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La “psicosi terrorismo”, quando i processi di pensiero inconsapevoli modulano la percezione dell’Altro

Quella che è chiamata colloquialmente "psicosi terrorismo": i bias cognitivi quando l'altro non appartiene al nostro gruppo sociale

Di Bruno Loiacono

Pubblicato il 14 Feb. 2017

Aggiornato il 03 Apr. 2017 12:41

L’episodio del cinema di Torino colloquialmente etichettato come “psicosi terrorismo“. Tutti noi siamo vittime quotidiane degli automatismi di pensiero che inducono a commettere distorsioni interpretative (bias cognitivi) frutto dell’appartenenza ad un determinato gruppo sociale. La contrapposizione di un “Noi” variegato e multiforme con un “Loro” omogeneo e indifferenziato influenza la possibilità di ricorrere ad un numero assai limitato di ipotesi per leggere il comportamento dell’altro, quando ci si rapporta non come singoli ma come membri di un gruppo sociale.

La psicosi terrorismo e i pensieri automatici alla base dell’intolleranza razziale

Si continua a discutere della vicenda accaduta in un cinema torinese la sera del primo gennaio quando durante la proiezione di un film, in presenza di una madre ed una figlia maghrebine intente a scambiarsi messaggi via whatsapp, il pubblico in allerta ha abbandonato la sala. Si saprà successivamente che si trattava di donne sordomute che, nel corso di una scena erotica, hanno deciso di inviare messaggi col fine di comunicare ed ironizzare su quanto osservato.

L’intesa, lo scambio di messaggi, il “raggruppamento” di due donne musulmane in uno spazio pubblico ha allertato gli spettatori in sala al punto da indurli alla fuga e a ricorrere ai carabinieri, i quali ben presto hanno compreso il malinteso. Cerchiamo però di tracciare un percorso a ritroso e di tentare di individuare i fattori all’origine di un tale malinteso, quello che i media generalisti chiamano in po’ approssimativamente “psicosi terrorismo“.

Si è parlato di “psicosi terrorismo” e si potrebbe essere tentati dal semplificare la lettura dell’accaduto con un frettoloso quanto impreciso riferimento ad un’intolleranza razziale dilagante e generalizzata. Questo episodio potrebbe costituire, in realtà, un’occasione utile per riflettere su quanti e quali siano i processi di pensiero semi-automatici che si tramutano poi in condotte comportamentali intenzionali.

La complessità e imprevedibilità della realtà sociale ci richiede di essere interpreti abili a leggere e riconoscere i propri ed altrui stati mentali, ovvero tentare di capire quale sia l’intenzione che muove l’agire dell’altra persona. In questo caso le persone del pubblico in sala hanno letto in modo erroneo il comportamento delle due donne, attribuendo loro un’intenzione totalmente inesatta – quella di essere complici di un attacco terroristico. La teoria della mente, il lavorio quotidiano che ciascuno singolarmente svolge provando ad interpretare gli stati mentali degli altri, in altre parole questo tentativo di rappresentarsi internamente il mondo mentale altrui, risente delle modalità con cui categorizziamo gli altri agenti sociali a seconda del contesto storico-culturale nel quale viviamo. Incasellare l’altro in una specifica categoria significa spingerlo ad assumere una serie di attributi stereotipici in grado di orientare il comportamento; in questo caso le donne etichettate come musulmane hanno assorbito lo stereotipo del terrorista al punto da indurre gli spettatori alla fuga.

La realtà storica fa da sfondo costante permeando i processi di pensiero, riempiendo il contenuto delle nostre distorsioni cognitive dove mutano di volta in volta i protagonisti coinvolti (musulmani, meridionali, omosessuali, ecc.), tendenzialmente membri di un gruppo sociale diverso dal proprio che costituisce una minoranza (dove maggioranza e minoranza non si definiscono sulla base di un concetto quantitativo ma si distribuiscono lungo le polarità del potere, in primis il potere semantico di nominare o etichettare l’Altro).

I bias cognitivi e gli stereotipi sociali

Tutto il pubblico in sala è caduto nella stessa trappola? Si può parlare di un intero insieme di spettatori “razzisti”? Di sicuro possiamo affermare che tutti loro – e tutti noi – siamo vittime quotidiane degli automatismi di pensiero che inducono a commettere distorsioni interpretative (bias cognitivi) frutto dell’appartenenza ad un determinato gruppo sociale. La contrapposizione di un “Noi” variegato e multiforme con un “Loro” omogeneo e indifferenziato influenza la possibilità di ricorrere ad un numero assai limitato di ipotesi per leggere il comportamento dell’altro, quando ci si rapporta non come singoli ma come membri di un gruppo sociale.

In una condizione di incertezza diffusa gli spettatori hanno agito accodandosi al medesimo comportamento reciprocamente; l’unanimità della risposta del pubblico in sala può essere letta come una manifestazione di conformismo sociale che non ha coinvolto le due sole donne inconsapevoli di costituire una minaccia terroristica. L’ampiezza del pubblico, l’unanimità della lettura, il supporto sociale tra membri di una stessa cultura possono essere stati fattori che hanno generato il conformismo.

La teoria della mente può fallire, ciascun medesimo comportamento può essere mosso da un numero indefinito di intenzioni e la nostra capacità di lettura varia in base alle abilità metacognitive possedute, a loro volta plasmate dalla qualità degli scambi relazionali nei quali siamo immersi sin dalla prima infanzia. Il nostro Sé sociale chiede di essere considerato anche quando prendiamo in esame un processo tanto individuale come l’attribuzione degli stati mentali: le appartenenze ad un determinato gruppo alimentano bias cognitivi che costituiscono la cornice entro cui facciamo muovere i protagonisti presi in prestito dai confronti tra gruppi che il contesto storico del momento presente ci offre.

L’esercizio della consapevolezza diventa dunque una pratica fondamentale per disinnescare processi di pensiero semiautomatici che, abili nel far risparmiare energia cognitiva ricorrendo a soluzioni “preconfezionate”, diventano colpevoli di inoltrarci su strade interpretative errate. Come le neuroscienze cognitive suggeriscono, e come evidenziato da questa vicenda, l’agito rappresenta solo l’ultimo tassello di un processo che ha origine da una concatenazione di ingranaggi che operano al di fuori della nostra consapevolezza. E dall’uscire da una sala di un cinema al segnare una croce su una scheda elettorale il passo è breve.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • A cura di L. Camaioni (2003) La Teoria della Mente. Origini, sviluppo e patologia. GLF Editori Laterza: Roma-Bari.
  • Tajfel, H. (1974). Social Identity and Intergroup Behavior. Social Science Information, Vol 13(2), 65-93
  • Bem, D.J. (1972) Self-Perception Theory. Advances in Experimental Social Psychology, vol 6, 1-62.
  • Hewstone, M., Stroebe, W., Jonas, K., Voci, A. (2010) Introduzione alla psicologia sociale. il Mulino, Bologna.
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