Maria Francesca Garritano, ex ballerina alla Scala di Milano e autrice di “La verità, vi prego, sulla danza”, potrà tornare nel corpo di ballo dal quale era stata licenziata con accuse di diffamazione una delle accademie più rinomate a livello internazionale. La sentenza è stata stabilita dalla Cassazione che ha ritenuto ingiusta la “punizione” della direzione artistica nei confronti della ballerina.
La verità, vi prego, sulla danza mette sul piatto d’argento l’alta frequenza dei disturbi alimentari nelle allieve e nei professionisti, le pesanti umiliazioni e pressioni a modificare l’aspetto fisico per apparire sempre più vicini alla perfezione, la spinta ad oltrepassare i limiti, non importa a quale costo. Fenomeni senz’altro denunciati diverse volte, ma spesso soppressi o scambiati per fantasie prive di fondamento empirico. Tuttavia Maria Francesca Garritano non chiude un occhio e decide di farsi sentire all’improvviso, senza avvisare colleghi e superiori.
Una voce pagata a caro prezzo proprio perché, nel racconto, Maria Francesca Garritano tira in ballo la prestigiosa accademia per la quale lavora, che non è una qualsiasi ma l’Accademia del Teatro alla Scala, ricoprendola così di critiche amare, decisa una buona volta a ripulire lo sporco sotto il tappeto che comincia, a suo avviso, ad assumere dimensioni spropositate.
Successivamente alla pubblicazione, Mary Garret, come è stata soprannominata nel contesto artistico, riceve la notizia del licenziamento per aver messo in cattiva luce il buon nome dell’accademia che vanta riconoscimenti e prestigi internazionali, oltre ad aver “sfornato” rispettabili e illustri professionisti, tra cui Roberto Bolle, che si aggiudica uno dei primi posti nella classifica dei migliori ballerini non solo dell’Italia, ma addirittura del pianeta.
Le parole di Maria Francesca Garritano non esitano a suscitare un ventaglio di reazioni differenti: l’ex étoile Carla Fracci rilascia un’intervista in cui dichiara che una ballerina anoressica è incapace di danzare perché la fatica e l’impegno richiesto delle 8 ore giornaliere di allenamento sono insostenibili senza un’alimentazione adeguata, altri ballerini dell’accademia, al contrario, si dimostrano poco basiti di fronte alle rivelazioni della collega, appunto perché il fenomeno è sempre stato presente, ma il bicchiere è anche mezzo pieno, oltre che ad essere mezzo vuoto, e come non sono mai mancati casi simili, non sono mai mancati, d’altra parte, casi di colleghi che hanno condotto una vita artistico-professionale priva di psicopatologie o problemi psicofisici correlati all’esercizio della danza e al clima “organizzativo”. In sostanza, per alcuni di loro, è un evento che può capitare, ma non tutti reagiscono in quel senso. E qui verrebbe da chiedersi cosa fa la differenza.
Tuttavia, Mary Garret insiste nel dichiarare che alla Scala una ragazza su cinque soffre di anoressia, alcune di bulimia, molte non hanno più il menarca e patiscono una mole di problemi fisici che lei stessa ha affrontato, come dolori intestinali e fratture alle ossa attribuite alla danza. La donna continua il racconto illustrando le pesanti umiliazioni, gli insulti e gli scherni per “motivarla” a raggiungere la perfezione fisica, l’ideale estetico che, in un modo o nell’altro, nell’ambiente artistico, è spesso presente, anche se non sempre espresso, o meglio, affrontato apertamente.
Altri esempi, come il ricorso alla chirurgia estetica per ridurre il seno, sono veicolati per esprimere come, ancora una volta, le richieste siano esagerate ed opprimenti, ma soprattutto inevitabili.
Tralasciando i giudizi sulla veridicità e verosimiglianza del racconto della ballerina, è necessario riflettere sull’influenza di alcuni importanti fattori di rischio sollevati, come gli standard estetici rigidi e improntati su una perfezione irraggiungibile e le esasperate pressioni ambientali, sull’esacerbazione e mantenimento di notevoli psicopatologie, tra queste, in maggior frequenza, i disturbi della sfera alimentare e il dismorfismo corporeo, che manifestano la centralità dell’aspetto fisico nell’identità soggettiva e sottolineano un malessere allarmante che non deve essere inascoltato, soppresso o minimizzato.
Tra i fattori di rischio, però, non vanno considerati esclusivamente gli elementi ambientali appena discussi: non sono trascurabili i tratti di personalità improntati sulla ricerca ossessiva del perfezionismo, l’ipercritica, l’attribuzione interna/esterna, l’attività/passività, costruiti e sviluppati a partire dai legami primari di attaccamento e interagenti in modo complesso con l’ambiente circostante (Bara, 2005).
Rimane, ad ogni modo, fondamentale considerare la narrazione e l’attribuzione di significato personale agli eventi che, senz’altro possono essere supportati da un’alta frequenza di situazioni analoghe sperimentate in altri soggetti, ma dimostrano, ad ogni modo, una personale visione della realtà e di sé basata su una costruzione individuale (Guidano, 1992).
In altre parole è lecito chiedersi, fino a che punto il mondo della danza corrisponda realmente a questo ritratto e laddove una visione intrisa di fattori negativi possa riflettere una moltitudine di elementi che non si estendono solo ed esclusivamente all’ambiente esterno, ma anche, e soprattutto, alle parti di sé più intime e non riconosciute.
D’altra parte, però, le frequenti denunce dovrebbero porre una maggiore attenzione sull’effetto delle variabili contestuali, come gli standard estetici irrealistici e le continue pressioni ad innalzare il livello perseguite attraverso le denigrazioni e le umiliazioni, nella predisposizione allo sviluppo di varie psicopatologie.