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Ansia nelle immersioni subacquee: come riconoscerla e prevenire il panico

L'ansia nelle immersioni subacquee o il panico possono richiedere tecniche di gestione dell'ansia, tra cui la desensibilizzazione o tecniche immaginative. 

Di Giulia Borsari

Pubblicato il 02 Mar. 2016

Aggiornato il 26 Ago. 2019 12:44

Ansia nelle immersioni subacquee: Andare sott’acqua costituisce, di per sé, una situazione potenzialmente stressante, in quanto l’acqua non è l’elemento “naturale” dell’essere umano e per sopravvivere il subacqueo si affida completamente alla propria attrezzatura, che potrebbe presentare malfunzionamenti. Inoltre, le condizioni dell’ambiente acquatico possono mutare velocemente, costringendo il subacqueo a rivedere la pianificazione dell’immersione, affrontando, a volte, situazioni disagevoli (forte corrente, poca visibilità). Sembra essere, quindi, fondamentale, la capacità dell’individuo di gestire l’ansia nelle immersioni subacquee prima che questa sfoci in panico, limitando i comportamenti che possono risultare dannosi.

Giulia Borsari, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MODENA

Ansia nelle immersioni subacquee: introduzione

L’attività subacquea ha subito, negli ultimi anni, una profonda trasformazione: da sport riservato a pochi esperti, dotati di grandi capacità fisiche, che si immergevano in solitaria per scoprire tesori e luoghi inesplorati, è diventata un’attività ludica di massa, aperta ad un vastissimo pubblico. Questo è stato possibile grazie alle innovazioni tecnologiche che hanno permesso a tutti (anche i portatori di handicap) di effettuare piacevoli immersioni, alla scoperta dei fondali e dei colori nascosti a diverse profondità, rispondendo alla curiosità ed al bisogno di superare i propri limiti che da sempre caratterizza l’umanità.

Questo più facile accesso al mondo subacqueo ha portato ad interrogarsi sulla sicurezza in immersione, sia dal punto di vista tecnico (quali sono le profondità massime? Quali i tempi di immersione più indicati?), sia dal punto di vista comportamentale. A questo proposito, le didattiche sottolineano l’importanza del sistema di coppia (non ci si immerge mai da soli), del controllo (quasi ossessivo) della propria attrezzatura e di quella del compagno, del monitoraggio del proprio stato fisico e psicologico.

Numerosi autori si sono interrogati per individuare un protocollo psicoattitudinale da affiancare a quello medico nella selezione di chi pratica la subacquea (Biersner, 1971; Zannini e Montinari, 1971; Morgan, 1983; De Marco, 1987; Hunt, 1993; Nevo e Breitstein, 1999; Gargiulo, 2003; Venza e Mandalà, 2005), senza tuttavia giungere ad una conclusione comune. Si evidenzia, tuttavia, la rilevanza dell’ansia e dei fattori che predispongono a sviluppare panico in situazioni stressanti (Bachrach e Egstrom, 1987; Morgan, 1995).

Andare sott’acqua costituisce, di per sé, una situazione potenzialmente stressante, in quanto l’acqua non è l’elemento “naturale” dell’essere umano e per sopravvivere il subacqueo si affida completamente alla propria attrezzatura, che potrebbe presentare malfunzionamenti. Inoltre, le condizioni dell’ambiente acquatico possono mutare velocemente, costringendo il subacqueo a rivedere la pianificazione dell’immersione, affrontando, a volte, situazioni disagevoli (forte corrente, poca visibilità). Sembra essere, quindi, fondamentale, la capacità dell’individuo di gestire l’ansia nelle immersioni subacquee prima che questa sfoci in panico, limitando i comportamenti che possono risultare dannosi.

