La Terapia Cognitivo Comportamentale insegna ai pazienti a convivere con gli acufeni. Ritengo il libro utile ai pazienti per avvicinarsi ad un trattamento basato sulla Terapia Cognitivo Comportamentale, ma prezioso anche per lo specialista che può affinare le sue tecniche e adattarle a questo specifico disagio.
L’acufene è un suono (ronzio, fischio, fruscio o simile) anche di forte intensità, che può essere percepito in una o in entrambe le orecchie, o all’interno della testa. Spesso le cause della sua insorgenza sono sconosciute e non è necessariamente associata una perdita dell’udito.
L’acufene, come potete immaginare, è un coinquilino fastidioso, si fa notare. Organizza feste con gli amici senza autorizzazione da parte nostra, allaga il bagno quando fa la doccia, non lava i piatti, entra nella nostra camera quando vogliamo stare soli. I pazienti mi dicono spesso: “no, io non voglio averlo, non voglio abituarmi, non voglio conviverci!”. Purtroppo a noi specialisti non hanno dato una bacchetta magica durante la formazione. Sarebbe bello poter pronunciare “bidibi bodibi bù” e sentirci dire “ha funzionato! Non sento più nulla!”. Il coinquilino ha fatto le valigie e ha deciso di andarsene.
I pazienti che ho visto nella mia esperienza clinica, specialmente in fase acuta (nei primi sei mesi dall’insorgenza dell’acufene), si rivolgono a diversi specialisti, anche ripetendo gli stessi controlli (vedi ad es. l’esame audiometrico) per trovare una cura semplice, veloce ed efficace per eliminare del tutto il fastidio. E la frase che mi ripetono spesso è: “il medico mi ha detto che me lo devo tenere!”. Ovvio, loro non vogliono. Questa frase è la peggiore che potevano aspettarsi. Per questo poi cambiano specialista, perché non riescono ad arrendersi a questa idea.
Mi vengono in mente le equazioni del liceo; stai lì ore nel pomeriggio a cercare di completarne una in particolare, perdi energie e tempo e poi alla fine la soluzione che leggi sul libro è: “impossibile”. Il punto qual è? Per arrivare a quella “non-soluzione” dobbiamo comunque svolgere tutta l’equazione, rifarla se il risultato non torna, magari confrontarci con i compagni di classe, sperimentare la frustrazione mettendo a dura prova le nostre abilità matematiche. A volte questo è l’acufene. Il paziente fatica tanto per cercarne la soluzione, si rivolge a tutti i centri specializzati che conosce, si informa su internet, prova a prendere farmaci o integratori, ma alla fine non la trova, o meglio, capisce che quella frase detta in malo modo dal dottore di turno è vera. Ma più che dirsi semplicemente “me lo devo tenere”, il pensiero man mano si trasforma in “ho capito che è necessario adattarmi, voglio conviverci”. Ed è in questo momento di consapevolezza che il paziente si rivolge al terapeuta. Alcune persone fin da subito sono pronte a impegnarsi e collaborano attivamente. Altre, spesso ostacolate da specifici tratti di personalità o disturbi d’ansia o dell’umore, necessitano di un lavoro più lungo e centrato sulle problematiche psicologiche/psichiatriche annesse.
Acufeni: manuale di sopravvivenza secondo la terapia cognitivo comportamentale
Mentre sistemo i miei libri sullo scaffale mi capita tra le mani il manuale di auto-aiuto “Acufeni: manuale di sopravvivenza” (Springer-Verlag Italia, 2012) scritto da Henry e Wilson che cerca di dare ai pazienti una risposta al problema che sia realistica e accettabile. Il manuale è basato sulla terapia cognitivo comportamentale (TCC) che è una delle poche tecniche che rientra tra le recommendations delle linee guida dell’American Academy of Otolaryngology – Head and Neck Surgery (Tunkel et al., 2014).
La Terapia Cognitivo Comportamentale insegna ai pazienti a convivere con il suono.
Ritengo il libro utile ai pazienti per avvicinarsi ad un trattamento basato sulla Terapia Cognitivo Comportamentale, ma prezioso anche per lo specialista che può affinare le sue tecniche e adattarle a questo specifico disagio.
Il manuale offre una psicoeducazione puntuale sul disturbo e descrive nel dettaglio gli esercizi pratici da svolgere. Interessanti e utili i materiali scaricabili dal sito della Springer: un file audio per il rilassamento progressivo muscolare e i moduli di monitoraggio degli esercizi proposti.
