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Il Condominio (1975) di Ballard J. G. – Recensione

Il romanzo offre la visione di un futuro post tecnologico: cosa succederebbe alle relazioni se la tecnologia, anestesia delle nostre emozioni, venisse meno?

Di Anna Angelillo

Pubblicato il 04 Mag. 2016

A lungo andare, l’isolamento digitale potrebbe farci dimenticare il nostro mandato biologico di creare legami affettivi (autentici e diretti) per sopravvivere ed evolverci. L’autore ci propone come questo istinto naturale potrebbe emergere e fino a che limite di civiltà potrebbe spingerci (o ci sta già muovendo), indubbiamente per legittima difesa.

 

Un condominio. Quaranta piani. Mille appartamenti. Un’elegante estensione di vetro e cemento che sfiora il cielo della periferia di Londra. Un moderno nido autosufficiente, pieno di servizi e comodità, ma vuoto e spento dal punto di vista relazionale. Sarà proprio il venir meno di tali tecnologie a far emergere il malessere celato sotto la superficie di tale modernità.

Una serie di black out elettrici, infatti, danno il via ad una catena di eventi al limite (e oltre) dell’umanità. I piani non sono più solo un luogo fisico, ma diventano etichetta gerarchica e identitaria delle persone che vi abitano. Si scivola così in una differenziazione di classe tra piani inferiori e superiori, dove via via si ascende nella gerarchia sociale. La mera appartenenza a un livello assegna ciascuno ad un gruppo rivale e innesca un gioco al massacro, volto alla sopravvivenza e alla conquista dei piani più alti, fino ad avere ‘il cielo come ultima abitazione‘.

Sorprende e trafigge l’escalation di comportamenti che man mano si manifestano tra le oscure mura di quella che ormai si è trasformata in una prigione, in cui gli abitanti, mossi da primordiali istinti – fame, sete, difesa del territorio, sesso –  si comportano come ‘animali di uno zoo immerso nell’oscurità che giacevano immersi in uno scontroso silenzio e, ogni tanto, si dilaniavano l’un l’altro in brevi atti di ferina violenza‘. Il complesso residenziale, che all’apparenza esterna rimane immutato, si trasforma in un regno in cui tutti gli impulsi più devianti hanno il permesso di manifestarsi in qualsiasi forma e modo.

La bolla tecnologica che racchiude e isola ciascuno condomino si rompe. Spaesati e confusi, di fronte a conspecifici sconosciuti, fanno appello ai meccanismi più primordiali in maniera straripante, arrabbiata e disfunzionale. La violenza diventa, paradossalmente, un collante sociale.

Dopo mesi di glaciale isolamento, infatti, il decadimento dei servizi diventa occasione di avvicinamento e interazione seppur estrema. La mancanza di luce acceca le menti e innesca uno scompenso sociale che si esprime attraverso un grido pescato nei circuiti rettiliani che spezza le sovrastrutture emotive e cognitive più evolute per esser certo di essere ascoltato e accolto.

Il romanzo sembra offrire la visione di un futuro post tecnologico: siamo in un momento storico in cui privilegiamo relazioni mediate da tecnologia e distanza, che ci consentono di reggere il ritmo della modernità e anestetizzare emozioni che non abbiamo il tempo di vivere. A lungo andare, l’isolamento digitale potrebbe farci dimenticare il nostro mandato biologico di creare legami affettivi (autentici e diretti) per sopravvivere ed evolverci. L’autore ci propone come questo istinto naturale potrebbe emergere e fino a che limite di civiltà potrebbe spingerci (o ci sta già muovendo), indubbiamente per legittima difesa.

Una metafora estrema e illuminante. Un romanzo al tempo stesso visionario e attuale che solleticherà riflessioni sul presente e instillerà timori sul futuro. Sicuramente non vi farà più guardare i vostri vicini di casa con gli stessi occhi.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Ballard, J. G. (1975). Il Condominio, Feltrinelli
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