Infatti, in una situazione di panico, il sub ha una sola cosa in mente: raggiungere la superficie il più in fretta possibile; in queste circostanze è molto facile che egli dimentichi la regola fondamentale della subacquea: respirare sempre per evitare che risalendo in superficie l’aria contenuta nei polmoni, non più sottoposta a pressione, si espanda causando lesioni polmonari. D’altra parte, se abbiamo la sensazione di non riuscire più a respirare (così comune negli attacchi di panico) la cosa che istintivamente ciascuno farebbe sarebbe cercare di raggiungere la superficie, trattenendo quel poco di aria che ancora ci sembra di avere. Statistiche del DAN (Divers Alert Network, 1999) sostengono che il panico è responsabile del 20-30% degli incidenti mortali che si verificano nel corso di un’immersione ed è probabilmente la prima causa di morte nelle attività subacquee. Sembra, inoltre, che l’eventualità di sviluppare un attacco di panico nel corso di un’immersione non sia prerogativa dei neo-brevettati: Morgan (1995) ha rilevato che oltre la metà dei sub esperti che si sono sottoposti ad intervista ha sperimentato almeno una volta un attacco di panico. Sembra pertanto utile cercare di capire quali siano le caratteristiche dell’ansia nelle immersioni subacquee, se vi siano peculiarità rispetto alle crisi che si verificano sulla terraferma, al fine di sviluppare sistemi di gestione sempre più efficienti.

 

Ansia nelle immersioni subacquee: conoscere l’ansia

L’ansia è uno stato d’animo normale, utile e con funzione protettiva. In particolare, ci segnala la presenza di una potenziale minaccia per la nostra sopravvivenza e per il nostro benessere. Questo segnale induce il nostro Sistema Nervoso Autonomo ad attivarsi per dare una pronta risposta alla potenziale minaccia avvertita, nella forma di una risposta di attacco o di fuga. In particolare, questa attivazione (arousal) comporta una risposta fisiologica e cognitiva: dal punto di vista fisiologico si sperimenta un aumento della velocità del respiro, che diventa però sempre meno profondo, un aumento del battito cardiaco, una aumentata sudorazione, una maggiore tensione muscolare (tutte reazioni che rendono più agevole una eventuale fuga o un eventuale attacco); dal punto di vista cognitivo si verifica una focalizzazione sulla potenziale minaccia (o problema), con lo scopo di trovare la soluzione più efficace per fronteggiarla.

È quindi evidente come l’ansia, a livelli moderati, sia funzionale ad ottenere una migliore performance, in quanto aiuta a mantenere la concentrazione sul proprio obiettivo ed un adeguato livello di motivazione. Tuttavia, un livello di ansia molto elevato tende a far concentrare l’individuo su se stesso e sulle proprie paure, allontanandolo dai propri obiettivi (Andrews, 2003). In particolare, l’individuo percepisce la situazione come minacciosa, considera le sue capacità di far fronte alla situazione come insufficienti e si concentra sulle conseguenze negative che conseguiranno al fallimento, piuttosto che cercare effettive soluzioni (Zeidner, 1998). Pertanto, un basso livello di ansia può aiutare il subacqueo ad essere più prudente, mentre uno stato d’ansia eccessivo può condurre ad una dimensione cognitiva e percettiva ridotta, in cui l’attenzione del subacqueo si sposta su timori e preoccupazioni, facendogli trascurare aspetti importanti, come la risalita lenta.

Il panico, invece, è caratterizzato da paura, capogiri, sensazione di svenire, sensazione di soffocamento, dispnea, paura di morire, impazzire o perdere il controllo; consiste quindi in una situazione in cui i sintomi sono più pronunciati, ha un esordio improvviso, raggiunge rapidamente il picco sintomatologico (10 minuti o meno), svanisce entro un’ora ed è spesso accompagnato da un senso di catastrofe imminente (paura di morire, impazzire o perdere il controllo) e dall’urgenza di allontanarsi. In queste circostanze, il pensiero razionale risulta “sospeso” e le persone possono agire in modo imprevedibile, tale da mettersi in pericolo (Barlow, 1988).

Studi epidemiologici sulla popolazione subacquea (Morgan, 1999) hanno evidenziato che il panico sembra essere più frequente nelle donne (64%; uomini 50%), che tuttavia sperimentano tale evento come una minaccia alla propria sopravvivenza in percentuale minore (35%, uomini 48%). Molti sono i fattori che possono essere individuati come stressor: la sensazione di non ricevere abbastanza aria, la preoccupazione rispetto a malfunzionamenti dell’attrezzatura, la percezione di non avere le capacità di affrontare la situazione, la perdita di familiarità con l’ambiente circostante (definita “Blu Orb Syndrome”, simile ad una forma di deprivazione sensoriale). Oggettive difficoltà e “semplici” pensieri possono quindi innescare una catena di pensieri negativi, in cui il subacqueo ipotizza le conseguenze peggiori possibili, fino a concludere che la propria sopravvivenza è a rischio e sviluppando un attacco di panico. Tali attacchi possono essere inaspettati (non provocati), quando il subacqueo non ha alcun fattore di stress apparente; causati dalla situazione (provocati), se si manifestano subito dopo o nell’attesa di un fattore scatenante situazionale (malfunzionamento dell’attrezzatura, perdita di orientamento, scarsa visibilità…); sensibili alla situazione, non invariabilmente legati allo stimolo stressante e si possono manifestare anche successivamente.

