Familiari di pazienti borderline: Il ruolo del familiare del paziente con disturbo borderline di personalità (DBP) è mutato profondamente nel corso degli anni. Da un possibile responsabile, colpevolizzato ed escluso dal percorso di cura, è stato eletto a una posizione sempre più prossima al concetto di “co-terapeuta”. Nonostante i cambiamenti avvenuti, i caregiver si trovano spesso ancora oggi da soli ad affrontare le situazioni critiche e il carico che ne deriva.
Le ricerche che indagano le problematiche dei familiari di pazienti borderline pongono l’accento sullo stress psicologico a cui sono soggetti, suggerendo l’importanza di un intervento di supporto a loro destinato. Emergono inoltre difficoltà interpersonali caratterizzate da forte conflittualità e criticismo, elementi solitamente correlati a recidive. Le linee-guida individuano nell’intervento per le famiglie uno degli elementi fondamentali nel trattamento di queste persone, e prevedono di fornire loro informazioni sulla diagnosi e sul decorso del disturbo, sulla risposta al trattamento e sui fattori patogenetici noti, ma anche di suggerire tecniche per la gestione dei momenti critici. Una recente revisione della letteratura (Martino et al., 2014) ha descritto la problematica del carico dei familiari di pazienti borderline e ha presentato lo stato dell’arte sugli interventi a loro destinati.
I programmi terapeutici per i familiari di pazienti borderline
Esistono due categorie di programmi familiari di pazienti borderline: la psicoeducazione familiare e l’educazione familiare. La psicoeducazione familiare viene condotta da professionisti della salute mentale e prevede la partecipazione dei familiari e, in alcune fasi, anche dei pazienti. Nella seconda categoria di interventi, sono invece i caregiver a tenere, dopo opportuni training, interventi educativi rivolti unicamente ai conviventi dei pazienti.
I programmi di psicoeducazione, proposti già dagli anni ’80, sono stati formulati nel tempo con modalità molto eterogenee. Tali programmi aiutano i caregiver ad acquisire conoscenze e strumenti per promuovere il benessere del paziente e di ridurre il carico derivante dalla cura offrendo supporto diretto al familiare.
I programmi di psicoeducazione
Ecco i principali interventi descritti in questo ambito:
1) Gruppo Familiare Multiplo (GFM): (Gunderson, 1997), prevede un gruppo costituito da più nuclei familiari, ha una durata di 12-18 mesi con incontri di un’ora e mezza a cadenza quindicinale. Nella prima fase dell’intervento vengono fornite informazioni circa la diagnosi del disturbo borderline di personalità e delle indicazioni sui comportamenti da adottare nei momenti difficili (Linee Guida per I familiari, Mc Farlane and Dunne, 1991). Le Linee Guida per i familiari usate in questo programma sono state tradotte in italiano. Nella seconda fase, l’obiettivo è acquisire competenze specifiche nella gestione delle difficoltà comunicative, del controllo della rabbia e dei comportamenti autolesivi. Nella terza e ultima fase si consolidano i cambiamenti, e i partecipanti vengono incoraggiati a generalizzare le nuove abilità.
2) Dialectical Behavior Therapy-Family Skills Training (DBT-FST) (Hoffman et al., 1999): prevede il coinvolgimento di singole famiglie o di gruppi familiari, utilizza tecniche di matrice DBT (mindfulness, regolazione emozionale, tolleranza allo stress ed efficacia interpersonale) e si sviluppa in un percorso di 6 mesi, durante il quale il paziente di solito effettua una terapia individuale con la stessa matrice teorica. E’ prevista una parte iniziale finalizzata a ”educare” i componenti della famiglia alla diagnosi fornendo informazioni circa le caratteristiche, le origini, i trattamenti.
3) Reno-Program (Fruzzetti et al., 2006): è impostato prevalentemente su tecniche orientate alla Mindfulness, allo scopo di favorire una maggiore abilità di regolazione emotiva. Secondo l’autore, tale competenza è cruciale per acquisire un atteggiamento più validante verso gli stati emotivi del paziente.
4) Family Connections (FC) (Hoffmann et al., 2005): è un programma di auto-mutuo-aiuto condotto da familiari di pazienti borderline a seguito di uno specifico training, ampiamente diffuso a livello internazionale. Esso prevede 12 incontri sia individuali sia di gruppo e fornisce ai partecipanti informazioni sul disturbo borderline e competenze su moduli specifici del training di abilità DBT. Favorisce inoltre la costruzione di una rete di supporto per i familiari, e ha dunque un impatto sui loro sentimenti di alienazione, sfiducia e impotenza.
I programmi di supporto per i familiari di pazienti borderline nel panorama italiano
Per quanto riguarda la situazione italiana, esistono delle prime evidenze di protocolli strutturati di interventi sui familiari di pazienti borderline.
Dal 2010 è stato implementato, in alcuni CSM di Bologna e di Fano, l’ intervento psicoeducativo “Gruppo Familiare Multiplo” di Gunderson (Ridolfi et al., 2012, Martino et al. 2012). Dagli studi condotti in Italia emerge una sostanziale adattabilità del GFM nel contesto dei servizi pubblici di salute mentale e un impatto positivo sia sul familiare, in termini di riduzione del carico soggettivo e oggettivo, sia sul paziente, in termini di riduzione delle ospedalizzazioni e di miglioramento delle capacità di regolazione emotiva e degli impulsi. Un’altra recente esperienza è quella del Centro di Psicoterapia di Roma, che ha adottato il modello ispirato al DBT-FST proposto da Hoffman per l’intervento sui familiari di pazienti borderline (Pizzi et al., 2012).
Ad oggi gli interventi psicoeducativi per i familiari di pazienti borderline non rappresentano la routine nei centri di salute mentale per diverse ragioni, legate sia ai costi iniziali dei modelli da implementare, sia alla necessità di formare personale, sia ad una iniziale scarsa convinzione che il coinvolgimento dei familiari potesse essere efficace nella cura di questi pazienti.
Ad oggi la letteratura ci fornisce delle prime evidenze a favore di questi interventi. In Italia i dati risultano ancora modesti, ma promettenti. Recentemente si è costituita la prima associazione italiana per i familiari del “NEA-DBP Italia” per fornire informazioni e supporto soprattutto in quelle realtà dove ad oggi non è ancora possibile usufruire di un servizio specialistico.