La teoria della Gestalt
La scorsa settimana si è parlato di percezione. La percezione è definibile come quel processo per mezzo del quale riconosciamo, organizziamo e attribuiamo significato alle sensazioni che derivano dagli stimoli ambientali. Tra le diverse teorie elaborate in ambito percettivo, uno sguardo più attento deve essere rivolto alla teoria della Gestalt.
INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA RUBRICA DI DIVULGAZIONE SCIENTIFICA IN COLLABORAZIONE CON LA SIGMUND FREUD UNIVERSITY DI MILANO
La teoria della Gestalt: la Storia
Il termine tedesco Gestalt è il participio passato di von Augen gestellt che letteralmente significa posizionato davanti agli occhi, ciò che compare allo sguardo, ovvero forma. Si tratta di un termine volgarizzato da Lutero nella traduzione della Sacra Bibbia che successivamente divenne di uso comune. Ma la Gestalt passa alla storia come teoria della forma, ovvero di tutto ciò che può essere percepito. Bisogna fare attenzione, poiché col termine Gestalt si definiscono due correnti diverse: la Gestaltpsychologie o psicologia della Forma corrente di impostazione teorica che nasce negli anni ‘20 in Germania, e la Gestalt Therapy teoria clinica che nasce in ambito psicoanalitico, formatasi in America intorno agli ’50. Vediamo più da vicino in cosa consistono.
La Gestaltpsychologie o psicologia della forma è un movimento sviluppatosi a Berlino all’inizio del XX secolo in opposizione allo strutturalismo vigente. Il motto per antonomasia dei gestaltisti è: “Il tutto è più della somma delle singole parti” (Zerbetto, 1998), significa che la totalità del percepito è caratterizzato non solo dalla somma dalle singole attivazioni sensoriali, ma da qualcosa di più che permette di comprendere la forma nella sua totalità. Prendiamo a esempio una melodia, bellissima nel suo insieme cioè nella sua totalità, che, chiaramente, non può esistere senza le singole parti, ovvero le note. In sostanza, da ogni esperienza percettiva si ottiene una immagine totale a cui la mente attribuisce un significato, derivante da singoli dettagli che fungono da sfondo della figura. La capacità di percepire il tutto è una dote innata in ognuno di noi che consente di dare un senso a ogni percetto.
La Terapia della Gestalt nasce, rispetto alla precedente teoria della Gestalt molto più tardi, negli Stati Uniti d’America. Questo approccio terapeutico, perché di tale si tratta, prende spunto dal movimento tedesco, ma il focus del suo intervento riguarda l’ambito clinico. Nasce da un malcontento in ambito psicoanalitico e comportamentista, e si focalizza principalmente sulle funzioni percettive dell’individuo intese come prodotto della propria psiche. I terapeuti della Gestalt sostenevano che l’esperienza percettiva si manifesta al confine tra noi e l’ambiente. Tutto ciò che si trova all’interno di questo confine merita di essere percepito, dunque, conosciuto e, allo stesso tempo, deve diventare il campo dell’intervento terapeutico. La cura, dunque, non è comprendere la genesi del disturbo, bensì sentirsi riconosciuti dall’altro identificato come significativo per noi.
La Gestalt
La Gestalt-Forma rappresenta l’attitudine a organizzare le sensazioni elementari in figure emergenti da uno sfondo. Si ottiene, in questo modo, una figura dai contorni dettagliati, che affiora in maniera netta rispetto a uno sfondo indifferenziato, che in alcuni casi appare impercettibile. Consideriamo una serie di stimoli visivi fissi, distaccati tra loro da una manciata di secondi, che producono in noi la percezione di un solo elemento che si muove nello spazio. E’ un fenomeno che a tutti capita di percepire e sperimentare soprattutto quando si è in viaggio e si osserva un’immagine fuori dal finestrino del treno o dell’auto. Questo processo è stato descritto per la prima volta da Wertheimer, uno dei capisaldi della Gestalt, che lo definì fenomeno del Phi o della persistenza percettiva degli oggetti. Quindi, l’oggetto è percepito nella sua totalità prima delle singole parti da cui è composto. Si ottiene in questo modo una figura strutturata e organizzata che diventa l’unità di misura della percezione stessa, chiaramente in relazione all’ambiente in cui si è immersi. Famose in questo ambito sono le figure geometriche ambigue, il cubo di Necker, che varia a seconda di come è percepito dal soggetto, il vaso di Rubin o la donna di Leavitt, figure aperte (senza margini), che gli occhi sono in grado di percepire come chiuse (con i bordi uniti) ovvero nella loro totalità e non come costituite da parti aperte.