 

Ansia nelle immersioni subacquee: come riconoscerla

Non tutti i subacquei sperimentano ansia nelle immersioni subacquee o panico e non tutti i subacquei che sperimentano ansia in una determinata situazione reagiscono in modo irrazionale. Tali differenze sembrano essere da imputare all’importanza che lo stimolo stressante riveste per l’individuo coinvolto, al fatto che ci sia stato uno specifico addestramento ed ai risultati che tale addestramento ha avuto nel rendere il subacqueo sicuro di sé ed adattabile alle diverse situazioni impreviste. Sembrano giocare un ruolo importante anche alcune caratteristiche individuali quali, per esempio, la maturità e stabilità emotiva, la capacità di far fronte a situazioni stressanti, la velocità di risposta, oltre alla consapevolezza delle proprie abilità motorie e alla fiducia nei confronti del proprio compagno di immersione (Baddeley et al, 1975; Nevo e Breitstein, 1999; Dolmierski et al, 1980).

Alcune condizioni costituiscono fattori che, se non gestiti con grande attenzione, possono rendere pericolosa l’esperienza subacquea: claustrofobia, ideazione suicidaria, psicosi, ansia di tratto, grave depressione, stati maniacali. Capodieci (2006) propone una piccola batteria di test per riconoscere gli individui più suscettibili al panico, non con lo scopo di escluderli dall’attività subacquea quanto, piuttosto, al fine di predisporre per loro percorsi personalizzati volti a sviluppare le capacità di gestione dell’ ansia nelle immersioni subacquee. Tali test sono:
– Clinical Anxiety Scale (CAS) di Thyer, un test di screening volto alla misurazione della quantità, del grado e della gravità dell’ansia (Thyer, 1992);
– Stait-Trait Anxiety Inventory (STAI) di Spielberger, che permette di identificare l’eventuale predisposizione all’ansia e al panico e differenzia l’ansia di stato, dovuta ad una situazione di vita del soggetto, dall’ansia come tratto di personalità (Spielberger et al, 1970);
– Self-rating Anxiety Scale (SAS) di Zung, una sorta di promemoria che il subacqueo passa in rassegna per addestrarsi a quantificare il proprio livello di ansia.

Come anticipato, tale batteria non è volta all’esclusione dall’attività subacquea di persone con predisposizione all’ansia, in quanto essa può essere superata con l’aiuto dell’esperienza e dell’addestramento.

 

Ansia nelle immersioni subacquee: prevenzione e trattamento

L’attività subaquea si caratterizza come una costante scoperta di un mondo parallelo, dove l’essere umano è ospite e dove ogni scorcio, ogni guizzo, è unico; l’uomo non si muove nel proprio elemento naturale e l’attività respiratoria, normalmente scontata ed automatica, diviene oggetto di attenzione. I problemi maggiormente associati con gli incidenti subacquei sono correlati alla respirazione e comprendono la mancanza di fiato e la difficoltà a respirare (reale o percepita) e la tachipnea (respirazione rapida) o iperpnea (respirazione più profonda) (Childs, Norman, 1978). Gli autori sottolineano come sia proprio l’alterazione nella respirazione (il passaggio da una respirazione normale ad una respirazione accelerata o con un diverso pattern) a costituire un segnale di ansia, riconoscibile dal subacqueo stesso e dai suoi compagni ed istruttori.

Allo stesso tempo, tra tutti i compiti che un soggetto deve svolgere per adattarsi sott’acqua, il cambiamento nella respirazione è sicuramente il più importante (Fagraeus, 1981). Innanzitutto, dalla respirazione nasale si passa a quella attraverso la bocca; inoltre la stessa sequenza della respirazione si modifica: mentre in superficie il pattern del respiro è, tipicamente, costituito da inspirazione – espirazione – pausa, in acqua tale pattern diviene inspirazione – pausa – espirazione. Non dimentichiamo poi la presenza della maschera, che influenza anche la capacità di prestazione visiva, oltre a contribuire al senso di ostruzione.

