Le neuroscienze hanno dato un contributo significativo alla spiegazione del substrato neuronale che supporta i comportamenti di dipendenza dalle sostanze, tra cui la cocaina, studiando i percorsi neurali, i modelli di neurotrasmissione coinvolti, gli agenti molecolari e, naturalmente, le componenti genetiche alla base della dipendenza.
Romina Edith Monteleone, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MILANO
Il contributo delle neuroscienze per spiegare la dipendenza da cocaina
Le relazioni annuali sul consumo di droga nel mondo, dimostrano che il consumo di cocaina è stabile nel corso degli anni. Il 4,8% dei soggetti italiani di 15-64 anni ha provato ad assumere cocaina almeno una volta nella vita, mentre lo 0,9% ammette di averne consumato anche nel corso dell’ultimo anno. Le modalità di consumo di cocaina preferiti sono per via endovenosa e per via inalatoria. Si presume che la cocaina presa in questo modo generi cambiamenti neurochimici a lungo termine. Questo fatto, unitamente alla complessità di altri aspetti del comportamento di dipendenza rendono complicato l’efficacia di un processo terapeutico. (Gamberana C; 2007)
In questo senso, le neuroscienze hanno dato un contributo significativo alla spiegazione del substrato neuronale che supporta i comportamenti di dipendenza dalle sostanze tra cui la cocaina, studiando i percorsi neurali, i modelli di neurotrasmissione coinvolti, gli agenti molecolari e, naturalmente, le componenti genetiche alla base della dipendenza.
Uno dei principali oggetti di studio è il ruolo del sistema limbico nel consumo specifico di cocaina.
Classicamente si considera che questo sistema sia costituito dalle seguenti strutture: Cortex prefrontale, Ippocampo, Ipotalamo, Talamo. Al suo interno si trovano alcuni nuclei fondamentali come l’abenula, l’amigdala, e i nuclei dorsale (i gangli della base) e ventrale (nucleo accumbens – Nac -, formato da una parte detta core e una parte detta shell).
L’amigdala valuta la qualità di una esperienza ovvero: se è piacevole o sgradevole, quindi se va ripetuta o evitata, e a formare connessioni tra un’esperienza e altri segnali, è il centro della memoria emotiva e dell’apprendimento; il talamo, che secerne la corticotropina, aiuta a mantenere l’omeostasi del metabolismo corporeo in rapporto agli stimoli ambientali; l’ippocampo contribuisce alla registrazione del ricordo di un’esperienza, compreso dove, quando e con chi si è verificata, e contribuisce alla creazione della memoria cosciente. (Vanderschuren LJMJ, Everitt BJ; 2005)
Negli anni si è stabilito che facciano parte del sistema della gratificazione altre componenti basilari ovvero: il sistema neurotrasmettitoriale dopaminergico mesolimbico, che controlla la spinta motivazionale per la ricerca dello stimolo gratificante, il sistema neurotrasmettitoriale oppioide, che medierebbe i processi di gratificazione conseguenti al consumo della sostanza, il sistema glutaminergico, che modula il rilascio della dopamina in alcune aree cerebrali. (Nestler E. J.2001; 2002)
A differenza di un picco dopaminergico naturale, il piacere e la ricompensa mediati da una sostanza d’abuso, come la cocaina, dipendono da una elevata concentrazione di dopamina sui recettori postsinaptici D2 del sistema limbico. Per un processo di neuroadattamento, questa sovraesposizione alla dopamina fa sì che siano necessarie quantità sempre maggiori di sostanza d’abuso per produrre gli stessi livelli di dopamina e che l’individuo diventi di fatto incapace di funzionare all’esaurimento degli effetti della sostanza stessa. Si avvia a questo punto il circolo vizioso neurofarmacologico da cui dipendono l’abuso e la dipendenza. Il processo di neuroadattamento alla base di questo fenomeno sembra essere da un lato la riduzione dei recettori per la dopamina (fenomeno che riguarda anche i consumatori cronici di altre sostanze d’abuso) e dall’altro, successivamente, la riduzione stessa della dopamina, per una sorta di effetto di esaurimento.
