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L’importanza di donare emozioni ai malati di Alzheimer

Uno studio ha dimostrato come i malati di Alzheimer abbiano la capacità di provare emozioni, seppur non siano in grado di ricordare ciò che le provoca. 

Di Vanessa Romani

Pubblicato il 20 Apr. 2016

Aggiornato il 18 Mag. 2016 10:55

Nel presente articolo, dopo aver brevemente descritto cosa sia la malattia di Alzheimer e le conseguenze della stessa, si presterà attenzione all’ importanza di donare emozioni a questi malati, riportando in particolare uno studio condotto per dimostrare l’evidenza empirica di tale ipotesi.

La malattia di Alzheimer

La malattia di Alzheimer prende il nome dal neurologo tedesco Alois Alzheimer che ne descrisse i sintomi nel 1907 per la prima volta. Nel DSM-IV-TR (American Psychiatric Association, 2000, p. 165) è collocata nella sezione “Demenza”, in cui i disturbi descritti sono caratterizzati dallo sviluppo di deficit cognitivi. I disturbi presenti in questa sezione condividono un quadro comune a livello sintomatologico, ma si differenziano in base all’eziologia. La compromissione della memoria è richiesta per fare diagnosi di demenza (ivi, p. 166). L’età d’insorgenza della Demenza Tipo Alzheimer è precoce se sotto i 65 anni, tardiva se superiore ai 65 anni di età (ivi, p. 173). L’Alzheimer è una malattia che colpisce le funzioni cognitive indispensabili per relazionarsi con gli altri (memoria, attenzione, linguaggio). Il paradosso di questa malattia è che il malato appare fisicamente sano, ma nell’arco della malattia arriva a non sapere più come scrivere, parlare e non riconosce i famigliari.

Questa malattia è dunque una forma di demenza progressiva di cui ancora non si conoscono le cause. Nei malati di Alzheimer si assiste a una perdita di cellule nervose nelle aree celebrali vitali per la memoria e per altre funzioni cognitive. Si è riscontrato un basso livello di sostanze chimiche come il neurotrasmettitore acetilcolina, coinvolto nella comunicazione tra le cellule nervose. Questa malattia ha un decorso lento, in media i pazienti possono vivere fino a otto o dieci anni dopo la diagnosi della malattia e la rapidità dei sintomi varia da persona a persona.

 

Perdere la memoria

Come detto, la malattia colpisce la memoria, ma quest’ultima non è unica, e la perdita della stessa non è esclusiva nella malattia di Alzheimer. A seconda di ciò che colpisce l’individuo infatti, la perdita di memoria, può essere precedente all’avvento della malattia o successivo. Nel caso dell’Alzheimer l’amnesia è globale, riguarda ciò che è accaduto prima e ciò che accadrà dopo. Il processo di amnesia è lento e graduale, per cui si comincia dalla perdita di ricordi immediati fino a far fatica ad apprendere nuove cose arrivando a perdere i ricordi della vita precedente. Ovviamente questo processo è devastante in quanto dimenticare la vita precedente (memoria retrograda), equivale a dimenticare la propria identità personale, ma altrettanto devastante è la perdita di memoria anterograda in quanto non si può correggere il malato dagli errori commessi.

 

L’importanza di donare emozioni

Nei malati di Alzheimer viene meno la coscienza estesa, quella che permette all’individuo di percepirsi come il protagonista della propria vita (all’origine della coscienza autobiografica), ma il proto sé rimane intatto (Meini, 2012), elemento importante in quanto ci fa capire come, seppur con difficoltà, sia possibile comunicare, attraverso le emozioni, con questi pazienti.
Ciò è confermato anche da uno studio dell’ – i cui risultati sono contenuti sulla rivista Cognitive and Behavioral Neurology (Guzmán-Vélez E., Feinstein J., Tranel D., 2014) – in cui è emerso che il caregiver ha una profonda influenza sullo stato emotivo dei malati di Alzheimer, difatti, [blockquote style=”1″]i pazienti possono non ricordare la recente visita di una persona cara o di essere stati trascurati dal personale in una casa di cura, ma tali azioni possono avere un impatto duraturo su come si sentono [/blockquote](traduzione di Franco Pellizzari del testo inglese di John Riehl in University of Iowa Health Care, disponibile su www.alzheimer-riese.it).

