativo tende ad essere amplificato e ad influenzare tutte le scelte future riguardanti il bambino. È importante evitare di trasmettere l’idea secondo cui ogni reazione negativa possa essere eliminata con interventi chirurgici o altre terapie. La vergogna fa paura e può causare isolamento, specialmente quando non si parla d’altro o quando, al contrario, non se ne parla affatto. L’unico modo per affrontarla al meglio è parlarne apertamente e in modo diretto».

È stato dimostrato come una rete di supporto costruita con altre persone che hanno vissuto un’esperienza simile ha aiutato spesso a superare la vergogna e la riluttanza nel parlare della propria condizione.

S. vive la sua infanzia e la sua adolescenza con i genitori ed il fratello. «Per vergogna i miei genitori non volevano se ne parlasse con nessuno e mi imponevano continuamente il genere femminile. Eppure io sentivo di avere anche un’altra parte».

«Ricordo mio padre come molto severo. Dovevo essere una femmina e non potevo replicare. Mia madre, vecchio stampo, mi invitava a fare i lavori domestici, quelli ritenuti femminili, ed io ad una certa età ho iniziato a riderci sopra, rispondendole che non potevo farli perché in fondo non ero proprio una femmina. Mia madre non rideva affatto di questi giochi, evitava totalmente l’argomento. Si arrabbiavano se non ero la bambina ideale da vestitino e gonnellina».

La madre si vergogna ancora se sua figlia parla della sua storia a qualcuno, ma ora S. afferma: «ho iniziato a pensare che la vita è mia ed è importante uscire dalla vergogna. Ho iniziato un po’ di attivismo con orgoglio. Mia madre però non è ancora pronta a questo ed io ora accetto i suoi tempi. In adolescenza invece ero arrabbiatissima con i miei e ricordo di aver iniziato a “farmi” per questo motivo. Oggi invece penso diversamente, non sono più arrabbiata e penso ai miei genitori che quando sono nata avevano circa vent’anni e si sono solamente affidati ad altri. Sfido qualsiasi genitore ad esser nei loro panni, mi sono chiesta anche io cosa avrei fatto di diverso da loro».

Con il fratello attualmente non parla più: «sicuramente non sarà stato facile starmi vicino in certi momenti. Da tossicodipendente ne ho fatte tante, eppure credo che ci sia qualcosa sotto per cui lui non mi voglia parlare. Così un giorno stavo leggendo un libro su due gemelli dal titolo “Bruce, Brenda e David” e la storia racconta di quando ad uno dei due neonati, durante la circoncisione, viene erroneamente amputato il pene. In seguito a questo incidente si decide che Bruce diventerà Brenda e verrà cresciuto da bambina. L’ultimo capitolo di questo libro parla di come il fratello ha vissuto questa esperienza ed io, dopo averlo letto, ho pensato a mio fratello. Ho capito come anche per lui la mia condizione poteva essere vissuta con difficoltà a causa di tutte le attenzioni dei nostri genitori rivolte quasi sempre solo a me».

 

Sogni e propositi

L’accettazione di S. da parte di S. è un processo ancora in atto, nel quale si impegna quotidianamente, affidandosi a diversi professionisti.

Ha diversi propositi per il suo futuro. Vorrebbe evitare che altre persone passino certe sofferenze: «creerò un’associazione e forse scriverò anche un libro. Il mio obiettivo è che i genitori dei bambini intersex di oggi siano più informati nel prendere decisioni, o meglio, che non ne prendano affatto. Vorrei che si evitasse l’interventismo a meno che non ce ne sia assoluto bisogno. Questa sarà la mia battaglia.

Vorrei che non si provasse più vergogna per non poter essere né un maschio né una femmina, e che non si ragionasse più in termini binari, perché noi persone intersessuali siamo la dimostrazione che il binarismo non esiste per natura».

Le linee guida riportano una letteratura a dimostrazione del fatto che bambini cresciuti con anatomia genitale ambigua non sono maggiormente soggetti allo sviluppo di problemi psicopatologici, rispetto al resto della popolazione. Nonostante queste pubblicazioni siano datate, non ci sono prove che dimostrino la necessità di ricorrere a chirurgia estetica riparativa e precoce per una normalizzazione genitale. Inoltre, secondo il principio della riduzione della vergogna, investire su una serie di interventi normativi non può far altro che ledere il messaggio di accettazione incondizionata che si vorrebbe accompagnasse il soggetto nell’arco della sua esistenza.

S. conclude: «Mi auguro che nessuno provi nemmeno l’1% di quel che ho passato io, sia fisicamente che a livello di comprensione. Ci vuole tanto tempo per capire chi si è ed io sto ancora cercando di capirlo passo dopo passo».

 

 


 

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La rubrica fluIDsex è un progetto della Sigmund Freud University Milano.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • AISIA, (2012), Linee guida cliniche per il Trattamento dei DSD in età infantile, Ed. Italiana.
  • Preves S., (2003), Intersex and Identity: The Contested Self. New Brunswick, New Jersey: Rutgers University Press.
  • Dreger A., (2002), Hermaphrodites and the Medical Invention of Sex. Cambridge, Massachusetts: Harvard University Press.
  • Beh H, Diamond M., (2000), An emerging ethical and medical dilemma: Should physicians perform sex assignment surgery on infants with ambiguous genitalia? Michigan Journal of Gender & Law
  • Hawbecker H., (1999), Who did this to you? In Dreger AD, ed. Intersex in the Age of Ethics. Hagerstown, Maryland: University Publishing Group.
  • Money J. (1952), Hermaphroditism: An Inquiry into the Nature of a Human Paradox [Doctoral Dissertation]. Cambridge: Harvard University.
  • Colapinto J., (2014), Bruce Brenda e David. Il ragazzo che fu cresciuto come una ragazza, San Paolo Edizioni.
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