Appare quindi di centrale importanza proprio la gestione del respiro, come valida tecnica di gestione dell’ansia: controllando il ritmo e la profondità del respiro si previene quella che in superficie viene definita come iperventilazione. Tra le tecniche più efficaci nella gestione dell’ansia nelle immersioni subacquee troviamo la desensibilizzazione sistematica, utile per ridurre le preoccupazioni di quegli allievi che pur desiderando approcciarsi al mondo sommerso sono preda di timori quali la difficoltà di respirare sott’acqua o l’impossibilità di risalire al momento desiderato. Tale tecnica permette di definire una graduatoria di stimoli ansiogeni, che vengono affrontati gradualmente sia attraverso esperimenti immaginativi, sia attraverso esperimenti in vivo, in cui l’allievo, accompagnato dalla guida esperta di un istruttore e, quindi, in condizioni di sicurezza, sperimenta le proprie capacità e l’effettiva difficoltà della situazione temuta.

Altra tecnica utile è il flooding (tecniche implosive), soprattutto nella sua forma immaginativa, che consiste nel prospettare all’individuo uno scenario negativo e fortemente ansiogeno, così da aiutarlo a mettere in atto tecniche di problem solving, mantenendo sempre una condizione di sicurezza. Le tecniche cognitivo-comportamentali sembrano essere fortemente indicate, visti anche i successi ottenuti nel trattamento dei disturbi d’ansia più in generale. Tali tecniche permettono infatti di identificare, contestare e sostituire i pensieri automatici negativi che si celano sotto il timore cosciente sperimentato dall’individuo. In particolare, tali tecniche permettono di andare ad indagare gli scenari temuti, che spesso sono ancora più spaventosi in quanto percepiti come catastrofici ma indefiniti; inoltre consentono di ridurre il tempo dedicato al rimuginio su pensieri negativi ed intrusivi, ad esempio con la tecnica dello “stop del pensiero”.

Le principali didattiche riconoscono il potere stressante di molteplici situazioni e l’efficacia delle terapie cognitivo-comportamentali e propongono una specie di mantra che ogni subacqueo dovrebbe ripetersi e al quale dovrebbe affidarsi: la formula Fermati – Respira – Pensa – Agisci. Tale sequenza è volta proprio alla gestione di situazioni potenzialmente stressanti che, se affrontate sull’onda dell’ansia e della preoccupazione che inevitabilmente generano, possono evolvere in incidenti anche gravi. Questa formula sottolinea, come già fatto precedentemente, l’importanza del respiro, sia come fonte d’aria necessaria per la sopravvivenza, sia come ancora per mantenere il contatto con la realtà senza farsi travolgere dal panico. Tale strategia cognitiva appare particolarmente utile nella gestione degli attacchi di panico causati dalla situazione, mentre non sembra essere altrettanto efficace per le forme di panico inaspettato (Capodieci, 2006).

 

Conclusioni

In conclusione sembra possibile affermare che vi siano soggetti maggiormente predisposti a sviluppare ansia nelle immersioni subacquee; in particolare, persone con un’elevata ansia di tratto e con convinzioni negative su di sé e sulle proprie capacità di affrontare e gestire le situazioni. Non sembra tuttavia possibile descrivere queste persone come “inadeguate” all’attività subacquea, in quanto proprio grazie alla pratica di questa attività possono sperimentarsi come persone capaci e possono acquisire nuove strategie di gestione dell’ansia, che possono risultare utili nella vita quotidiana.

Appare tuttavia importante poter identificare questi individui al fine di offrire loro un percorso di formazione e di addestramento personalizzato, che rispetti i loro tempi e le loro necessità, dando modo agli istruttori di approfondire e sviluppare gli esercizi più adeguati ad implementare la sensazione di sicurezza e di controllo durante un’immersione. Aspettative negative e preoccupazioni sono aspetti che possono fare sperimentare una situazione come più negativa di quanto essa sia, spesso ancor prima di sperimentarla, provocando quindi una condizione di stress; è quindi fondamentale che chi pratica l’attività subacquea sviluppi un buon dialogo con se stesso relativo al proprio stato d’animo, oltre che buone capacità di assertività per riuscire a rispettare le proprie necessità, anche quando questo comporta rinunciare ad un’immersione e ammettere, davanti a tutti, di non sentirsi in grado.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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