Il disturbo depressivo maggiore e il funzionamento neuropsicologico
Il disturbo depressivo maggiore si configura come un disturbo complesso, caratterizzato da una sintomatologia poliedrica che implica aspetti somatici, aspetti psicologici e – anche neuropsicologici. Considerando che uno dei criteri diagnostici riguarda la difficoltà di concentrazione e di regolazione dell’attenzione è possibile che in relazione al disturbo depressivo maggiore vi sia anche un deficit nel funzionamento neuropsicologico, e in particolare nell’attenzione e nelle funzioni esecutive.
Le funzioni esecutive possono essere definite come l’insieme di quelle capacità che consentono alla persona di impegnarsi efficacemente in un comportamento orientato a un proprio scopo; le funzioni esecutive entrano in gioco ad esempio attraverso la pianificazione, il ragionamento, la memoria di lavoro e la focalizzazione dell’attenzione e le risposte inibitorie che ci consentono di evitare le distrazioni e rimanere concentrati (Parker, Bouke, Gallagher, 2007).
La difficoltà di concentrazione e la tendenza a focalizzarsi solo su stati mentali negativi è una delle caratteristiche principali della depressione. La depressione può portare a difficoltà nelle attività cognitive – che si riflettono nel funzionamento neuropsicologico – come le funzioni esecutive e la flessibilità cognitiva, inclusa soprattutto la capacità di concentrarsi su qualcosa di diverso dal proprio malessere (attenzione selettiva). Di conseguenza, è facile e frequente che si instuari un circolo vizioso depressivo in cui umore e aspetti cognitivi-neuropsicologici si autoalimentanto in senso peggiorativo (in termine tecnico, il cosiddetto “mood congruity effect”).
Nella complessa interdipendenza tra l’umore depresso e il funzionamento neuropsicologico, alcuni studi indicano che in pazienti in remissione nonostante il miglioramento del tono dell’umore, la disfunzionalità neuropsicologica non migliora (ad esempio vedasi lo studio di Douglas, Porter, Knight, 2011) e potrebbe altresì essere un fattore predittivo di ricadute nel medio-lungo termine (Withall, Harris, Cumming, 2009). Questo ha prodotto un crescente interesse rispetto ai cambiamenti neuropsicologici prodotti dai trattamenti psicoterapeutici per la depressione.
La psicoterpia metacognivita e gli aspetti neuropsicologici del disturbo depressivo maggiore
La terapia metacognitiva interviene sui processi cognitivi – piu che sui contenuti dei pensieri – e in tal modo è in grado di intercettare secondo un modello teorico specifico i deficit neuropsicologici implicati nella depressione. In particolare la sindrome cognitivo-attentiva consiste in un insieme di diverse forme di pensiero ripetitivo e perseverante, tra cui il rimuginio, la ruminazione, l’attenzione selettiva su stimoli minacciosi, le strategie di coping e comportamenti autoregolatori disfunzionali (ad esempio evitamento e soppressione dei pensieri). Tali forme di pensieri e processi attentivi maladattivi piuttosto che ridurre i sintomi depressivi hanno l’effetto controproducente di incrementarli. E’ evidente come in tali processi i fattori chiave dal punto di vista neuropsicologico siano proprio l’attenzione e le funzioni esecutive.
Il training attentivo e’ una delle tecniche utilizzate dall’approccio metacognitivo. Il training attentivo consiste nella pratica di compiti di attenzione selettiva (la capacita’ di prestare attenzione selettivamente a certi stimoli e non ad altri) di attenzione divisa (la capacita’ di concentrarsi su piu’ compiti contemporaneamente) e di switching attentivo. Ad esempio il training attentivo mira a migliorare la capacità attentiva, aiutando il paziente a flessibilizzare la propria attenzione spostandola su stimoli non congruenti (dal punto di vista della valenza edonica emotiva) al proprio umore e ai propri stati affettivi. In questo modo si inizia a interrompere il circolo vizioso tra umore depresso e concentrazione su stimoli congruenti a stati mentali negativi.
Diversi studi dimostrano l’efficacia del training attentivo nel trattamento della depressione (Papageorgiou & Wells, 2007; Wells, Fisher, Myers, et al., 2012) e nel miglioramento del funzionamento neuropsicologico degli stessi pazienti depressi: nello studio di Siegle, Ghinassi e Thase (2007) i pazienti che avevano ricevuto un training attentivo e di controllo cognitivo presentavano migliori performance nei tasks di funzioni esecutive, e una maggiore riduzione dei livelli di ruminazione (Siegle, Price, Jones, 2014).
Uno studio recente (Groves et al., 2015) ha mostrato come la Terapia Metacognitiva riesce a ridurre l’umore depresso e favorisce il cambiamento positivo di funzioni neuropsicologiche come la memoria di lavoro e le funzioni esecutive. In particolare lo studio ha voluto confrontare gli effetti della terapia metacognitiva e della terapia cognitivo-comportamentale standard sulle funzioni esecutive e su processi attenzionali nei pazienti con disturbo depressivo maggiore. A metà del trattamento non si sono rilevate differenze sostanziali tra le due terapie nell’influenzare il funzionamento neuropsicologico, con lievi effetti migliorativi per entrambe le condizioni.
Tuttavia al termine del trattamento (dopo 12 settimane di psicoterapia) la terapia metacognitiva risulta essere significativamente più efficace rispetto alla terapia cognitivo-comportamentale standard nell’intervenire sulla memoria di lavoro, sulle funzioni esecutive e sull’attenzione. Va sottolineato però che i cambiamenti neuropsicologici riscontrati al termine della terapia sono indipendenti dal miglioramento del tono dell’umore – variabile rispetto alla quale entrambe le tipologie di terapia si sono dimostrate efficaci. La terapia può essere un intervento di impatto significativo non solo sul livello di umore ma anche sul miglioramento di funzioni neuropsicologiche solitamente associate alla ricaduta.