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7 minuti: l’influenza della minoranza come arma contro la paura individuale – Cinema & psicologia

Nel film 7 minuti di Michele Placido si racconta dell'incertezza del futuro lavorativo legata alla modifica del contratto di lavoro di alcuni dipendenti.

Di Teresa Galanti

Pubblicato il 12 Gen. 2017

Aggiornato il 16 Lug. 2019 12:45

In questo credo stia la grandezza di 7 minuti, il nuovo film di Michele Placido. Nell’aver fornito uno strumento contro la paura e nell’averne dimostrato le straordinarie capacità. Perché ciò che permette a quelle undici donne, spaventate dal cambiamento e incredule di fronte a una proposta inimmaginabile, di superare la paura, è l’essere un gruppo, all’interno del quale ogni voce è importante ma non superiore alle altre.

 

Quando vi propongono modifiche al contratto di lavoro

Immaginate di lavorare per un’azienda da poco ceduta ad una grande multinazionale. Immaginate di venir chiamati una mattina dal vostro capo ufficio per rivedere il vostro contratto di lavoro. Persino al più ottimista non sembrerebbe una felice occasione.

Ora immaginate che l’unica modifica contrattuale che vi proponga consista in una riduzione di 7 minuti della pausa giornaliera.

Respiro di sollievo. Un punto per l’ottimista!

La paura di esser licenziati, messi in cassa integrazione o in mobilità cederebbe il posto all’incredulità. Possibile che si tratti veramente solo di questo? Di dover rinunciare a 7 dei trenta minuti di pausa, lasciando invariato tutto il resto? Se non fosse il vostro titolare a dirvelo, pensereste certamente a uno scherzo.

Vi sentireste sollevati,  il vostro posto sarebbe salvo. Non chiedereste altro che poter firmare questa proposta, così da renderla effettiva, concreta, reale.

Immaginate, però, che vi venga offerto un tempo per pensare all’offerta, prima di scegliere se accettarla o meno. Vi sembrerebbe assurdo. A cosa dovreste pensare? In fondo poteva andare molto peggio, potevate perdere il lavoro. Allora sì che avreste desiderato avere tempo per pensare, avreste desiderato poter avere la possibilità di scegliere se accettare o meno.

Due ore. Il tempo che vi viene concesso prima di firmare. E allora, seppur contrariati e infastiditi, forse iniziereste a pensare.

Qual è il senso di questa richiesta? Perché la vostra azienda dovrebbe chiedervi di rinunciare a 7 minuti della pausa alla quale avete diritto? Ma soprattutto, perché all’improvviso, di fronte alla paura di esser licenziati, 7 minuti non sembrano valere nulla? Come avreste reagito a questa proposta se la situazione fosse stata diversa? Se l’azienda per la quale lavorate non fosse stata ceduta, ma anzi stesse attraversando uno dei suoi migliori periodi, avreste accolto di buon grado questa richiesta?  In altre parole, che valore avreste dato a quei sette minuti? Tutto a un tratto vi sarebbero sembrati importanti e vi sareste sentiti in diritto di rifiutare o, perlomeno, ritrattare l’offerta.

Però l’azienda è stata ceduta, questo è un dato di fatto. E le politiche di riduzione del personale sono all’ordine del giorno in questi casi. Quindi, di fronte alla possibilità di perdere il lavoro, scegliereste di rinunciare a quei minuti.

 

Quanto possono valere 7 minuti di lavoro

Immaginate ora che l’azienda per la quale lavorate abbia 300 dipendenti, a ciascuno dei quali è stata proposta  la stessa modifica contrattuale. In termini numerici, questo cosa comporrebbe?

Facciamo un po’ di calcoli. 7 minuti al giorno, per cinque giorni, per 300 dipendenti. 10500 minuti a settimana, 175 ore.

Quelli che, fino a un attimo fa, sembravano solo 7 minuti, all’improvviso diventano 175 ore di lavoro, corrispondenti al monte ore settimanale di circa 6 dipendenti.

Da un giorno all’altro, iniziereste a lavorare come 306 dipendenti, pur essendone 300, continuando a percepire lo stesso stipendio.

Però tutto ha un costo. E se il prezzo da pagare per mantenere il posto di lavoro fosse rinunciare a 7 minuti, pur consapevoli del valore che essi hanno, forse è un prezzo che chiunque sarebbe disposto a pagare.

Ma siamo sicuri di aver compreso realmente il valore di quei minuti?

E se questa modifica contrattuale non fosse altro che una prova per testare quanto siamo disposti a fare, pur di mantenere il posto? Se in realtà, concedendo questi sette minuti, stessimo in realtà dicendo che faremmo qualunque cosa? Che peso avrebbero, in questa luce, quei minuti? Chi di noi potrebbe esser sicuro che, di lì a poco, le richieste non diventeranno ben più onerose, ma stavolta impossibili da rifiutare?

Perché, se ci pensate, nessuno in realtà vi stava costringendo ad accettare quella modifica. Vi era stata proposta, e vi era stato dato un tempo per riflettere. Cosa, allora, vi ha fatto pensare di non avere altra scelta?

La paura. La paura di contraddire il capo, di non compiacerlo. La paura di perdere il lavoro, di essere accompagnati, più o meno gentilmente, alla porta. E quando siamo spaventati, cerchiamo in ogni modo di attenuare questo sentimento. Firmare quella proposta avrebbe attenuato quella paura, prendersi tempo per pensare, invece, l’avrebbe fatta aumentare.

 

La grandezza di 7 minuti nel film di Michele Placido

In questo credo stia la grandezza di 7 minuti, il nuovo film di Michele Placido. Nell’aver fornito uno strumento contro la paura e nell’averne dimostrato le straordinarie capacità. Perché ciò che permette a quelle undici donne, spaventate dal cambiamento e incredule di fronte a una proposta inimmaginabile, di superare la paura, è l’essere un gruppo, all’interno del quale ogni voce è importante ma non superiore alle altre. Un gruppo, dove il dialogo mostra la sua superiorità rispetto al monologo, un gruppo che mostra la sua forza aggregante e dà il coraggio di superare la paura individuale.

Elegante esempio, quello di Ottavia Piccolo, dell’influenza della minoranza di cui parlava Moscovici. Priva di un potere normativo, essa può far leva sulla pressione informativa. Per questo getta la maggioranza nell’incertezza, insinuando dubbi, stimolando il bisogno di andare a fondo e di uscire dai soliti schemi. Così facendo, spinge il gruppo verso un pensiero divergente, non basato sull’accettazione o meno della tesi, ma sul confronto che faccia emergere punti di vista alternativi, allargando così il raggio di idee. In questo risiede il potere della minoranza: nel suo poter essere esercitata soltanto su una visione delle cose che il gruppo arriva a condividere, a partire da una riflessione e dall’approfondimento dei problemi. Mentre la maggioranza può imporre anche l’assurdo, la minoranza può far valere solo ciò che agli occhi del gruppo appare ragionevole.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Massini S. 7 minuti. Einaudi 2015
  • Mucchi Faina A. L’influenza sociale. Il mulino. 1996
  • Moscovici S. Le rappresentazioni sociali. Il mulino. 1989
  • Placido M. 7 minuti. Goldenart Production, Manny Films, Ventura Film. 2016
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