I neuroni contenenti dopamina presenti nel NAc sono attivati da stimolazioni motivazionali che incoraggiano una persona a determinati comportamenti ed alla loro ripetizione. Anche minime quantità di cocaina sono state in grado di aumentare il rilascio di dopamina nel NAc: il che contribuisce agli effetti “ricompensa” e, quindi, costituisce una parte importante nella promozione dei consumi. (Hyman Se., Malenka RC., Nestler EJ, 2005; Hyman Se, 2006)
Il craving: l’intenso desiderio della sostanza
L’esistenza di queste connessioni anatomiche può spiegare in parte un altro fenomeno, tipico delle sostanze d’abuso, che osserviamo spesso nella clinica delle dipendenze: l’apprendimento incentivo. Questo meccanismo è caratterizzato dal fatto che stimoli neutri o secondari di varia natura, come un volto, un luogo, una situazione, associati ripetutamente agli effetti gratificanti delle sostanze d’abuso, possono diventare capaci di per sé di scatenare un intenso desiderio della sostanza (craving) anche a distanza di anni dall’ultima assunzione, portando alla ricaduta. L’apprendimento incentivo, non avviene nel caso degli stimoli gratificanti naturali, per cui uno stimolo neutro ad essi associato rimane tale senza riuscire a scatenare il craving. Il craving, definito come un forte e inevitabile desiderio di assumere una sostanza o più in generale di soddisfare un bisogno, può essere scatenato dalla droga o dalla presenza di uno stimolo neutro o secondario, ripetutamente associato all’effetto gratificante della stessa. (Everitt BJ., Robbins TW, 2005)
Da un punto di vista neurologico il craving è concepito come un fenomeno che attiva alcune aree cerebrali come la cortex prefrontale, il nucleo accumbens, l’ippocampo e l’amigdala, al pari del controllo del desiderio e del consumo indotto dagli stimoli primari, dove le droghe probabilmente provocano cambiamenti duraturi a livello molecolare, soprattutto nelle aree deputate alla formazione e immagazzinamento della memoria. (Aquas E,2007)
Si ipotizza che l’aumento della trasmissione dopaminergica in tali aree indotta dalle sostanze si accompagni a un potenziamento delle proprietà emozionali e motivazionali delle stesse. La dopamina, quindi, sarebbe in grado di modulare, attraverso meccanismi molecolari cellulari, l’archiviazione delle informazioni (in questo caso delle sensazioni piacevoli indotte dalle droghe) a livello della corteccia cerebrale. In questo modo, le sostanze d’abuso, attraverso un potenziamento della trasmissione dopaminergica mesolimbica-corticale e del rilascio di determinati fattori come il CRF, l’ormone dello stress, indurrebbero nell’individuo un rinforzo nella memorizzazione degli effetti gratificanti indotti dal loro uso.( Acquas E., Carboni E., Valentini V., Lecca D, 2004)
Il meccanismo neurobiologico alla base della dipendenza
Per concludere lo schema clinico neurologico che porta un individuo alla dipendenza si potrebbe descrivere nei seguenti modi ( Gamberana, 2007):
A. un circuito che media gli effetti di rinforzo positivo di una sostanza: include il nucleo centrale dell’amigdala e il nucleo del letto della stria terminale. A livello molecolare si ipotizza il ruolo di diversi neuromodulatori, tra i quali la dopamina, peptidi oppioidi della gratificazione, noradrenalina e corticotrophin releasing factor nello stress. (Sarnyai Z., Shaham Y., Heinrichs S.; 2001)
B. Un circuito implicato nelle ricadute, che nei modelli animali sono rappresentati dalla ripresa di un comportamento di autosomministrazione indotto dall’esposizione alla sostanza o a stimoli ad essa associati. Questo circuito comprende la corteccia prefrontale con le sue regioni (corteccia cingolata anteriore, prelimbica, orbitofrontale) e la regione baso laterale dell’amigdala.
C. Il terzo circuito sarebbe implicato nella ricerca della sostanza e comprende nucleo accumbens, pallido-ventrale, talamo, corteccia orbito-frontale e corteccia motoria. Presumibilmente sono anche implicate altre strutture come l’ippocampo che registra il ricordo delle esperienze e le vie nervose dopaminergiche e noradrenergiche delle aree corticali.