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Placare il cuore e la mente: un nuovo trattamento CBT per l’attacco di panico associato a patologia cardiaca

Recentemente è stato ideato un metodo di impostazione cognitivo comportamentale per il trattamento degli attacchi di panico associati a patologie cardiache

Di Federica Pieragostini

Pubblicato il 09 Ott. 2016

Aggiornato il 02 Ott. 2019 15:36

Solo recentemente (2016) è stato sviluppato lo specifico metodo PATCHD, basato sull’esperienza pregressa della CBT, coniugata però con le specifiche richieste cliniche e di assessment del paziente cardiopatico, tenendo conto dell’apporto di cardiologi, infermieri e fisiologi.

La comorbidità tra attacco di panico e patologia cardiaca

L’espressione “attacco di panico” fa riferimento al disturbo d’ansia somatico per antonomasia. Esso è infatti un breve stato di intensa paura e terrore con sintomi cognitivi e somatici durante il quale il soggetto generalmente teme di impazzire, morire o perdere il controllo.
La natura imprevedibile del disturbo e il circolo della paura ad esso associato compromettono lo svolgimento della vita quotidiana a lungo termine, soprattutto in assenza di trattamento.

Esso è spesso presente in netta comorbidità con un’altra patologia decisamente critica, quella cardiaca, spesso dovuta all’ostruzione delle coronarie. A tal proposito infatti la letteratura ha da anni sottolineato come la depressione e lo stress siano possibili fattori di rischio cardiaco, concentrandosi anche sulla stretta relazione tra ansia e malattia cardiaca. In particolare le situazioni ansiogene di varia natura diagnostica, comprendenti quindi anche l’attacco di panico, aumentando l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, accrescono il livello di catecolamine circolanti. Questa eccitazione superiore a un quadro abituale può avere un’influenza nel rischio di ipertensione e, nel lungo termine, di possibile sviluppo di malattia al muscolo portante del sistema circolatorio.

Studi longitudinali hanno in realtà dimostrato una relazione bidirezionale tra la dimensione dell’ansia e quella dell’ipertensione: la presenza di uno dei due fattori può implicare una maggiore possibilità della presenza dell’altro. (Player & Peterson, 2011)
Tale comorbidità non è da sottovalutare, in quanto è stato dimostrato (Tully, 2015) che l’esordio dell’attacco di panico associato ad insufficienza cardiaca si correla anche ad un alto tasso di ricovero ospedaliero.

L’insufficienza cardiaca presenta tra i sintomi anche molti elementi comuni alla sintomatologia della somatizzazione del panico, tra cui le palpitazioni, la dispnea o l’ortopnea (dispnea in posizione supina) e perciò la compresenza delle due diagnosi non stupisce.
Questa sovrapposizione tra i due disturbi crea tanta difficoltà sia nella corretta diagnosi differenziale specifica sia nella terapia.

La terapia cognitivo comportamentale dell’attacco di panico associato a patologie cardiache

Nonostante la terapia cognitivo comportamentale sia quella d’elezione in presenza di psicopatologie di questo genere, precedentemente nessuno studio ha dimostrato la sua possibile applicazione in presenza di comorbidità tra attacchi di panico e insufficienza cardiaca, dove è presente il rischio di un evento concreto, quale l’attacco cardiaco.
Solo recentemente (2016) in questa direzione è stato sviluppato lo specifico metodo PATCHD, basato sull’esperienza pregressa della CBT, coniugata però con le specifiche richieste cliniche e di assessment del paziente cardiopatico, tenendo conto dell’apporto di cardiologi, infermieri e fisiologi.

Il modello si compone di sei elementi: la formulazione del caso, la psicoeducazione relativa alle due malattie da cui è affetto il paziente, la riduzione dello stress grazie alla mindfulness, il miglioramento di abilità di coping e di attività per il dolore al petto, l’esposizione ad attività che contrastino con il comportamento di evitamento, oltre a interventi di natura cognitiva per identificare il pensiero poco adattivo che mantiene il panico e la tendenza all’evitamento.

La terapia si propone come breve, per una durata di circa otto incontri, in quanto il paziente cardiopatico ha difficoltà a considerare se stesso in un’ottica psicopatologica e abbandona più facilmente la terapia.

La formulazione del caso generalmente segue a una normale pratica adottata coi pazienti con patologia cardiaca, in quanto generalmente si effettua uno screening per la sensazione di panico, enfatizzato nel caso di un sospetto di psicopatologia. L’innovazione fornita dalla terapia consiste però in una formulazione a più voci, in quanto il terapista è accompagnato in questo compito dal personale sanitario che può fornire utili informazioni.

La psicoeducazione in questi contesti permette in seguito di far identificare al paziente l’ansia come una normale risposta a una malattia ormai comune come quella cardiovascolare e di analizzare i sintomi e i meccanismi responsabili o perpetuanti della situazione di panico. Essendo complicato discernere e far discriminare il paziente stesso in merito alla sintomatologia della patologia, è più utile scoprire ciò che può minacciarlo e indurre perciò il sintomo. Ciò permette anche di creare una ristrutturazione cognitiva che elimini le credenze patogene, conseguenze tipiche di ogni manifestazione cardiaca negativa.

Il contributo della mindfulness è invece legato alla consapevolezza del sintomo e di una modalità di rilassamento respiratoria per fronteggiarlo, apripista per l’apprendimento di modalità per la gestione del dolore. Queste nuove tecniche sono sviluppate in comunione con la classica metodologia CBT di esposizione per diminuire l’attitudine all’evitamento, fino a simulare addirittura la situazione di un attacco di cuore o a concentrarsi sull’attività fisica.
Al momento l’efficacia è stata testata solo su un numero minimo di pazienti, ma la sua innovazione potrebbe essere un valido alleato per migliorare la quotidianità di pazienti affetti da patologie tanto critiche quanto deleterie per la vita individuale.

 

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