 

Lo studio

Tale studio, portato avanti da Guzman-Vélez (studente di dottorato in psicologia clinica), Tranel (professore di neurologia e psicologia della UI) e Feinstein (professore assistente all’Università di Tulsa) è stato compiuto su 17 pazienti con l’Alzheimer e 17 partecipanti sani di confronto. Sono stati mostrati dei film della durata di 20 minuti sia tristi che felici a seguito dei quali si notò che: [blockquote style=”1″]queste clip hanno innescato l’emozione prevista: dolore e lacrime durante i film tristi e risate durante quelli felici. Circa cinque minuti dopo aver visto i film, i ricercatori hanno sottoposto i partecipanti ad un test di memoria per vedere se potevano ricordare quello che avevano appena visto. Come previsto, i pazienti di Alzheimer hanno trattenuto una quantità significativamente inferiore di informazioni sia sui film tristi che su quelli felici, rispetto alle persone sane. In realtà, quattro pazienti erano in grado di recuperare qualsiasi informazioni fattuale sui film, e un paziente non ricordava nemmeno di aver visto un qualsiasi film[/blockquote] (traduzione di Franco Pellizzari del testo inglese di John Riehl in University of Iowa Health Care).

La cosa interessante e che conferma la necessità di sviluppare nuove tecniche di caregiving è che, nonostante l’incapacità di riportare alla mente ciò che aveva provocato il determinato stato d’animo provato, questo stesso stato d’animo permaneva. Ne consegue che i caregiver dovrebbero indurre sentimenti positivi che hanno – come emerge da questa ricerca – impatti nello stato d’animo del malato, nonostante esso non abbia memoria della causa che li ha generati.

La Guzman-Vélez scrive:[blockquote style=”1″] Questi risultati dovrebbero responsabilizzare i caregiver, mostrando loro che le loro azioni verso i pazienti contano realmente […]. Frequenti visite e interazioni sociali, esercizio fisico, musica, danza, scherzi, e dare loro i cibi preferiti sono tutte cose semplici che possono avere un impatto emotivo duraturo sulla qualità di vita del paziente e sul benessere soggettivo[/blockquote] (traduzione di Franco Pellizzari del testo inglese di John Riehl in University of Iowa Health Care).

 

Conclusioni

Questo studio si ricollega a quanto detto sul proto sé: permanendo tale forma di coscienza si ha un individuo che ha la capacità di provare emozioni, seppur non sia in grado di riportare la causa dello stato emotivo che sta vivendo.
Da ciò si evince quanto sia importante donare emozioni a un malato di Alzheimer.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • American Psychiatric Association (2000), DSM-IV-TR, pp. 165-166-173.
  • Guzmán-Vélez E., Feinstein J., Tranel D., (settembre 2014), Feelings Without Memory in Alzheimer Disease [versione online]. Cognitive and Behavioral Neurology, vol. 27, n. 3, pp. 117-129.
  • Redazione, (25 settembre 2014), Malati di Alzheimer possono sentire le emozioni molto dopo che i ricordi sono svaniti, Associazione Alzheimer onlus Riese Pio X. Fonte John Riehl in University of Iowa Health Care, traduzione di Franco Pellizzari. Consultato il 5 aprile 2016 su http://www.alzheimer-riese.it/index.php/contribui-dal-mondo/ricerche/4195-malati-di-alzheimer-possono-sentire-le-emozioni-molto-dopo-che-i-ricordi-sono-svaniti
  • Meini, C. (2012), Fuori di testa. Le basi sociali dell’io, Mondadori, p. 48.
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