Da qui nascono una serie di leggi della percezione:
- la pregnanza, secondo la quale quello che noi comunemente percepiamo è la migliore forma possibile dell’oggetto che appare ai nostri occhi. Lo scopo è riuscire a ottenere il massimo dell’informazione partendo da una struttura semplice;
- la sovrapposizione, forme collocate sopra ad altre appaiono come delle figure su uno sfondo;
- l’area occupata, l’area che presenta la minore estensione sarà individuata come figura;
- il destino comune, parti che si muovono insieme sono organizzate come figura unitaria rispetto ad uno sfondo;
- la buona forma, gli stimoli percettivi sono organizzati nella forma più coerente possibile;
- la somiglianza, le parti affini sono percepite come unica figura;
- la buona continuazione, se si ha un basso numero di interruzioni si ottiene la percezione di un’unica figura;
- la chiusura, tutto ciò che mostra margini chiusi è percepito come figura unitaria.
Insomma, secondo la Gestalt la percezione non è preceduta da sensazione ma è un processo regolato da leggi innate, che scompongono il percetto in schemi atti a organizzare e a rilevare la figura nella sua totalità. Il percepito è qualcosa di diverso da una immagine che si forma sulla retina, per questo rientra in un sistema di significati più complessi presenti nel sistema nervoso centrale. Quindi, la percezione avviene in due fasi:
- analisi della forma;
- elaborazione cognitiva.
Riusciamo a vedere solo ciò che elaboriamo dopo averlo percepito e dotato di significato.
Kurt Lewin, diede un forte apporto teorico alla Gestalt, avvalendosi di una serie di informazioni provenienti dall’ambito della fisica per spiegare la relazione esiste tra individuo/ambiente. A tal proposito sviluppò la Teoria del Campo, secondo la quale ogni oggetto non può intendersi se non in relazione al contesto nel quale è incluso. Il campo è la realtà che ci circonda e in cui l’individuo si muove per raggiungere i propri obiettivi, mentre il campo percettivo è una sorta di cornice da cui emergono figure nuove, percepite dall’individuo come rilevanti per riuscire a perseguire i propri obiettivi o scopi. Quindi, uno stesso oggetto può assumere significati diversi a seconda del bisogno espresso dalla persona in quel preciso momento. Insomma, per Lewin sono i bisogni che determinano e sostanziano il percetto inserito in un campo.
La Teoria della Gestalt prese piede anche in Italia e i suoi maggiori esponenti furono Fabio Metelli, che svolse diversi studi sulla percezione visiva, producendo contributi di notevole valore scientifico che gli garantirono pubblicazioni su riviste internazionali, e Gaetano Kanizsa, noto per il fenomeno percettivo detto Triangolo di Kanizsa: immagine aperta da cui emerge un triangolo bianco che spicca dallo fondo, meno luminoso, come conseguenza dal contrasto figura – sfondo.
Le applicazioni della teoria della Gestalt
La teoria della Gestalt è attualmente usata nell’ambito clinico, soprattutto per i disturbi legata alla sfera percettiva. Tale teoria si applica attraverso l’uso di reattivi psicometrici basati sulla percezione di una serie di immagini a cui il paziente deve attribuire dei significati.
Per il Neglet, eminattenzione laterale, è usato il Bender Visual Motor Gestalt Test, formato da 9 figure contenenti immagini diverse che il soggetto deve riprodurre allo scopo di valutare lo sviluppo della funzione visuo-motoria in relazione all’ambiente e all’età.
In ambito psicologico troviamo il test di Rorschach, 10 tavole su cui sono raffigurate delle macchie di inchiostro simmetriche di colore bianco e nero (esiste una variante che presenta del colore rosso al loro interno). Queste tavole sono mostrate al soggetto che deve riferire cosa percepisce dalle macchie. Da queste narrazioni si ricavano dati inerenti al funzionamento psichico del soggetto in questione.
Un altro test è Thematic Apperception Test (TAT) di Murray, formato da tavole raffiguranti persone in situazioni ambigue. La consegna data al soggetto è raccontare una storia per ciascuna illustrazione. Dai racconti effettuati è possibile evincere conflitti, bisogni e modelli di relazioni. Esiste anche una edizione per bambini, il Children’s Apperception Test (CAT), in cui nelle dieci tavole raffigurano animali antropomorfizzati.