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Criticismo genitoriale: che cos’è e quali effetti produce

Il criticismo genitoriale consiste nel ricorso ripetitivo al rimprovero e questo produce nel bambino bassa autostima, ansia, depressione o rabbia.

Di Elisabetta Strina

Pubblicato il 23 Dic. 2016

Aggiornato il 30 Set. 2019 15:52

Criticismo genitoriale: Dal punto di vista emotivo, le emozioni riscontrate in chi viene rimproverato dipendono dalla personalità e dalle interpretazioni che vengono date alle critiche. Una prima differenza può essere vista nell’accettazione o meno delle critiche subite. Nel primo caso i sentimenti più frequenti sono senso di colpa con la tendenza ad attribuirsi cattive intenzioni e la tristezza per la convinzione di una propria incapacità. Diverso è il caso in cui il rimprovero venga vissuto come ingiusto per cui l’emozione più frequente è la rabbia con più probabili comportamenti di ribellione.

Elisabetta Strina, OPEN SCHOOL PSICOTERAPIA COGNITIVA E RICERCA DI MILANO

Criticismo genitoriale: in cosa consiste

Il criticismo genitoriale è caratterizzato da un ricorso ripetitivo e pervasivo al rimprovero.
Si manifesta con frequenti commenti critici sostenuti anche da tono severo o perentorio; si esprime per mezzo di espressioni di disapprovazione, di sentimento, rifiuto e svalutazione del rimproverato (ad esempio, “possibile che sbagli sempre?”, “Vergognati per quel che hai fatto!”). L’amore manifestato dai genitori è condizionato alla performance del bambino e le approvazioni sono inconsistenti; il bambino non si sente mai soddisfatto perché il suo comportamento non è mai abbastanza corretto per guadagnare l’approvazione dei genitori e attua uno sforzo continuo per ottenerla.

Il bambino sviluppa così credenze di base su se stesso che possono riguardare la convinzione di incapacità personale, bassa autostima, propensione ad attribuzioni di colpa e disorientamento personale con attitudine a costruirsi un’identità e stima di sé sulla base dell’opinione altrui (Apparigliato, Ruggiero e Sassaroli, 2004). Il soggetto si adegua ad un criterio di valutazione esterno, normativo, favorendo così la formazione della tendenza sistematica all’autocritica tipica delle persone timide e degli ansiosi sociali.

Nei colloqui con i pazienti spesso emerge nella descrizione dei propri genitori una modalità relazionale disfunzionale basata su critiche ripetute nei confronti dei propri figli.

Nel rimproveratore si possono distinguere diversi scopi: spesso cerca di cambiare il comportamento che ritiene sbagliato; può avere il fine di ottenere un risarcimento per un danno subito; può voler rivelare una sofferenza patita a causa del rimproverato; può avere lo scopo di dare sfogo ad una rabbia incontrollabile.

Questo tipo di comunicazione “ inferiorizzante” è un potente strumento di controllo del comportamento dell’altro facendolo sentire dipendente e quindi bisognoso di approvazione. Questo atteggiamento aumenta dunque l’autostima del rimproveratore che recupera potere nella relazione.
Alla base si può riconoscere un deficit metacognitivo nella comprensione della mente altrui, che non è riconosciuta dotata di scopi personali validi, oppure una difficoltà di decentramento, riconoscendo come legittimo solo il proprio punto di vista.

Sembra esserci una trasmissione intergenerazionale del criticismo: nella pratica clinica si è potuto osservare che coloro che sono stati fortemente rimproverati fin da piccoli dai genitori, o da chi si è preso cura di loro, tendono a loro volta a diventare “grandi rimproveratori” (Sassaroli e Ruggiero, 2002); il criticismo messo in atto da chi è stato ripetutamente rimproverato potrebbe essere una forma di apprendimento, in quanto queste persone non hanno avuto la possibilità di apprendere delle modalità relazionali più funzionali con i propri familiari.

Gli effetti che produce il criticismo genitoriale

Dal punto di vista emotivo, le emozioni riscontrate in chi viene rimproverato dipendono dalla personalità e dalle interpretazioni che vengono date alle critiche. Una prima differenza può essere vista nell’accettazione o meno delle critiche subite. Nel primo caso i sentimenti più frequenti sono senso di colpa con la tendenza ad attribuirsi cattive intenzioni e la tristezza per la convinzione di una propria incapacità. Diverso è il caso in cui il rimprovero venga vissuto come ingiusto per cui l’emozione più frequente è la rabbia con più probabili comportamenti di ribellione.

