La terapia cognitivo-comportamentale (CBT), lavorando sui pensieri disfunzionali del paziente, risulta essere tra gli approcci più efficaci nel trattamento del disturbo di ansia sociale. In un recente studio, Mansson e colleghi hanno indagato quali siano gli effetti della CBT sul cervello di pazienti con ansia sociale.
Il disturbo d’ansia sociale, o fobia sociale, è un disturbo caratterizzato una marcata sensibilità verso il giudizio altrui: la principale paura di chi soffre d’ansia sociale è il divenire oggetto di scherno o di valutazioni negative da parte degli altri.
Da un punto di vista sociale tale disturbo porta al ritiro da ogni tipo di interazione con altri: una festa ad un pub con amici o l’entrare in una stanza in cui tutti sono già seduti possono essere tra gli eventi più ansiogeni per un fobico sociale. L’evitamento è dunque la strategia comportamentale più utilizzata dalle persone con questo disturbo e più i comportamenti di evitamento si generalizzano, maggiormente il disturbo diventa invalidante.
A livello cognitivo, invece, il fobico sociale è molto critico verso se stesso e si definisce debole e incompetente, mentre l’Altro è visto come abile, migliore e competente. Si creano in questo modo sentimenti di inadeguatezza ed inferiorità con un impatto altamente negativo sull’autostima.
La terapia cognitivo-comportamentale (CBT), lavorando sui pensieri disfunzionali del paziente, risulta essere tra gli approcci più efficaci nel trattamento del disturbo. In un recente studio, Mansson e colleghi hanno indagato quali siano gli effetti della CBT sul cervello di pazienti con ansia sociale.
Dati precedenti avevano mostrato come coloro che soffrono di fobia sociale tendano a mostrare un’iperattivazione neurale nell’amigdala, struttura cerebrale associata alla paura. Mansson, nel suo studio, fa un passo avanti identificando un legame tra questa ipersensibilità dell’amigdala e il volume di materia grigia in questa parte del cervello.
Utilizzando poi la risonanza magnetica funzionale (fMRI) per eseguire la scansione del cervello di 26 individui con diagnosi di fobia sociale, i ricercatori hanno notato che quelli con i sintomi più gravi tendono ad avere un maggior volume di materia grigia nell’amigdala di sinistra.
I soggetti sono stai poi sottoposti a un percorso on-line di terapia cognitivo-comportamentale della durata di nove settimane. Alla fine del programma, i partecipanti sono stati sottoposti a misurazioni psicologiche, tra cui dei self-report su eventuali cambiamenti della loro condizione, al fine di valutare l’effetto del CBT sui loro sintomi.
A questo punto, un ulteriore ciclo di scansioni fMRI ha rivelato una riduzione della materia grigia nell’amigdala di sinistra in coloro che hanno sperimentato risultati positivi dalla loro terapia. Inoltre, maggiore è la riduzione dei sintomi, più significativo risulta essere il corrispondente calo di volume della materia grigia.
L’ipersensibilità neurale nel amigdala, implicata nella fobia sociale, è almeno parzialmente mediata dal volume della materia grigia, e la CBT, a detta di Mansson e colleghi, ha il potenziale per ridurre questo volume, portando a un miglioramento i sintomi. Sebbene tali risultati siano significativi, il campione dello studio risulta esiguo. Future ricerche potrebbero essere effettuate per studiare meglio il fenomeno.