Si parte, come di consueto nella Terapia cognitivo comportamentale, dal riconoscimento dei pensieri e delle emozioni con il modello ABC e la conseguente ristrutturazione cognitiva.
Nella pratica clinica intendiamo con l’espressione “ristrutturazione cognitiva”, la modificazione del contenuto di un pensiero. Facciamo un esempio preso direttamente dal manuale. Un paziente con acufeni può pensare “gli acufeni mi impediscono di godermi la vita”. Questo è il pensiero disfunzionale, quello costruttivo è invece “a volte gli acufeni sono fastidiosi, ma molte altre cose mi danno ancora piacere”.
La ristrutturazione cognitiva a volte può funzionare, altre no. Mi è capitato di proporre esercizi simili e sentirmi dire cose del tipo: “si certo sembra facile! Voglio vedere lei a stare tutto il giorno con questo fischio!”. In questo caso è necessario intervenire prima sull’accettazione. Il paziente, come osservavo precedentemente, non vuole intervenire per convivere con gli acufeni ma vuole la sua eliminazione (ben comprensibile). E la sua mente è impegnata costantemente alla ricerca di soluzioni definitive o a raffigurarsi un futuro catastrofico. Spesso è più il tempo che il paziente passa a pensare agli acufeni, che interferiscono con le attività quotidiane e il sonno, che il suono in sé. In questo caso la terapia metacognitiva e e la mindfulness sono sicuramente strumenti più efficaci. Nell’edizione originale del 2002 non vengono trattate ma si tratta di approcci essenziali per lavorare sul processo cognitivo (sul come penso, e non sul cosa, penso) e sull’accettazione.
Il manuale prosegue poi con la descrizione delle tecniche di rilassamento e di controllo dell’attenzione. Queste ultime sono interessanti e coinvolgono gli stimoli corporei, gli stimoli esterni e anche l’immaginazione per spostare l’attenzione su qualcosa di piacevole o neutro. Uno degli esercizi di immaginazione che trovo divertente è quello di includere il suono dell’acufene in uno scenario immaginato piacevole. Per esempio mi è stato riportato da alcuni pazienti un acufene molto simile al suono delle cicale. Nello scenario in immaginazione si potrà visualizzare un bel posto immerso nella natura, in un pomeriggio estivo, seduti in giardino su una sedia a dondolo a sorseggiare una bibita fresca, il vento leggero che sentiamo tra i capelli, la luce del tramonto e appunto il suono delle cicale.
Trovo estremamente importante l’ultima parte del libro dedicata allo stile di vita. Spesso le persone con acufene modificano completamente la loro quotidianità in base al disturbo: “oggi il fischio è lieve posso uscire con le mie amiche” oppure “il ronzio è alle stelle non vado in palestra”. E’ qui che subentra l’aspetto depressivo. I piaceri di prima vengono, a volte, eliminati e alla lunga questi limiti abbassano il tono dell’umore. Non ci si sente più come prima, non ci si sente più gli stessi, ci si sente impossibilitati a fare. Una delle tecniche utilizzate nel manuale per attivare il paziente consiste, attraverso esercizi di autovalutazione, nell’individuare degli eventi piacevoli da inserire in un programma dettagliato di attività quotidiane.
I limiti del manuale
Il libro offre tante e diverse alternative per agire ma con i limiti classici di un libro self-help. Innanzitutto un paziente con problematiche più impegnative, come descritto precedentemente, sarà scettico e resistente nel mettere in atto gli esercizi indicati. Per tutti i lettori non esperti ritengo la lettura impegnativa, sia per la comprensione stessa del razionale sottostante, sia per la mole di materiale proposto. Mi sembra infine superfluo ribadire l’importanza di un rapporto terapeutico, di un incontro con l’altro che modula, ci fa da specchio, ci mostra un punto di vista diverso, ci offre un confronto.
Per questi motivi ritengo essenziale l’incontro con un terapeuta: il manuale può essere un valido strumento da utilizzare nel lavoro terapeutico, ma non un sostituto. Ricordando che si lavora sempre per un unico obiettivo: il coinquilino, ahimè resta, ma nelle feste che organizza ora siamo invitati e portiamo anche un po’ di birra; per l’acqua in bagno possiamo rimediare con un tappetino; lo schema con i turni per i piatti è appeso in cucina e quando siamo in camera a rilassarci appendiamo un cartello con su scritto “DO NOT DISTURB”.