Quella di Munch è una pittura che indaga più l’anima che la realtà o, per meglio dire, il pittore filtrava la realtà attraverso il suo stato d’animo. Al centro dell’interesse dell’artista norvegese c’è l’uomo con il suo dramma esistenziale, il suo essere solo di fronte a tutto ciò che lo circonda, i suoi conflitti psichici e le sue paure. Edvard Munch ha saputo rappresentare, a mio avviso meglio di ogni altro in pittura, l’angoscia esistenziale.
Introduzione
Che esista una relazione o che si tratti di mere coincidenze, è fuor di dubbio che alcuni tra i più grandi artisti di tutti i tempi furono affetti da patologie mentali. Questo dato di fatto fa sorgere spontanea una domanda, ovvero se esista un legame di interdipendenza tra arte e malattia mentale che ci permetta di poter affermare che la sofferenza psicologica sia il punto di partenza per la libera espressione artistica di un individuo. Artisti famosi di ogni tempo hanno vissuto l’esperienza dolorosa della malattia mentale, che ha condizionato non solo la loro vita privata, ma anche la loro produzione artistica.
Nella secolare storia dell’arte, uno dei grandi sofferenti fu il pittore norvegese Edvard Munch (1863-1944), tristemente afflitto da una vita segnata dal dolore sin dall’infanzia, caratterizzata da tragici avvenimenti familiari, quali la morte della madre e della sorella.
Quella di Munch è una pittura che indaga più l’anima che la realtà o, per meglio dire, il pittore filtrava la realtà attraverso il suo stato d’animo. Al centro dell’interesse dell’artista norvegese c’è l’uomo con il suo dramma esistenziale, il suo essere solo di fronte a tutto ciò che lo circonda, i suoi conflitti psichici e le sue paure. Munch ha saputo rappresentare, a mio avviso meglio di ogni altro in pittura, l’angoscia esistenziale.
L’angoscia esistenziale: cos’è e come si esprime nell’arte
L’angoscia esistenziale è uno stato cosciente, caratterizzato da sentimenti di ansia e di apprensione; si tratta di una sofferenza psicologica simile all’ansia, ma più invasiva, dovuta ad una serie di stimoli emotivi troppo intensi per essere controllati e filtrati dalle difese psichiche.
La cosiddetta “angoscia a colori” che caratterizza i lavori di Edvard Munch fu molto probabilmente la conseguenza delle tragiche esperienze personali vissute dal pittore durante l’infanzia e l’adolescenza. Scrisse lo stesso Munch:
[blockquote style=”1″]la mia arte ha le sue radici nelle riflessioni sul perché non sono uguale agli altri, sul perché ci fu una maledizione sulla mia culla, sul perché sono stato gettato nel mondo senza saper scegliere. Ho dovuto seguire un sentiero lungo un precipizio, una voragine senza fondo.[/blockquote]
Munch, personalità complessa e contraddittoria, è il pittore dell’angoscia esistenziale, sentimento che lo accompagnerà per tutta la vita e neppure la fama gli concederà la felicità: finirà infatti in una casa di cura per malattie nervose a Copenhagen.
Fortemente dotato di introspezione psicologica, l’artista norvegese seppe tramutare la sofferenza e l’angoscia in pittura; la sua anima malata, turbata e solitaria venne messa a nudo nella sua pittura e le sue tele ci parlano del suo malessere interiore.
[blockquote style=”1″]La mia pittura è in realtà un esame di coscienza ed un tentativo di comprendere i miei rapporti con l’esistenza. E’ dunque una forma di egoismo, ma spero sempre di riuscire, grazie ad essa, ad aiutare gli altri a vedere chiaro.[/blockquote]
Il dolore, la malattia, la sofferenza e la solitudine che caratterizzarono l’intera vita di Munch appaiono costantemente come presenze inquietanti in tutti i suoi lavori: da “Sera sul viale Karl Johan” (1892), dove il pittore ritrae se stesso in disparte, mentre un’umanità spiritualmente vuota (sembra una processione di spettri) passeggia su un viale di Oslo; a “Bambina malata” (1885-1886) con cui il pittore ricorda l’agonia e la prematura scomparsa della sorella: con questo lavoro Munch ci fa sentire un’aria pesante e viziata, ci fa sentire l’odore della malattia. E ancora: nell’opera “Pubertà” (1894) viene ritratta la sorella Sophie, una giovane ragazza sovrastata da un’ombra molto scura che richiama alla presenza della morte che incombe sulla fanciulla; in “Disperazione” (1892), il pittore è assalito all’improvviso dall’angoscia che trasforma un bellissimo tramonto in un incubo allucinante: è l’urlo cha anticipa “L’Urlo” (1893), l’opera simbolo dell’inquieto pittore norvegese e manifesto dell’angoscia esistenziale di un’intera generazione di artisti. E’ l’opera che meglio rappresenta Munch, il quale, a proposito di questo suo lavoro, ebbe a dire:
[blockquote style=”1″]Solo un folle poteva dipingerlo.[/blockquote]
“L’Urlo” è uno dei quadri più celebri e drammatici di Munch, un’opera che ben si presta ad un’interpretazione psicologica: è il ritratto di un uomo fisicamente stravolto nelle sembianze dall’angoscia esistenziale e dal terrore che lo sconvolgono interiormente. Con questo lavoro Munch ci dà l’immagine della catastrofe interiore, che viene esplicitata mediante l’uso di colori violenti.
Ne “L’Urlo” Munch ha rappresentato un’esperienza reale, vissuta a Lijabroivein, una sera d’estate del 1890, poco dopo la morte del padre. Scrive il pittore nei suoi diari:
[blockquote style=”1″]Passeggiavo per un sentiero con due amici, il sole stava tramontando. Ho sentito salire la malinconia. Improvvisamente il cielo divenne color rosso sangue. Mi fermai, appoggiato contro lo steccato, stanco morto. E guardai le nuvole sospese sopra il fiordo blu-nero e la città come lingue di fuoco e sangue. I miei amici camminavano avanti. Io restai lì tremante di paura. E sentii un grande urlo senza fine attraversare la natura.[/blockquote]
Per circa tre anni Munch tentò di dipingere questa esperienza, ma senza riuscirvi. Poi riuscì a far gridare i colori, che hanno gridato per lui con il rosso di quel tramonto in cui era stato proiettato tutto il dolore e tutta l’angoscia esistenziale che la sua mente non aveva saputo contenere.