Livelli elevati di criticismo genitoriale (disapprovazione o irritabilità diretti verso il bambino con conseguenti negative reazioni allo stress ) sono collegati a maggiori sintomi somatici negli adolescenti e ai conseguenti problemi psicologici ( ansia e depressione ) che sono fortemente correlati con questi sintomi ( Campo 2012). Cioè gli adolescenti che subiscono un parenting controllante hanno più probabilità di sviluppare un orientamento al perfezionismo maladattivo (caratterizzato da autovalutazioni negative), che a sua volta li rende più vulnerabili ai sintomi depressivi.

Uno stile genitoriale caratterizzato da una bassa cura, alti standard e critiche frequenti è stato associato ad ansia, sintomi depressivi e schemi di sé negativi (Gibb , 2002).
Esiste una relazione tra il livello di critica percepita durante l’infanzia e lo sviluppo di autocriticismo in età adulta . L’autocriticismo è collegato ad una serie di disturbi psicologici primo fra i quali la depressione, comportamenti maladattivi, come la tendenza a reagire negativamente a errori, interpretandoli come equivalenti al fallimento, e la credenza disfunzionale che in seguito al fallimento si perderà il rispetto degli altri.

Una critica pervasiva dei genitori può portare a una vulnerabilità cognitiva per critiche fatte da altri. Inoltre i bambini possono imparare direttamente a relazionarsi con se stessi nella stesso modo critico che i genitori hanno utilizzato per riferirsi a loro ( Brewin et al .1996) . L’autocritica può quindi risultare come strategia impiegata per correggere continuamente se stessi e quindi evitare la possibilità di ricevere critiche da altri e dover far fronte al relativo dolore emotivo. L’autocritica sembra essere una delle più considerevoli componenti patologiche del perfezionismo.

Avere avuto genitori criticisti determina una maggiore intolleranza all’errore che porta ad essere perfezionisti; criticismo genitoriale e perfezionismo sono due concetti fortemente collegati. Criticismo genitoriale e aspettative sono state indicate da Frost (1990) come dimensioni del perfezionismo inteso come concetto multidimensionale. In particolare vengono viste come collegate alla tendenza di concepire l’affetto dei genitori subordinato alla propria capacità di soddisfare le loro aspettative ed evitarne le critiche. Altri autori (Shafran et altri 2002) parlano di perfezionismo clinico come dipendenza eccessiva dalla valutazione di sé. Dunkley et altri (2006) riconoscono la dimensione delle preoccupazioni valutative consistente in valutazioni critiche del proprio comportamento, preoccupazioni e rimuginii rispetto al criticismo degli altri che impediscono di trarre soddisfazione dal proprio successo. Questi fattori contribuiscono a differenziare il perfezionismo sano da quello clinico, il quale evidenzia un eccessivo timore degli errori che porta a insoddisfazione cronica e senso di inefficacia.

La dipendenza dai criteri normativi con la continua preoccupazione che il proprio comportamento sia giusto o sbagliato è riscontrabile nel disturbo ossessivo-compulsivo. In queste persone il senso di responsabilità e timore della colpa è talmente forte da non poter essere immaginato, affrontabile.

Altre persone sviluppano una dipendenza dal contesto relazionale come nei soggetti con disturbo alimentare. Perfezionismo e bassa autostima sono considerate fra le maggiori credenze cognitive disfunzionali dei disturbi alimentari. I soggetti rimuginano sul non essere abbastanza competenti e adatti alle richieste della vita. La valutazione del sé tende ad essere basata sulla forma corporea e sul peso, temendo conseguenze negative nei rapporti interpersonali, come il biasimo o il disprezzo di genitori e coetanei (Sassaroli e al.2007).

Da queste evidenze possiamo comprendere come le critiche continue non consentono di sperimentare, mettersi in gioco, esplorare il mondo alla ricerca di soluzioni personali che incrementino l’autostima e il senso di autoefficacia. Qualsiasi cosa che generalmente viene detta criticamente può essere detta in modo supportivo, ottenendo lo stesso, se non un maggiore effetto. La creazione di un sistema educazionale positivo favorisce negli individui la formazione di un positivo concetto di sé come persona.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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  • Semerari A., (1999), a cura di,Psicoterapia cognitiva del paziente grave, Raffaello Cortina, Milano.
  • Shafran L.,Cooper Z.,Firburn CG.(2002), Clinical perfectionism: a cognitive behavioural analysis, Behaviour Research and Therapy,40, 773-791.
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